Niccolò Agliardi scrive libri, conduce e canta “A vent’anni ho incontrato l’amore ma a vent’anni che te ne fai?” Eppure impara dai suoi ragazzi come essere un buon padre…
Le canzoni sono (prima e) innanzitutto di chi le scrive.
Lo sa bene Niccolò Agliardi cantautore e compositore di origini milanesi che si definisce “stupito dal 1974”. Autore storico per Laura Pausini della quale ha firmato molti dei suoi più grandi successi (da “Simili” a “Fatti sentire” a “Non è detto”). Ha curato le colonne sonore di Fiction come Braccialetti Rossi e di film come Nove Lune e mezza con la canzone “Ho cambiato i piani” cantata da Arisa, vincitrice del Nastro d’Argento 2018. Ma il novero delle sue collaborazioni include artisti quali Ramazzotti, Emma, Paola Turci, Zucchero.
Con quattro album all’attivo e una raccolta, Niccolò ha in comune con Fabi, non solo il nome, ma anche quello stile sobrio, elegante che impone all’animo di un artista di scegliere con accuratezza tempi e modi per esprimere le proprie esigenze. Sarà per questo, forse, che Agliardi in molte delle sue canzoni, più che cantare, parla, sussurra, racconta. E le sue storie non lasciano scanso ad equivoci, c’è spazio per tutti. Amori incoscienti e carnali, adolescenti che si fanno scaldare dal sole, madri che combattono l’insonnia dipingendo. Ma soprattutto c’è la fragilità di un uomo che giunto alla soglia dei quarant’anni, non solo riesce ancora a stupirsi, ma anche a raccontare questa fragilità con estrema sincerità e poesia.
La sua storia discografica inizia nel 2001 con il singolo “Fiammiferi” nel quale si intuisce già quali siano i colori della sua introspezione
Non sarò luce quando manca luce ed elettricità/non sarò neanche il capolinea della tua tranquillità/Ma solo un uomo che si prende gioco e cura di te/quando la notte è troppo lunga e una ragione, mi credi, non c’è.
Nel 2005 esce il suo primo disco “1009 giorni”.
Ed è proprio nella canzone che dà il titolo all’album che si intravede nuovamente quell’uomo. Agliardi racconta la fine di un amore e scava nei suoi ricordi per provare a dare un senso a questi tre anni “sprecati”. Si affida ad un piano e a pochi altri arrangiamenti, cantando con voce quasi corrucciata che esplode poi nell’inciso inciso, senza più minimizzare la sofferenza che cercava di esorcizzare all’inizio
Amore che non so decidere/ se disperarmi oppure ridere/ in questa notte che mi apre gli occhi/ e tu che il mio silenzio lo macchi/di egoismo e solitudine/ di incertezza e di disordine/ e io mi prendo l’abitudine/di respirare forte e profondo/ da ingoiarmi anche il mondo.
Il 2008 è l’anno della sua consacrazione artistica. Esce infatti l’album “Da casa a casa” vincitore del Premio Lunezia.
Ogni traccia sembra il capitolo di un libro nel quale a fare da filo conduttore è l’attesa. Agliardi si colloca in punti di vista diversi per descrivere “la scena” da protagonista o attore secondario. Così nella terza traccia (Dante) riscrive la storia con Beatrice in una chiave sicuramente più umana, terrena. Beatrice lo rimprovera di parlare sempre di sé e di trascurarla, mentre il Dante si compiace per essere riuscito a scrivere una storia che galvanizzasse il suo estro creativo
C’era un solo modo per restare nella mente di tutti/ scrivere una storia così furba che non desse sospetti/ Ho fatto parlare cento bocche e non ho chiesto il permesso/ Un modo come un altro che serviva a celebrare me stesso./ Amore mio, la smetti di parlare sempre di te?!/amore mio, la smetti ma che razza di gioco è?/ se mi hai portato in cielo/ ma mai nemmeno un fiore/ se avessi scritto di meno, e fatto più spesso l’amore/.
In “Aspetto una domanda” Niccolò è un adolescente che non riesce ad aprirsi con suo padre.
La canzone si snoda attorno ad una ripetizione anaforica, quasi laconica, di note e parole, per ribadire la complessità di questa relazione anche a livello ritmico. Un testo che trova una sua collocazione e che anzi resta sempre attuale visti gli evidenti problemi di comunicazione che attanagliano le relazioni tra genitori e figli.
Ma tu non parli mai/ e cosa dovrei dirti/ Tu non parli mai/ Non so come affrontarti. Ma tu non parli mai/ Ti ho detto: fammi una domanda./ Lo vedi come sei?/ Io vedo che son solo contro te che sei un gigante./ E più mi metti fretta, e più non dico niente/ e tra tutte le parole che potevi usare e hai/ ora sai soltanto dirmi: “Tu non parli mai”.
Un’altra perla dell’album è senz’altro “Non ci aspettiamo più” che rappresenta, se vogliamo, la resa dell’attesa.
Nella canzone la consapevolezza della fine di un amore viene espressa attraverso giochi di parole che si affastellano su una composizione di rime alternate e baciate.
Non piango, non manca il respiro/ non sbatto la porta/ Mi fermo a ‘sto giro/ Che è un giro di walzer, ma è il giro finale/ Di poche parole, di un vuoto che è enorme e normale/ Trova il coraggio di uscire, di andare/ Ti prego, non farmelo dire/ Mi manchi anche tu/ Non ci aspettiamo più.
Infine la tracklist del disco si conclude con un’altra personificazione, Zazà. Il chiaro riferimento allo storico conflitto tra Lupin e Zenigata, può essere letto come una metafora della vita. Infatti allo stesso modo in cui il poliziotto dopo la morte del ladro se ne sta nel suo cappotto invernale a pensare a come mettere insieme quel che resta del giorno, ciò che spinge chiunque ad andare avanti e a superare le difficoltà, anche quelle che sembrano insormontabili, è l’avere una ragione per vivere, un obiettivo da perseguire
Finisce qui,/ al funerale di un grande nemica,/ la mia rincorsa infinita/ E non vederlo in manette bruciava./ Però riempiva la vita.
A distanza di tre anni esce “Non vale tutto” col quale vince per la seconda volta il Premio Lunezia e che potremmo definire l’album della sua maturità artistica.
A fare da copertina una casa di sabbia su uno sfondo bianco a rappresentare la consapevolezza di quanto nessun punto di riferimento non possa dirsi veramente saldo. Ma comunque l’immagine di quella casa, anche solo rievocata da una sagoma sabbiosa, esprime efficacemente l’idea di un posto in cui tornare o da immaginare, pensando ad un luogo sicuro.
L’uscita del disco è anticipata da una reading track dedicata alla sua città natale, L’ultimo giorno d’inverno. A fare da sfondo, paradossalmente, l’amore per una donna alla quale rimprovera di non aver mai prestato attenzione a questi particolari e che sembra essere proiettata in un vago altrove.
È che tu non ti sarai nemmeno accorta dei viali di Milano che saranno diventati rosa/E bianchi ai lati, perché ancora ci si ostina a credere/Che Milano è una città dove mancano i colori ma io/Ti assicuro che l’ultimo giorno d’inverno, i bastioni/Per chi si potrà permettere il lusso/ di guardare non solo avanti ma anche di fianco/ saranno uno spettacolo di pura e concreta Bellezza.
Nella canzone Perfetti Agliardi racconta una storia d’amore tra due uomini.
Un amore vissuto di nascosto, dagli occhi indiscreti della gente al supermercato, dai pregiudizi che additano l’amore omosessuale, chiamando in causa la “normalità”.
Siamo stati mangiati dal freddo/E dal senso comune./Che due uomini possono ridere, ma non piangere insieme.
Il disco vanta un duetto con Elisa con la quale aveva collaborato come autore per gli adattamenti italiani di “Heart”. Le loro voci si fondono in più musica e meno testo e la cantante sembra incarnare una donna che gli consente di affrontare le sue paure, la sua Torre di Babele attraverso la musica e con… meno testa.
Nel 2014 esce Io non ho finito.
Gli arrangiamenti sono curati insieme alla band The Hills che contribuisce a dare un taglio decisamente rock ai suoi pezzi a partire dalla sua personale versione di “Simili”. Il disco arriva dopo il successo della serie televisiva Braccialetti rossi della quale Niccolò cura quasi interamente la colonna sonora e che gli vale la conquista di due premi al festival del cinema di Roma.
La serie televisiva che ha contribuito senz’altro a far conoscere Agliardi al grande pubblico (si è addirittura concesso una comparsa come infermiere) rappresenta un elemento di rottura, una novità per il pubblico italiano. Si tratta infatti dell’adattamento cinematografico del libro di Albert Espinosa, scrittore che ha passato 10 anni della sua vita in ospedale a causa di un osteostarcoma. La verità dei temi trattati dalla serie e la bravura di un cast composto da ragazzi di tutte le età che lottano tra la vita e la morte ne fanno una delle migliori fiction RAI degli ultimi anni. Questa voglia di vita è ben espressa dalle canzoni di Agliardi che in “Io non ho finito” canta: “Ho gli occhi da grande, più grandi di me, vinciamo ai rigori io e te”. La malinconia consapevole e disillusa che puntellava i precedenti lavori lascia spazio a messaggi di speranza, da cantare a squarciagola.
Ci sono anch’io ai bordi del campo ad alzare un saluto/ ho corso per tutta la notte per dirti/ che il buio è diverso dal vuoto/ è tutta per te/ questa cascata di vita leggera/non smettere adesso/ di ridere e piangere il bene si avvera.
Sarà questa ridefinizione della sua gerarchia dei valori, delle sue priorità, a far emergere in Niccolò la voglia di diventare padre.
In questi tre anni passati a seguire questi ragazzini, a vederli crescere, ha capito di non essere più quel fiammifero nella neve. Ma di poter essere spalle larghe e sicure che sfidano la burocrazia italiana e il suo linguaggio sempre troppo distante che parla di affidamento monogenitoriale. Di anni ne passano altri due e Niccolò padre lo è diventato davvero, di Federico, un ragazzo di 17 anni a cui ha dedicato un libro (Per un po’) e il singolo di lancio della sua raccolta “Jhonny”. E diciamocela tutta, sembra proprio un padre se già il verso d’esordio suona come una vera e propria critica: “I capelli ti stanno meglio quando te li asciughi”.
Questa antologia uscita nel 2018 rappresenta la sintesi perfetta di questo viaggio che abbiamo tentato di fare anche noi, nella sua discografia. Riprende i suoi successi riarrangiandoli e include inediti come “Colpi forti” un brano col quale tenta di far pace con quel padre che ancora fatica a comprendere le sue scelte.
E poi un duetto con Vanessa Incontrada che si dimostra interprete perfetta per questo suo cantare parlato.
Di cosa siamo capaci è il ritratto di una famiglia allargata che somiglia a quella che lui si è costruito. In quell’amore che ci è stato tolto e quello conquistato, una lettura attenta, permette di cogliere la sofferenza dei bambini affidatari che devono allontanarsi dalle loro famiglie biologiche e al tempo stesso la dedizione dei genitori che li accolgono, mettendo a disposizione il loro amore incondizionato.
Per concludere, in una scena musicale come quella odierna, dominata da eccessi, ripetitività e dall’atteggiamento un po’ compiaciuto e al tempo stesso rinunciatario del mondo indie, Agliardi è la voce di un uomo paziente che sa essere figlio, amico, fratello, amante e padre. Per scelta e non per caso. In questo tempo che ci impone di riflettere, di mettere ordine, di fare chiarezza, di definire le nostre priorità, Niccolò è l’artista perfetto per ricordarci di cosa siamo capaci.