Gianluca De Rubertis è tornato con un nuovo lavoro, il suo terzo album da solista, La violenza della luce. “Un concept album senza concept” come lo definisce lo stesso autore, da godere tutto d’un fiato e che provoca sensazioni nuove a ogni ascolto. In questo lavoro c’è tutto Gianluca e anche di più: le parole potenti, la voce calda, le ballate intense, pezzi smaccatamente pop, invettive violente e preghiere moderne.
La violenza della luce colpisce davvero nel segno, non solo perché Gianluca come sempre suona e canta da Dio, ma perché ha scritto le parole di un racconto umano, forte e poetico allo stesso tempo, che non ha bisogno di altro, se non di essere ascoltato senza pregiudizi, per apprezzarlo a pieno. Abbiamo chiesto proprio al polistrumentista e cantante leccese di dirci qualcosa di più di questo lavoro, anticipato dall’uscita del brano Pantelleria e che oggi sentiamo ovunque con il secondo singolo Solo una bocca. Un incontro surreale e unico, proprio come tutta la sua musica.
Tu sei un polistrumentista, lavori in radio, hai grandi collaborazioni all’attivo e ora hai anche pubblicato il tuo terzo album da solista. Quando si dice Gianluca De Rubertis, però, facilmente si dice anche “quello di Pop Porno”. Ti piace ancora questa associazione o è qualcosa che rinneghi? Cosa è cambiato rispetto a quel momento e cosa è rimasto?
Non rifuggo alcun tipo di denominazione che venga dal pubblico, la gente è libera di fruire le nostre creazioni come preferisce, è giusto che sia così; quando pubblichiamo una nuova canzone, un nuovo disco, nel momento in cui viene edita non è più nostra. Per il solito le definizioni date dalla gente sono molto più calzanti e divertenti di quelle date dai giornalisti. Da allora sono cambiate molte cose, la scrittura si affina e verte su nuove frontiere interiori che non potevi immaginare di possedere.
La violenza della luce è un titolo azzeccatissimo: l’album ti colpisce proprio come la luce. In maniera inaspettata. Che senso ha il titolo per te?
È un desiderio di luce bramata, ricercata, in ogni canzone, una disperata ricerca, in questo è violenta; il desiderio è che poi si quieti e si trasformi in semplici carezze e vita vera.
A noi il tuo nuovo lavoro è piaciuto tantissimo perché è al contempo intimo e universale. Era questo il tuo intento? Raccontare te o anche altro?
Noi possiamo parlare solo di ciò che siamo (o ancor meglio non siamo), se poi quell’universo interiore tocca anche gli altri allora avviene quel miracolo per cui siamo riusciti a indovinare quello che accade anche negli altri.
La violenza della luce è un disco da ascoltare tutto di un fiato, complici anche i 28 minuti della durata. Ed effettivamente è vero, sembra tutto in qualche modo collegato. Tu stesso l’hai definito “un concept album senza un vero concept”. Sembra una contraddizione. Cosa intendi?
Le contraddizioni sono alla base di qualsiasi verità, anche perché la verità non esiste, è sempre falsa. Non vi è un filo narrativo in questo disco, c’è una concordanza di intenti in tutti i brani però.
Facciamo il gioco Pop Porno – Dieci anni dopo e cerchiamo un nuovo brano simbolo che ti rappresenti nel 2020. Se dovessi eleggere una nuova canzone manifesto di questo lavoro quale sarebbe e perché?
“Voi mica io”, che poi sfocia in un “io mica voi”, perché sono davvero il peggiore di tutti.ù
Foto di Pierluigi De Rubertis