L’Albero, “Solo al sole”: un disco tra l’amore e l’attesa
Solo al sole (Santeria Records, 2020) è il nuovo album de l’Albero, nome d’arte di Andrea Mastropietro, cantautore fiorentino, classe 1983. Uscito il 13 novembre, rappresenta “una vera è propria dichiarazione d’amore per la musica italiana, un intimo viaggio per ritrovare la delicate poesia del cantautorato più puro, onesto e autentico”.
Sono dichiarazioni importanti che vengono rispettate a pieno.
Il passato di Andrea è nella band The Vickers, lo ha portato a numerosissimi concerti e traguardi artistici e gli ha permesso di spaziare dalla psichedelica dei Tame Impala alla delicatezza poetica di Elliott Smith e Nick Drake. I cantautori italiani ai quali si ispira sono, principalmente, Franco Battiato, Lucio Battisti, Francesco De Gregori, Luigi Tenco, atterrando anche sul mondo del progressive anni Settanta, rappresentato principalmente dagli Area, dalla Premiata Forneria Marconi e dal Banco del Mutuo Soccorso.
È proprio quella dimensione, in cui “la musica italiana era un razzo, una navicella lanciata in alto”, a smuovere in lui la giusta ispirazione per creare le tracce che compongono Solo al sole – secondo al suo disco d’esordio “Oltre quello che c’è” (Technicolor Dischi, 2016).
11 brani, come tappe di un viaggio, ben musicati e arrangiati con gli strumenti classici di un complesso e con l’aggiunta di voci solistiche affidate al sax, al flauto traverso e al mandolino.
La componente elettronica c’è nella giusta misura e si amalgama bene con il resto della compagine strumentale. Si inizia subito con la canzone che dà il nome all’album, Solo al sole, introdotta da “esercizi sulle scale” familiari a chi studia il pianoforte. «Steso al sole, come un serpente, cambio la mia pelle, pancia a terra. Nella mia testa faccio sempre guerra e penso a te e non a me, io che mi trovo a rinascere, vita nuova dalla cenere».
“Ciao amore, ciao” è la citazione a Luigi Tenco che funge da leitmotiv in Dalida, dedicato all’amore tra i due cantanti. «Ciao amore ciao, eri come Dalida, pura estetica, come in quel festival». Il pianoforte è lo strumento dominante, con ritmi ben scanditi e con il “terzinato”, molto in voga negli anni Sessanta.
Cenere rappresenta la rinascita ma anche lo spaesamento, il distacco dall’attualità e la voglia irrefrenabile di farne parte.
«Dove son nato io un aeroporto, centinaia di voli sopra il mio tetto, guardare e non partire, restare e non guarire. Velocemente i boeing vanno su, le nuvole si intrecciano alle gru, io ti vorrei vicino per arrivare al mattino».
Il grande poeta Dino Campana, conterraneo de l’Albero, scrisse: «Ma come torri d’acciaio / Nel cuore bruno della sera / Il mio spirito ricrea / Per un bacio taciturno». E Quando viene sera? Forse quando non c’è più tempo. «Tieni il tempo ora, tieni il tempo ora, non perderlo che vola. Stai sul tempo ora e quando viene sera e il sole si riposa ama e ama ancora, stai sul tempo ora, ama e ama ancora».
Oh mia diletta! – titolo che ricorda il romanzo di Giuseppe Berto “Oh, Serafina!” – è una traccia dolce che gira attorno all’incertezza, all’ossessione del cambiamento. «E prova a cambiare, ho sentito nell’orecchio mio e come puoi sapere se poi non provi mai, non ti conoscerai. E forse per davvero io non l’ho fatto mai e faccio sempre quel che voglio e questo tu lo sai».
A metà disco c’è Noia e illuminazione, un brano con andamento allegro, interamente strumentale, dove c’è tutto: basso, batteria, chitarra, pianoforte, cori, percussioni, mandolino.
Ancora il tema dello smarrimento presente in Volo 573, con un cenno, forse voluto, al “concerto” di Umberto Bindi. «Mi trovo e mi perdo, rimango sempre fermo lì tra dire no e dire sì. Il nostro concerto un giorno ci sorprenderà e nuova musica sarà».
Ed ecco la chitarra acustica, pulita e ordinata, accompagnata dal basso e dalla batteria, in Vengo a prenderti, dove torna l’elemento naturale centrale del disco: il sole. «Avremo il sole in faccia, amica mia. Non penserò a niente, ti giuro, e così sia. In questo momento tutti urlano, a me non importa, questo tempo è stupido». Una bellissima dichiarazione di “odio” nei confronti di una società – quella attuale – dove chi non sa parla, anzi grida; urla bene, con grande intensità, il sassofono di Filippo Orefice, quasi come quello di Gato Barbieri in Modena di Venditti.
È davvero Tutto ok? Forse no. Di certo è indispensabile fare come l’Albero, fissare la finestra cercando la propria via, magari ascoltando l’assolo di chitarra di Raffaele Lampronti.
Il mattino ha l’oro in bocca, pezzo ancora interamente strumentale, riporta a sonorità ecclesiastiche, dovute alla presenza massiccia dell’organo. La traccia che chiude il disco si chiama Parlami di te. «Parlami di te come non hai fatto mai, io ti parlerò di me come non hai fatto mai». In un’esistenza dove il futuro “appartiene solo a chi è sicuro” non resta altro che incontrarsi magari al parco, alle sette.
L’amore cantato da l’Albero è gentile, dolce, attende. Andrea crede nell’espressività della musica che, come lui stesso dichiara, “comporta aver fatto i conti con sé stessi, guardarsi dentro, piacersi, non accettarsi, buttarsi via e riprendersi”: tutte operazioni rischiosissime ma che, nel suo caso, hanno portato a bei risultati. Questo album ne è la chiara dimostrazione.
Francesco Saverio Mongelli
Classe 1997. Autore di canzoni, poesie, saggi, articoli e racconti. Musicista e scacchista, appassionato anche di antimafia, attualità, giornalismo, arte e cinema.