“Gran Riserva” è il titolo del nuovo album di Carmine Tundo, l’eclettico musicista salentino che stavolta si firma con lo pseudonimo latineggiante Diego Rivera. L’album è da ascoltare, non fosse altro che per comprendere in senso profondo come la musica possa essere fortemente evocativa.
Ascoltare “Gran Riserva” richiede attenzione, forse la stessa da prestare quando si guarda una vecchia pellicola western con colonna sonora di Ennio Morricone. Il riferimento non è casuale: alcune sonorità di questo album lascerebbero pensare proprio al grande compositore italiano. Per intenderci, parlo delle percussioni prepotenti e ben scandite, delle chitarre classicheggianti alla Astor Piazzolla, dei riverberi roboanti. Inoltre, non mancano tracce strumentali che potrebbero assumere il ruolo di guida dell’ascoltatore, anticipando i giochi armonici e ritmici del brano successivo.
Carmine Tundo, già noto con La Municipàl, sorprende con un progetto che segna un’evoluzione artistica notevole sia nelle sonorità che nei testi. Tono dissacrante, romanticismo nascosto tra le righe e ironia si mescolano in un vortice emozionale di suoni e poesie. Ne ho parlato con Carmine Tundo per saperne di più.
Dunque, Diego Rivera è il nome del tuo nuovo progetto. Ma chi è Diego Rivera?
Diego Rivera è uno pseudonimo che ho deciso di utilizzare prima di tutto in onore di mio zio Diego che non c’è più, Poi è anche il personaggio di un romanzo che sto scrivendo e che vedrà la luce nei prossimi anni.
Cosa diresti al Carmine di dieci anni fa? O meglio, a Romeus.
Cercherei di non dire nulla, sinceramente. Credo che sbagliare, in qualsiasi ambito della vita, sia ciò che ti fa ripartire da zero e cercare sempre nuove avventure. Quindi direi che ogni sbaglio che ho fatto mi ha portato poi a essere quello che sono. Credo che sia tutto parte di un grande percorso.
Alcune sonorità lascerebbero pensare ad atmosfere alla Ennio Morricone. Da dove deriva questa scelta?
Avevo questi suoni in testa da un po’ di anni e ho cercato di svilupparli. Sicuramente quello che mi piace suscitare con questo album è la memoria di alcune pellicole un po’ sgranate, dove magari ci sono delle storie antiche, che si rincorrono nel corso degli anni. Ovviamente, producendo l’album, ho cercato di spingermi molto oltre con le sonorità. Di fatto, abbiamo inserito anche qualche citazione appartenente a qualche pellicola del passato. Il parallelismo con il cinema è qualcosa che mi è sempre interessato.
Sfumature classicheggianti e molto chitarristiche: si percepisce che queste tracce sono come dei brevi film che, tra l’altro, sono anche collegati e permettono così di avere una visione di insieme.
Sì, è un qualcosa che cerco di fare da un po’ di anni con i miei album collegare tutte le tracce affinché si possa accompagnare l’ascoltatore. Quindi, alcune tracce brevi servono a voltare pagina oppure a introdurre il brano successivo. Quindi cerco sempre di avere una visione globale dell’album, piuttosto che pensare ai vari singoli da estrarre.
Credi che non sia possibile risultare disorientante agli occhi del pubblico, essendo così poliedrico?
Credo di essere disorientante come persona. Il mio modo di fare musica rispecchia il mio modo di essere, inoltre, ogni anno o due, cerco di ripartire da zero. È una mia necessità artistica e creativa, cercare di realizzare quello che ho in testa. Se lo posso pensare, lo posso anche fare. Poi alcune cose possono passare in secondo piano, come ciò che pensa la gente. Fare musica, per me, è un modo di esistere e vincere le mie sofferenze.
Il titolo dell’album è “Gran riserva”. Suppongo che non derivi solo dal vino. O sbaglio?
Quello che ho immaginato per questo disco e sicuramente per tutto il progetto ha a che fare con un’età un po’ più adulta. Si tratta di un album un po’ più maturo rispetto a quelli precedenti e che probabilmente mi sentirei a mio agio nel suonarlo anche fra dieci anni, rispetto alle altre cose che faccio, un po’ più figlie del loro tempo. L’album “Gran riserva” è un po’ più fuori dal tempo ed è come se fosse un vino vecchio che lasciato lì, invecchiando, magari migliora. È un progetto che non ha un tempo, ecco.
Nadir è la prima traccia di questo progetto e significa “controparte”. È un caso?
Sì, diciamo che è una scelta anche simmetrica all’ultima traccia “sarà come morir” che, tra l’altro, riprende le sonorità di Nadir. Sono due brani complementari. L’idea è di dare una visione simmetrica dell’album
C’è un filo rosso in quest’inferno?
Sicuramente. Credo che ci sia. Credo che la sofferenza generi, in me personalmente, una sorta di ribellione interiore che mi ha portato poi a spostarmi un gradino avanti nel mio percorso umano. credo che la sofferenza sia necessaria per spingersi oltre.
Scopri tutti i progetti discografici di Carmine Tundo, clicca qui