Alfredo Cohen e il canto ribelle dell’omosessualità
Qualcuno lo ricorda nel ruolo del cantante castrato ne Il marchese del grillo (Monicelli, 1981) o come interprete di Osvaldo detto “La Fendessa” in Parenti serpenti (Monicelli, 1992). Gli amici del Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (FUORI!), di cui Alfredo Cohen fu fondatore e redattore, ne avranno memoria per esser stato uno dei più importanti attivisti. Laureato all’Università di Urbino, professore di lettere a Torino, fu regista e attore di alcuni spettacoli molto importanti per quell’epoca, inquadrabili nel teatro sperimentale e di denuncia sociale poiché trattavano in modo ironico e drammatico l’argomento dell’omosessualità: Dove vai stasera amico? (1974) Oggi sul giornale (1975), Salve signori sono normale (1976), Il signor pudore (1977), Mezza femmena e zi’ Camilla (1978), ed altri.
Ma, in realtà, Alfredo D’Aloiso (Lanciano, 1942 – Tunisi, 2014) – ereditò il cognome Cohen dalla madre – fu soprattutto un cantante, autore sia dei testi che delle musiche. Il suo unico album, frutto dell’incontro con Franco Battiato che curò gli arrangiamenti, uscì nel 1977, intitolato Come barchette dentro un tram, ristampato solo nel ’98, oggi fuori catalogo.
Si tratta di un lavoro complesso, sofferto e originale.
Il modo in cui Cohen affronta la sfera dell’omosessualità – comprese le violenze, la prostituzione e le repressioni della società – ha un impatto fortissimo perché arriva in modo diretto e sconvolgente. Il suo timbro caldo, profondo, a tratti tenebroso, esprime con serietà la condizione di quegli anni. Su un letto di violini struggenti si stendono I vecchi omosessuali, «città dai mille mari, dove li ha confinati? I vecchi omosessuali, destini consumati, vanno a raggiungere, senza sorridere, i tuoi giardini dove un giorno fecero pompini».
È già nella seconda traccia, Tremila lire, che si raggiunge l’apice dell’album. In stile canzonatorio, le drammatiche parole, come in una nenia cerimoniosa, in un cinema di periferia.
«Tremila lire mi devi dare, tremila lire devi pagare, tremila lire e stai con me, tremila lire se vuoi sapere, tremila lire se vuoi toccare, tremila lire e stai con me».
Non bisogna dimenticare che gli anni Settanta furono decisivi per la rivoluzione omosessuale italiana
Nel ’71 il poeta Dario Bellezza irruppe con Invettive e licenze, il 5 aprile del 1972 si svolse a Sanremo “lo Stonewall italiano”, Gian Pieretti pubblicò forse il primo album gay italiano, Il vestito rosa del mio amico Piero (1973), lo stesso anno dell’esordio di Renato Zero; tre anni dopo i Pooh canteranno Pierre, sino al ‘77 anno di pubblicazione del libro Elementi di critica omosessuale di Mario Mieli.
Le canzoni di Alfredo Cohen sono crude, accusano come filastrocche, contro Il signor pudore, condannando la dannazione dell’amore, come in Non ho ricchezze non ho paesi non ho tesori non ho città.
«Non ho rimpianti, non ho paure: chi vuole avermi l’ho avuto già. Maledetto sia l’amore che un abbraccio non darà».
Quelli furono anni in cui alcuni “invertiti” venivano rinchiusi nei manicomi e sottoposti all’elettroshock, pensando così di reprimere quel tipo di impulsi. Cohen definì quei teorici omosessuofobici come dei “briganti psicoanalisti”. Nanda Pivano scrisse di lui.
«Ripeto, si tratta di versi. Il ragazzo dolce come un marshmellow è poeta prima che musicista, ed è represso prima che poeta».
Uno dei luoghi peggiori per un omosessuale era l’esercito, in anni in cui la leva era obbligatoria.
Immaginarsi la condizione di supremazia e machismo che spesso cozzava con l’intimità e la sensibilità di un diverso. Signor tenente è tutto questo, il vano tentativo di sentirsi se stessi.
«Signor tenente ti devo dire immantinente che c’è poco da capire, ci succede proprio là, quando in branda noi andiam, con la notte che ci dà tutto ciò che noi vogliam».
Il gesto di rivolgersi ai fanciulli, ai se stessi di quell’età, è comune anche a Cohen, in Dolce ragazzo, vai, componi prati, una poesia letta lentamente, scandendo ogni sillaba, tra fiori di battaglia e baci mai pensati. Contro la virilità che deve risparmiare i giovinetti, vittime dell’altrui frustrata senilità; ma spesso non fu (e non è) così.
«La mia virilità è un morso di bacio falso, buono per giudicare quelli che noi baciamo, buono per minacciare quelli minacciati, buono per governare i fiati dei ragazzi».
Qualcuno ricorda Valery? Forse no. E Alexanderplatz invece? Forse sì.
Ebbene Valery – canzone dedicata alla transessuale Valérie Taccarelli, attivista del bolognese “Circolo di cultura omosessuale 28 giugno” – scritta da Cohen e pubblicata nel ’79, musicata da Battiato e Giusto Pio, fu la prima versione del celebre brano Alexanderplatz, cantato anche da Milva. Sull’altro lato di quel 45 giri c’era Roma, omaggio al poeta e intellettuale corsaro Pier Paolo Pasolini.
Alfredo Cohen rappresenta la ribellione musicale a tutta una serie di parole che di consueto venivano sciorinate dagli ignoranti e dagli stupidi e che tuttora vengono scritte e vomitate dai perdenti della vita: «Arrestato – Braccato – Schifato – Evitato – Ucciso – Deriso – Sorpreso – Indifeso – Pestato – Annullato – Violato – Castrato – Anormale – Schifoso – Invertito – Finocchio – Malato – Appestato – Vizioso – Corrotto – Bastardo – Ricchione – Buchetta – Bucone».
Alla domanda delle domande, Alfredo Cohen rispose così: «Omosessualità significa pensare alla carezza e non al pugno. È un nuovo stile di vita. Ci accusano di fare della “questione sesso” il problema più importante della nostra vita, e io dico che questo è bellissimo. E a cosa di altro di meraviglioso dovremmo pensare? Alle guerre? Agli odi razziali? Alle carriere? Scopare è troppo bello, per non farne il pensiero principale della giornata!»1.
Il consiglio, rivolto a tutti, è quello di ascoltare questo disco facendo uno sforzo mentale
Pensare a cosa significava essere omosessuale cinquant’anni fa, a quella società, a quei pensieri retrogradi e a tutte le grandi conquiste che sono state fatte pagando con sangue e sudore. L’invito di Alfredo Cohen è quello di vivere senza paura, con il sogno sempre nella tasca, senza mai perdere l’aspirazione ad una qualche forma di felicità, nella quale l’amore e il sesso sono componenti necessarie e sufficienti, perché in fondo viviamo un po’ tutti come barchette dentro un tram.
[1] Marco Sanna, Alfredo Cohen, “Babilonia” n. 10, gennaio 1984, p. 37.
Francesco Saverio Mongelli
Classe 1997. Autore di canzoni, poesie, saggi, articoli e racconti. Musicista e scacchista, appassionato anche di antimafia, attualità, giornalismo, arte e cinema.