C’è una linea sottile che separa l’immaginazione dalla realtà e anni di studi sulla mente umana ce l’hanno insegnato. Ciò che teniamo segreto, relegato all’inconscio, prima o poi finisce per riemergere e parlarci a gran voce.
Gli Hope at the Bus Stop, con il loro debut Album “And a Thousand Other Things”, uscito il 12 febbraio per Iohoo Records, sono riusciti a trascrivere in musica le sensazioni inquiete di chi attraversa luoghi familiari per anni, fantasticando su ciò che è stato, ciò che poteva essere e ciò che sarà. La band padovana, con due EP all’attivo, arriva con un disco che abbraccia sonorità indie-rock d’Oltremanica, costruendo un’identità musicale solida e originale.
Floating Around è il brano d’apertura del disco: un manifesto musicale che anticipa alcuni dei tratti distintivi della Band. Un sound travolgente guidato dal tempo che accelera, per poi rallentare, adagiandosi su suoni più morbidi e distesi. Sul finire del Brano, si ha la sensazione di entrare in una dimensione intima, priva di convenevoli e barriere, dove il racconto può iniziare. Segue Dreams As Dresses, pezzo che avanza deciso, armandosi di riff di chitarra taglienti, cori anni ’90 e un cantato piacevole che fa da contrasto all’impalcatura sonora decisamente più rock.
L’Album prosegue con un susseguirsi di pezzi che esaltano il lato più narrativo del lavoro.
Testi riflessivi e visionari incontrano la naturale abilità della Band nell’esprimere emozioni intense, tramite la combinazione studiata di voce e musica. Degno di nota, a mio avviso, è A Kind of Dancing Mist: brano maturo e dinamico, in cui si racconta la fine di una relazione tramite sonorità indie-rock, immergendo l’ascoltatore in sensazioni di distacco e sollievo.
In chiusura, troviamo Fishes Cluttering the Sea, ballata folk dai toni rilassati, potenziale “Sottofondo arido di un film western qualsiasi”. Tuttavia, è con l’ultimo brano, Walloping, che gli Hope at the Bus Stop riprendono la loro corsa, fatta di partenze rapide e immediate, frenate e ritorni, mentre intorno passano mille altre cose.
Gli Hope at the Bus Stop, con And a Thousand Other Thigs, arrivano a consolidare un progetto musicale promettente e notevole. I presupposti per una carriera lunga e attiva nell’alternative italiano, a mio avviso, ci sono tutti.
Se, come noi, siete curiosi di conoscere qualche retroscena sulla Band e sul loro Disco, leggete l’intervista qui sotto!
“And a Thousands of Other Things” è il vostro album di debutto, tuttavia siete attivi sulla scena musicale già da qualche anno. Quant’è durato il processo di scrittura del Disco? Quando avete capito che era il momento giusto per pubblicare l’Album?
Abbiamo iniziato a scrivere l’Album dal 2013, circa. La composizione in sala prove però è avvenuta solo a gennaio del 2019 con la nuova formazione. All’interno ci sono brani compresi in un arco di 6 anni, dal 2013 al 2019; alcuni dei più vecchi sono stati presi e rielaborati, dal testo all’arrangiamento, in quanto sentivamo la forte necessità di aggiornarli a standard di scrittura più recenti. Per quanto riguarda il momento “giusto”, questo è arrivato consecutivamente a tutto il percorso, non siamo dei grandi strateghi, fosse per noi, se avessimo 6 album pronti li butteremmo fuori anche adesso. Il punto è assecondare il ciclo, quindi concerti-scrittura canzoni-sala prove-registrazione-pubblicazione, è tutto avvenuto in quest’ordine.
C’è un filo conduttore che lega i brani di “And a Thousands of Other Things”?
Direi di no. Non si tratta di un concept – ci sarebbe piaciuto realizzarlo ma nelle condizioni a mio giudizio molto difficili nelle quali l’album è nato non ce n’è stata la possibilità. Considero un piccolo miracolo anche solo il fatto che il disco abbia visto la luce – è un sopravvissuto! Piuttosto, si tratta di schegge sparse tra “mille altre cose” proprio come dice il titolo… eppure senza dubbio un legame tra tutto si percepirà, un centro di gravità… Per quanto riguarda l’ordine dei pezzi, sì, è studiato.
“A Kind of dancing Mist” è uno dei brani che preferisco . Di cosa parla?
Fa parte dei brani vecchi ripresi e “restaurati”. All’inizio il testo parlava di Dio, ma essendo tra i primi scritti in assoluto era acerbo e un po’ ingenuo. Aggiornandolo abbiamo sostituito la figura di Dio con quella dell’epifania. Quindi, in sostanza, parla di epifanie, di ritrovarsi inermi davanti a queste, il tutto all’interno di una cornice cinematografica. Il protagonista, infatti, si trova in una vasca da bagno.
C’è un pezzo all’interno dell’Album che trovate rappresentativo o a cui siete particolarmente affezionati?
Io dico la prima, “Floating Around”. Non a caso è stato messo in apertura. Per me è il brano che suona meglio, in termini di realizzazione finale; ma soprattutto racchiude il massimo delle potenzialità di questo gruppo, di questa nostra alchimia che ha dato vita a un viaggio, accidentato ma lungo…
Ascoltando “And a thousands of other things”, ho trovato il vostro stile musicale ibrido, ma allo stesso tempo ritmicamente e sonoramente molto particolare. Chi si occupa della composizione all’interno della Band? E su che stile musicale vi collochereste?
Ad ora la composizione delle canzoni si è sempre suddivisa tra me (Giovanni) e Alberto. Scriviamo le canzoni separatamente e le portiamo in sala prove agli altri musicisti. Lì poi diamo delle linee guida e arrangiamo il brano insieme. Il lavoro si conclude in studio per quanto riguarda dettagli e rifiniture ultime. Come stile musicale ondeggiamo nel filone dell’alternative tra pop e rock, direi io.
La scelta della scrittura in lingua inglese, nel panorama indie contemporaneo, appare quasi in controtendenza rispetto al ritorno in auge dei testi in italiano. Avete sempre scritto in inglese? Vi hanno mai consigliato di passare all’italiano?
All’interno di questo progetto abbiamo sempre scritto in inglese… e sì, ce l’hanno consigliato eccome di passare all’italiano! Ma a quanto pare siamo duri. Il punto è che scriviamo in italiano in altri contesti e forme, ma le influenze condivise che hanno dato origine al gruppo sono davvero MOLTO anglofone! Inoltre, abbiamo una motivazione per continuare a studiare una lingua straniera. Fa sempre comodo.
Come ve la cavate con la dimensione live? Vi manca esibirvi o preferite i momenti di registrazione in studio?
Ci manca moltissimo, poi già eravamo a secco di live nel 2019 in quanto ci stavamo assestando con la nuova formazione, dedicandoci anche alla scrittura del disco. Quindi capisci che sono due anni che non abbiamo un’intensa sessione di live e questo ti porta via lentamente degli obbiettivi e il proiettare il tuo progetto musicale fuori dalle teste di noi singoli. Amiamo anche i momenti di registrazione in studio, sono elettrizzanti, imprevedibili e sempre diversi come esperienza.
Quand’è stata l’ultima volta che vi siete esibiti live?
A febbraio e marzo di quest’anno abbiamo fatto un paio di concerti in streaming grazie alla mitica etichetta padovana Iohoo Records che ci ha invitati. Noi stessi avevamo auto-organizzato una diretta live in autunno/inverno, con mezzi molto più casalinghi. E’ stato bellissimo rimanere “vivi” in questo senso e persino il contatto anche solo virtuale con i nostri ascoltatori è stato quasi commovente. Come tutti, speriamo ovviamente in ben altri sviluppi… non troppo lontani. L’ultimo concerto davvero dal vivo invece è stato se non sbaglio ad un piccolo festival ad agosto 2020.
Abbiamo visto che ad alcuni brani, avete associato dei lavori grafici di Dunia Maccagni (davvero azzeccati e suggestivi). Com’è nata questa collaborazione? Parlateci un po’ dell’idea.
Ho conosciuto Dunia nel 2019 a Venezia grazie a giri di amici dell’università. Tra un aperitivo e l’altro è saltata fuori l’idea di collaborare per la nostra copertina del disco ma era ancora presto ed era una cosa detta quasi per scherzare. Nel 2020 in mezzo a tutto il casino che conosciamo, al momento di pensare alla parte grafica mi ricordo di lei e le scrivo, lei accetta. Da qui le ho dato solo qualche linea guida e qualche riferimento che non credo si sia neanche guardata ahah, ha fatto tutto lei e ne siamo usciti molto soddisfatti entrambi!
Progetti futuri?
Stiamo lavorando sempre a nuovi pezzi. Visto che l’album, la cui uscita era già pianificata da tempo, rischierebbe di cadere “nel vuoto” poiché per ora non si suona, faremo probabilmente uscire nel futuro prossimo qualche sorpresa.