“Milva canta Brecht”, cinquant’anni dal connubio con Strehler
È il 1971. Il mondo piange la morte di Jim Morrison, frontman dei Doors, e del rivoluzionario americano George Jackson. In Italia viene assassinato dalla mafia il magistrato Pietro Scaglione. Continua la sanguinosissima guerra del Vietnam, a Londra apre il primo Hard Rock Cafe, esce Imagine di John Lennon.
L’Italia è sommersa dal piombo, da sinistra a destra: manifestazioni studentesche, bombe e tafferugli sono all’ordine del giorno. Bertolt Brecht (1898-1956), drammaturgo tedesco, è certamente tra gli autori più letti, meglio se nella pregiata edizione Einaudi della mitica collana “I coralli”. Sicuramente una canzone o una poesia sarà scappata a tutti, o quasi.
Ma è in teatro che Brecht risorge.
L’opera da tre soldi, uscita nel 1928, ne è un chiaro esempio. La critica anti-capitalista è impersonata dalla vita e dalle gesta di una banda di delinquenti, meretrici e ruffiani, tra dramma e umorismo. Fortunato chi ebbe la fortuna di vederla dal vivo rappresentata al Piccolo Teatro di Milano con la direzione del triestino Giorgio Strehler, la cui vita è ben raccontata nel libro di recente uscita scritto da Cristina Battocletti.
Strehler non fu soltanto un maestro del teatro, geniale innovatore, illuminato e carismatico, ma fu anche il pigmalione di attrici e cantanti, come Ornella Vanoni. Tra queste c’è soprattutto Milva (1939-2021), al secolo Maria Ilva Biolcati, soprannominata la Pantera di Goro.
Per presentarla basterebbero poche parole
Più di 170 dischi incisi e diffusi in tutto il mondo; presentatrice, attrice non soltanto teatrale; svariate volte partecipante al Festival di Sanremo, celebre per aver portato al successo canzoni come: Milord (all’interno di un bel lavoro monografico dedicato alla cantante francese Edith Piaf), La filanda, Alexander Platz (con Franco Battiato). La sua versione di Bella Ciao è unica ed è rappresentativa di un impegno sociale che Milva inaugurò già nel 1965 incidendo l’album Canti della libertà.
Dalla grande personalità, grintosa, ribelle ed elegante, i lunghi capelli rossi, le labbra avvolte dal rossetto del medesimo colore, il corpo di una sirena, aveva una grande cultura – ciò le permise anche di stringere importanti legami sentimentali – e soprattutto una voce squisitamente sua che la rese unica nel mondo.
L’album divenuto icona della sua carriera rimane Milva canta Brecht (Ricordi, 1971) la cui direzione artistica è a cura di Strehler.
Nella prima parte ci sono quattro poesie di Brecht, musicate da Hanns Eisler, nella seconda tre brani tratti proprio da L’opera da tre soldi, musicati da Kurt Weil. La voce di Milva è accompagnata semplicemente da un pianoforte suonato egregiamente da Walter Baracchi.
Si comincia con la storia del suicidio di una donna che “avvolta dalle alghe, scavata dall’acqua si trasforma in una cosa, dimenticata da Dio” in Ballata per una ragazza annegata, proseguendo con il velo da lutto, ultimo regalo ne la Ballata della donna del soldato nazista, sino alla Ballata di Maria Sanders, “prostituta per ebrei”, innamorata di un ragazzo non di razza ariana e per questo esposta a pubblico disprezzo nell’orrendo Terzo Reich.
L’atmosfera disperata non tende ad alleggerirsi in Nel letto in cui siamo staremo. La canzone vede ancora protagonista una prostituta, costretta a vendersi, in una società che non fa sconti. La particolarità del brano è la grandezza di Weil nell’alternare ritmi altalenanti, lenti e distesi ad altri martellanti e oppressivi, specchio di una vita condotta tra momenti di esagerata spensieratezza ed altri di profondo sconforto.
Il lato B del disco comincia con Jenny dei pirati, una canzone di rivolta
Una donna, esausta dal lavoro, attende al molo una nave pirata che simbolicamente rappresenta la vittoria rivoluzionaria del proletariato sulla borghesia, “tutta vele e cannoni”. Ma all’amor non si comanda, questo lo sa bene la protagonista di Barbara song che attende il suo amore e «anche se la luna splende in ciel, anche se la notte è calma e senza vel, non si deve andar più in là».
Nella Ballata della schiavitù sessuale la signora Peachum, vecchia affarista, – dopo l’arresto di Mackie Messer, “il più grande e più famoso criminale di Londra” – racconta la realtà dell’uomo che, prima o poi, cede al sesso, “dolce schiavitù”. L’ultima canzone è Surabaya Jonny e narra le vicende di un gangster mentitore e violento e della sua compagna che tutto sopporta per amore.
La cifra stilistica di Milva, anche in virtù delle successive rappresentazioni teatrali del progetto discografico, è ben espressa tra le righe di in una lunga e generosa nota di Giorgio Strehler, riportata all’interno del vinile:
«La canzone “tutta cuore e passione” è quella che ha reso Milva una cantante di grande successo. […] Ciò che prima di tutto io avevo intuito nel mondo-Milva erano queste qualità che trovavano, secondo, la loro base su una chiara matrice popolare del personaggio-Milva. Ora, al di là di ogni discussione teorica, è proprio questa realtà popolare, pur filtrata attraverso la cultura più qualificata, che costituisce il sottofondo vitale dell’opera di Brecht e dei melos dei suoi musicisti.
[…] Forse qua e là si troveranno nelle interpretazioni di Milva degli scarti più poetici di ciò che la fredda teoria richiede. Ma le “teorie” sul palcoscenico sono sempre da verificare a contatto con la realtà: quella della collettività che ascolta, quella della lingua in cui si parla, quella della natura dello spettatore a cui si rivolgono e della posizione di questo spettatore nel suo contesto sociale. Anche in questo, i risultati del lavoro di Milva sono, per molti aspetti, esemplari».
Francesco Saverio Mongelli
Classe 1997. Autore di canzoni, poesie, saggi, articoli e racconti. Musicista e scacchista, appassionato anche di antimafia, attualità, giornalismo, arte e cinema.