I Moca sono una band spezzina di casa La Clinica Dischi. Si tratta di un progetto musicale paragonabile a un buon caffè: può anche non piacere, in un primo momento, ma dopo un po’ non si può farne a meno. I Moca, come il caffè, sono portatori sani di pura energia. E se qualcuno s’azzarda a pensare che si tratti solo di effetto placebo, in questa sede proviamo a smentire: non è questo il caso di effetti benèfici dati solo dal pensiero, bensì dall’ascolto puro del progetto Moca.
È nel 2020 che i Moca propongono un primo album, il primo volume di “Oplà”.
Assimilabile ad un caffè preparato con la moka, è un album tenue ma scorrevole, fruibile ma con una punta d’amarognolo sul finale. “Oplà” è l’inizio di un percorso, caratterizzato da una produzione autentica e cristallina, potente e precisa. Brano manifesto dell’album è probabilmente “Relazionatore”. La traccia sembra scorrere attorno ad una spirale doppia di rassegnazione e di speranza in ambito amoroso-esistenziale. Ma guardando complessivamente all’album ci troviamo dinanzi a un meccanismo eterogeneo di disposizioni sonore. Non c’è univocità in questo progetto. Ma forse è questo il tratto migliore di riconoscibilità.
Difatti, l’idea alla base delle nove tracce che compongono questo primo volume è di stampo cantautorale “tradizionale” (se si può ancora parlare di tradizione). Ovvero: sono alquanto palesi – e anche opportune – venature battistiane condite con ingredienti più modernamente elettronici.
Ma questo non dispiace e ci conduce per mano all’ascolto di “Oplà vol.2”, completamento stilisticamente necessario al percorso iniziato con “Oplà vol. 1.”
Come si è detto per il primo volume, anche il secondo è alquanto eterogeneo, seppur mantenendosi riconoscibile. Ma se il primo album è leggermente più cupo, probabilmente questo secondo volume è più estivo, solare o addirittura ballabile. Coerente sì, ma indubbiamente evoluto. Anche qui la produzione è sapiente, con sonorità più ritmicamente insistenti. “Oplà vol.2” è studiato per essere ascoltato d’estate, sulla spiaggia, dopo essere arrivati tardi all’appuntamento.
Dunque, parlando di “Oplà” come il percorso degli ultimi quattro anni, portato avanti dai Moca, non si può non dire che ci stiamo confrontando con un’attitudine compositiva di elettronica cantautorale post-moderna e chiaramente fruibile in modo ottimale. A caratterizzare entrambi i volumi, sonorità fresche e sperimentazione, fino a lasciar evincere un’irreversibile attenzione ed eclettismo artistico.
I Moca sono narratori di una ricerca della spensieratezza, all’interno di un contesto di quotidianità aumentata. L’esplorazione tecno-luminosa dei brani rende “Oplà” un caleidoscopio di momenti irriducibilmente contemporanei. Ascoltare i Moca vale la pena perché è come sorseggiare quel buon caffè di cui dicevamo prima, in buona compagnia, con la giusta colonna sonora.