Erica Mou è una di quelle artiste che sembrano senza tempo perché ha iniziato la sua carriera oltre 10 anni fa, ma è allo stesso tempo perfettamente nei tempi attuali avendo da poco superato la soglia dei trent’anni. Si tratta del sesto album per la cantautrice pugliese che ha scelto un titolo leggibile e declinabile in inglese, francese, pugliese… “Nature“.
La prima volta che ho ascoltato Erica era il 2011, io avevo 16 anni e, come ogni anno, aspettavo il Festival di Sanremo come i bambini “normali” aspettano Babbo Natale il 25 dicembre. Quell’anno esordì con il brano Nella vasca da bagno del tempo nella sezione Sanremo Social, dedicata ai giovani artisti, e ricordo bene la sensibilità e la convinzione di quella ragazza.
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Erica Mou negli anni ha fatto tante esperienze lavorative, non solo in campo musicale ma anche in campo cinematografico. Ha anche scritto un libro ma è tornata sempre alla musica come sua massima espressione artistica.
Chi conosce quest’artista riconosce, in questo nuovo lavoro discografico, una coerenza molto forte con il passato, ma anche una spinta maggiore sull’acceleratore degli arrangiamenti, che si addentrano in una selva elettronica ancora non esplorata prima.
Così Erica prende per mano l’ascoltatore, lo rassicura e lo porta con sé in questo viaggio attraverso istinto, passione e natura.
Il primo passo è il risveglio Fuori dal letargo e così inizia il volo. In questo disco c’è un brano che mi fa immaginare come sarà un giorno diventare mamma: Cinema fotografa i nostri figli tra vent’anni; chissà se scriveranno a mano libera o faranno i conti a mente. E poi c’è Animals che, fondendo italiano e inglese, riproduce una danza tribale come tra predatore e preda; con Neinde, invece, ci riporta alle sue origini utilizzando il dialetto barese.
La mia traccia del cuore è Sul ponte: un invito a sentire le cose senza bisogno di troppe spiegazioni; una complicità fatta di paure e promesse ma anche di certezza, quella di arrivare insieme dall’altra parte della sponda. Come un cerchio che si chiude, come il ritorno da un viaggio bellissimo, il disco di Erica Mou si conclude con Maremadre, una strumentale in cui ascoltiamo il suono del mare, l’origine di tutto.
In un mondo che corre veloce tra canzoni usa e getta, melodie facili, rime strappalacrime, il disco di Erica Mou mi sembra un miracolo, una luce, una scintilla e una speranza.
Prendetevi poco più di una mezz’ora, magari in una domenica di pioggia come l’esatto istante in cui sto scrivendo queste parole, e fate pace con il vostro Io interiore, con i dubbi, le paure, le incertezze che ci rendono così estremamente soli ma anche così estremamente vicini e uguali quando ci rendiamo conto che facciamo tutti parti dello stesso Universo e siamo dei puntini piccolissimi ma unici.
Ho avuto modo di intervistare Erica Mou a proposito del suo nuovo disco, eccome come è andata…
Ho ascoltato il tuo disco due o tre volte per essere sicura di percepirne l’essenza con un ascolto più attento e profondo. Fin da subito mi sono sentita invasa da un senso di forte spiritualità che pervade tutte le canzoni. Quanto questa dimensione ha guidato il tuo flusso creativo?
Negli ultimi anni ho trovato una mia inedita dimensione spirituale che, in effetti, irrompe anche nelle canzoni.
Vengo da una famiglia atea, non sono battezzata e non ho mai creduto in Dio; trovo però la spiritualità nelle cose della natura, nelle montagne, nel mare, nelle stelle, negli occhi di alcune persone, in tutta questa meraviglia in cui siamo immersi e che mi viene voglia di ringraziare, con cui sento il bisogno di dialogare.
Mi ha colpito l’uso di diverse lingue, dall’inglese all’italiano, passando per il tuo dialetto pugliese. Cosa ti ha insegnato la tua terra e hai mai avuto il desiderio di andare via?
Sono andata via più volte, per vivere in altre città in Italia e all’estero. Ed è proprio la Puglia, con la sua storia, che mi ha insegnato la bellezza della contaminazione.
“Siamo lacci di scarpe, inciampiamo in noi stessi”. Questa frase mi ha fatto riflettere su quanto a volte ci costruiamo delle gabbie e finiamo per essere aguzzini di noi stessi. Ti è mai capitato di inciampare in te stessa? Se sì, come hai fatto a rialzarti?
Ci inciampo continuamente e, continuamente, mi rialzo. Nonostante gli auto-sabotaggi, le gabbie dorate, le paure, le ansie, nel momento del bisogno faccio sempre appello a una parte profondissima di me che è molto luminosa e che viene fuori nelle difficoltà.
“Ti prometto adesso, dentro le tempeste, di resistere”, è una frase di una canzone di questo album (Sul ponte), nella quale credo ciecamente.
Una piccola perla rara del disco è l’interpretazione di Sono una donna non sono una santa, celebre canzone interpretata cinquant’anni fa da Rosanna Fratello. Nonostante sia stata scritta molti anni fa, questa canzone sembra più attuale che mai. Che idea hai di questi tempi che stiamo vivendo e secondo te cosa si potrebbe fare per combattere certi tabù ancora troppo evidenti?
La parità dei sessi è ancora lontana a livello legale e lontanissima a livello culturale, nel nostro paese. Ho molta fiducia però nella nuova generazione che vedo crescere con orizzonti più ampi e con una più profonda idea di umanità. Dobbiamo lottare tutti uniti.
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Hai fatto tante cose in questi 10 anni di carriera, dal cinema, al teatro, alla musica, incontrando posti e persone che ti hanno cambiato la vita. Se incontrassi la te del 2011, cosa le diresti?
Le direi che è davvero troppo testarda! E che il meglio verrà da ora in poi.
C’è qualche esperienza in particolare che ha veramente segnato un punto di passaggio tra l’età adolescenziale e quella adulta? A tal proposito ti chiedo anche che rapporto hai con il tempo che passa.
La morte di mia madre, senz’altro, ha accelerato questo processo. Chi ha perso un genitore penso possa capire quello che intendo: un giorno sei una figlia, quello dopo sei una donna. Da lì ho cominciato a prendere decisioni, anche difficili o rischiose, che però riguardavano il mio benessere e i miei desideri, non più i sensi di colpa e le consuetudini. Il tempo che passa può essere crudele ma è la cosa più preziosa della nostra vita, viviamo per crescere, per evolvere.
Concludiamo l’intervista con uno sguardo sugli ascoltatori. Oggi la musica cambia velocemente ed è molto diversa da quando hai iniziato tu a fare questo mestiere. Mettiamo il caso che qualche ragazzino di vent’anni non ti conoscesse e scoprisse per la prima volta le tue canzoni, come vorresti che leggesse questo tuo sesto lavoro discografico?
Come preferisce lui.
In copertina uno scatto di Luca Bellumore
Giulia Perna
Meglio conosciuta come @machitelhachiesto. Salernitana di nascita e bolognese per amore di questa città. Ha conseguito il titolo di Laurea specialistica in Comunicazione pubblica e d'impresa presso l'Università di Bologna. Si definisce "malinconica per vocazione". Da grande vorrebbe osservare le stelle. Crede nella forza delle parole, nella bellezza che spacca il cuore e nella gentilezza rivoluzionaria. Le piace andare ai concerti, mischiarsi tra la gente, sentire il profumo del mare e camminare sotto i portici.