“Est modus in rebus”: esiste una misura nelle cose. Una misura nelle parole, nello spazio e nel tempo. Una misura per quello che diciamo, per il modo in cui abitiamo questo mondo e quello che verrà. Un mondo che è composto di momenti, immaginati e vissuti, immaginati o vissuti. Questo mondo complicato, ma estremamente versatile per le parole, ce lo racconta Joan Thiele, come in un manifesto, nei suoi tre Atti, usciti rispettivamente a febbraio, aprìle e ottobre 2021.
Il panorama musicale italiano ci ha abituatз a un fulcro di artisti uomini e un’ala, sempre spiegata a metà, di artiste donne.
Siamo nel periodo del Wrapped 2021 di Spotify, per cui vi pongo una sfida: andate a vedere quanti dei vostri ascolti sono di artiste donne. Se sono ancora poche, non è colpa vostra ma di una sfera musicale che ci propina tanti uomini, per cui noi remiamo con quella sfera, molto spesso verso voci maschili. Vi voglio venire incontro e proporvi di aggiungere una voce femminile alla vostra playlist, se ancora non c’è: si chiama Joan Thiele ed è una delle autrici e cantanti che – ora lo posso dire, dopo mille ascolti – non mi stancherei di sentire.
In questo anno Joan Thiele ci ha regalato una sorta di manifesto musicale, tanto maturo quanto camaleontico, con i suoi tre Atti.
Tre EP sono accomunati da una ricerca, una navigazione in domande complesse su spazio, tempo, futuro ed errori. Le atmosfere sono quelle urban e RnB, i testi quasi un flusso di coscienza che aveva necessità di venire fuori. Un flusso non confuso però, quanto ben definito con metafore e accostamenti per niente banali.
Potrei stare qui a recensirvi parola per parola i testi di ogni Atto, ma non credo sia necessario poiché hanno interpretazioni e dicotomie che sono molto più belle da scoprire che da esaminare. Posso però raccontarvi che in ogni atto c’è una urgenza, una necessità. C’è, inoltre, un’eleganza senza tempo, che si muove attraverso la voce di Joan Thiele.
La misura di cui parlavo è il doppio, il contrario, la dicotomia: spazio/tempo, presente/futuro, giusto/sbagliato.
Doppio, ma anche contrario, ma perché non convivente? Joan Thiele esplora in questi tre Atti le dimensioni in cui da sempre le arti si immergono – spazio e tempo – e ne aggiunge una nuova: quella dell’errore. Perché l’errore non è una “cosa”, ma può diventare una dimensione, nel bene e nel male. Nel male, quando ci si stagna dentro e non si vede via d’uscita ma solo colpa; nel bene, quando lo si prende come un moto di ripartenza.
Atto I mescola il presente con il sogno, il futuro che verrà e che ci si immagina; un futuro che ha già in sé una memoria, che si ritrova nell’immaginario che lo precede. In Atto II, invece, arriva lo spazio con i suoi limiti ma le sue infinite possibilità: uno spazio che può inghiottire ma anche dare estrema possibilità di scoperta e di significato. Atto III, infine, riporta a una dimensione umana, quella dell’errore, che fa sempre paura: quanto ci diamo la possibilità di sbagliare? Quanto abbiamo paura di non poter ritornare indietro?
Joan Thiele è un’artista estremamente eclettica. Una donna che in tre Atti ha deciso di raccontarsi e raccontare senza mai essere scontata, portandoci in immaginari onirici e riportandoci poi con i piedi per terra, senza rinnegare il sogno. Tutto in meno di un’ora.
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Virginia Ciambriello
24 anni, nella vita mi perdo tra le strade di Bologna e scrivo tutto il giorno. "Chitarra e voce" sono le mie parole preferite.