Circa un anno fa, a inizio maggio, mi trovavo nella camera del mio appartamento a Bologna in videochiamata con Giuse The Lizia, mentre in cucina i miei coinquilini cucinavano una pasta che avrei mangiato fredda. Parlavamo dell’uni, di quanto poco mancasse alla laurea che avrei posticipato e di come gli fosse andato l’esame di diritto privato (era andato bene). Ovviamente parlavamo anche di musica e delle prove per il suo primo tour estivo, motivo per il quale non si trovava a Bologna, ma a Milano.
Fast forward ad aprile 2023, in pieno pre-MiAmi – quel periodo tra marzo e maggio che si caratterizza per un’attesa quasi liturgica – il dandy di Bagheria pubblica CRUSH, il suo primo lungometraggio in musica. Titolo paraculo, direte voi, considerando che si tratta di un ragazzo del 2001, ma andiamo con ordine.
I primi due episodi pubblicati dall’artista, Come Minimo e Lalalacrime, sono un buon biglietto da visita: momenti di vita vissuta che, seppur coerenti, non hanno un reale filo conduttore. E in quell’intervista mi parlava proprio di questo, della volontà di preservare alcuni brani che stava scrivendo per un progetto più ambizioso: l’album d’esordio ufficiale.
Una cosa che ricordo bene della chiacchierata con Giuse era la lucidità delle sue risposte fusa ad un’umiltà spiazzante.
C’è una cosa che Gno, fondatore di Maciste Dischi, suole fare prima delle uscite dei suoi artisti. Con la sensibilità di chi si espone sui social poche volte l’anno, raccoglie dei pensieri che ti bagnano gli occhi prima di sparire nel tritacarne delle stories.
“Giuse c’ha vent’anni e qualcosa. È fortissimo e oltre ad un talento sconfinato possiede un’umiltà rara e una positività contagiosa, opposta alla mia”
In un’industria, quella musicale, in cui essere real non ha nulla a che vedere con la realtà, ma al contrario significa rispettare una serie di stilemi oggettivati, Giuse the Lizia si staglia tra gli artisti emergenti più veri. A coloro che obiettano che la realness sia attribuibile ai soli cantanti hip-hop, consiglio l’ascolto di Into Street o Cara Vita. L’estro di Giuse posa su quel pilastro fondamentale che è la sincerità – tanto da intitolarci una canzone – condita da un’ironia cinica a metà tra il meme e le verità universali.
Avere come collega di etichetta Fulminacci in questo aiuta.
Ricomincio da tre, ad esempio, è uno di quei brani che teneva in serbo per l’album. Una traduzione intersemiotica di Massimo Troisi, da cinema a musica, connotata negli anni ’20. Una fotografia delle coppie vittime dell’overthinking, che induce a ipervalutare ogni decisione in fatto d’amore declassandolo al più freddo raziocinio.
Questa è solo una delle problematiche generazionali di CRUSH, un disco che fa incetta di disagi che appartengono alla società controllo. Con la leggerezza di chi fa cose importanti senza saperlo, Giuse diventa portavoce della Gen Z, e lo fa da Bologna, una città-megafono per le ingiustizie sociali.
Il legame tra il cantante e il capoluogo emiliano è palese, non solo perché ci studia. Il volto di Giuse è quello di Bologna: trasandato ma cool, insolitamente felice, con la faccia stravolta dall’after della sera prima, ma comunque in grado di alzare la voce per chi merita di essere ascoltato. La città fa da sfondo al groviglio di pensieri intrusivi che accomuna i protagonisti del centro storico, gli studenti, mentre dalle tribune fuori le mura i residenti assistono a un fenomeno universitario unico nel nostro paese.
Il titolo CRUSH è una presa di posizione eloquente per chi, come lui, si innamora facilmente e rischia di vedere qualsiasi cosa come una donna da corteggiare. Salvo poi essere assalito dalla disillusione una volta ottenuta, finendo vittima del ritardo della gratificazione tipico del sistema capitalista.
Nonostante la giovane età, Giuseppe è ben conscio di come la società odierna sia disfunzionale.
Riprova domani snocciola la psiche non solo dei Gen Z, ma anche dei millennials e di chiunque abbia perso il treno per l’età adulta. Una raccolta di immagini routinarie che accomunano studenti e giovani lavoratori: soggetti sociali che hanno la colpa di non affrontare un mondo ormai privo di senso come lo fanno i loro genitori.
Come altre problematiche generazionali recenti, vogliono farci credere che anche la procrastinazione sia una devianza psicologica isolata, ma non è così. La verità è che in un paese che ha tagliato tutti i ponti tra giovani e adulti il futuro non viene vissuto con slancio vitale, ma come qualcosa da tenere distante.
È in questo contesto che trovano spazio One more time, uno sguardo a ciò che si è lasciato indietro con la paura di averlo perso per sempre, ed Edwige Fenech, testimonianza del gusto per l’eterno presente, caratterizzato dalla ricerca per un piacere istantaneo. Lo studente di giurisprudenza deve aver letto Mark Fisher, perché CRUSH traduce bene quel senso di edonia repressa che il filosofo inglese attribuisce ai giovani del XXI secolo.
La musica di Giuse rende proprio perché a cantarla è uno studente universitario di modesta estrazione sociale (che spesso in Italia corrisponde alla soglia di povertà) con l’ansia dell’affitto e l’ansia degli esami.
Questo stato mentale si ripercuote sui rapporti umani e sull’amore, ultimo baluardo che la musica italiana conosce per la propria sopravvivenza – si ringrazia Sanremo – ma che Giuse ha il pregio di indagare da un’angolatura quasi antropologica. Il registro neo-popolare connette con le fasce più giovani, facendo da manuale alternativo (quello ufficiale sembra essersi smarrito) per gli adolescenti che fanno scena muta davanti alle interrogazioni come davanti alle ragazze o ai genitori.
Gocce dagli occhi featuring Altea è un’istantanea di questo tipo. Un brano che esaurisce gli innamorati e che li lascia fermi impalati laddove, soprattutto nell’era dei social network, l’attrazione diventa forza inibitrice. Come quando ascolti Eravamo ragazzini, la canzone che ti suona nella testa mentre guardi il vuoto. Poi ti scuotono e ti chiedono a cosa pensi. E tu rispondi: “Niente”.
Giuse the Lizia raccoglie un’onda generazionale ben precisa, fatta di prestiti linguistici e slang, che non si limita alla ricerca dell’effetto wow. CRUSH flirta con l’onomatopea dello scontro, figura fondamentale secondo Umberto Galimberti nell’affermazione dell’individuo rispetto a chi vi si oppone in età giovanile.
Il primo album dell’artista di Maciste Dischi centra il punto non perché Giuse The Lizia sia un talento superiore agli altri, di fatto la sua carriera è appena cominciata. CRUSH spacca perché è un ottimo lavoro di scrittura e composizione, fluido e contaminato come i nostri tempi, ma comunque coerente con il percorso del suo enunciatore.
Sono sicuro che almeno qualcuno leggendo queste parole storcerà il naso e dirà che “questo è solo un ragazzino”. A voi tutti voglio rispondere con un aneddoto.
MiAmi 2022. Mi stavo allontanando da quel posto magico che è il palco collinetta quando incontro Michi, caro amico e fratello del boss di Maciste. È con Giuse. Ci riconosciamo e scambiamo due parole. Rimane incredulo e con un sorriso sulle labbra quando per descrivere un cantante uso la parola “olistico”. Mi chiede cosa significa e mentre glielo spiego, realizzo che davanti a me si trova una delle persone più genuine che io abbia conosciuto nel mondo della musica.
Parlo per esperienza personale: quando si interagisce con un artista e lo si coglie in fallo su qualcosa, questo non può permettersi una figura simile. Sia mai! Di consueto, l’atteggiamento è di parità (fingo di sapere di cosa si sta parlando per non risultare out) o, manco a dirlo, di superiorità.
Quell’essere svergognatamente umile e curioso di Giuse invece è molto raro negli artisti e nei 20enni d’oggi. Se ascoltando CRUSH vi prefigurate un ragazzo pieno di sé, vi assicuro che vi sbagliate, ma lo capisco. È un errore comprensibile, complice forse la voce graffiante – almeno questa è la risposta che più volte mi sono dato. Al contrario, vi invito a immaginarvi una persona con i piedi per terra – forse anche più di me e te che leggi questo articolo – e disposta all’ascolto anche dell’ultimo arrivato, conscio del fatto che a quest’età non si sa ancora nulla, al massimo si inizia a capirci qualcosa.
Per questo la prossima volta che vedrò Giuse non gli dirò niente, lo abbraccerò soltanto.
Antonio Verlino
Chiamatemi Toni (rigorosamente con la I) e sarò felice. Laureando in Semiotica presso Alma Mater Studiorum, Bologna. Vedo e sento musica ovunque, a volte anche dove non ce n'è. Poi riguardo bene e la trovo sempre.