Prima di intervistare Luchino Luce decido di fare un piccolo sondaggio. Mando qualche suo pezzo ad amici e amiche, chi totalmente estraneo al mondo della musica chi meno. Voglio saggiare la reazione al primo impatto con la sua musica. Una di queste persone è un amico producer e quando legge Luchino Luce, mi risponde: “Il più forte d’Italia”.
Luca Gargano è un ragazzo nato e cresciuto a Padova nel 1998.
“Non mi identifico come rapper, ma oggi va di moda dire che non ti identifichi quindi mi sta sul cazzo dirlo (ride). In realtà all’ultimo live sono salito sul palco e ho detto: io sono Luchino Luce e sono un rapper”. Sarebbe meglio essere chiamati solamente artisti, così da non ingabbiare l’identità musicale, ma conveniamo entrambi che l’Italia è un paese che necessita di etichette per veicolare il senso delle cose. Nel male e nel male.
“Gli addetti ai lavori mi dicono che son un bravo artista, ma spesso mi viene detto che non sono né carne né pesce”. E ben venga dico io: gli artisti che passano alla storia sono quelli di rottura, ancora meglio se a rompersi è un mercato musicale ripetitivo e sterile che di recente sta estendendo la logica dei tormentoni estivi a tutti e 12 i mesi dell’anno.
Definire un rapper con meno di 1000 ascoltatori mensili su Spotify un artista di rottura mi pare esagerato, direte voi. Non guardate ai numeri, ascoltate le canzoni. Ma se volete parlare di numeri, allora facciamolo: a differenza del 90% del jet set musicale italiano, Luchino Luce porta argomenti.
“Ho sempre avuto un grosso problema con l’autorità nelle sue varie forme. Al primo anno di superiori stavo per essere bocciato, quindi mia madre mi ha mandato in una scuola privata gestita da suore. Quell’ambiente ha influenzato molto la mia visione del mondo”. Nato in una famiglia della classe media, da adolescente si scontra con due aspetti importanti di una città come Padova: l’elite benestante, quella dei genitori che vanno a prendere i figli in Lamborghini, e l’ambiente clericale dei valori e dei simboli cattolici.
Un ambiente dal quale si è allontanato da quando si è trasferito a Milano. Faccio fatica a tornare – ammette – è la mia città e le vorrò per sempre bene, ma la realtà è che mi sono sempre sentito giudicato.
Altro passaggio importante della sua formazione artistica sono stati i mesi trascorsi a Londra, dove scopre la musica europea di Yung Lean e Arca, staccandosi dall’immaginario americano. La fortuna poi è stata incontrare persone che condividono la passione per gli stessi suoni a Milano. Da qui i sodalizi con No Label e xx.buio in Nuova Europa, “non un collettivo, ma un gruppo di amici” di cui fanno parte altri artisti come Emma, Juck e Geremia.
Musica digitale che non va vista come un genere, ma come uno strumento – spiega – Spesso viene detto che faccio hyperpop, ma io faccio rap su suoni non convenzionali al rap. E non voglio nemmeno che ne venga fatto un manifesto, perché questo ucciderebbe la mia musica quando è ancora genuina. Ora voglio fare arte pura: i primi dischi di un artista devono essere sperimentali, voglio un catalogo che rispecchi la mia ricerca musicale in modo reale.
E di realness, quella che si ostenta, ne abbiamo parlato. Di quanto sia una sintesi lontana dall’idea iniziale di un artista, soprattutto quando messa nelle mani di persone che tendono a distorcerla.
“La cosa bella di me è che lavoro con tanta gente diversa, ma le direttive sono sempre le mie. Se ti pare tutto coeso è perché ho seguito ogni piccolo passaggio della catena”. Non a caso Nuova Italia esce esclusivamente come short film, e non sui digital stores, “così ti devi beccare tutti gli elementi che ho deciso di inserirci, tutti insieme”.
Una tale cura deve per forza nascondere un messaggio importante: “Faccio musica per smuovere la cultura di questo paese e le persone. Per questo dico che ho coraggio, perché mi mostro come sono nonostante le mie contraddizioni e le mie ambiguità. Posso fare cazzate, ma questo non mi definisce come una persona cattiva o buona, giusta o sbagliata”.
Ascoltando Luchino Luce, il primo commento che sorge il 99% delle volte è che ha la voce troppo modificata, senza valutare il fatto che faccia parte di una precisa scelta stilistica.
“Da quando ho iniziato a scoprire la mia fluidità ho voluto creare un personaggio che fosse androgino, affermare che sono una creatura a metà tra elementi estremamente maschili ed estremamente femminili”, il che contribuisce all’effetto straniante della sua musica. “Anche il modo in cui mi muovo (nei video) contribuisce a veicolarne il senso, non riesci a dire se sia maschile o femminile, ti manda in cortocircuito”. Per questo Luchino Luce sfugge a un’interpretazione semplice, perché non può essere letto attraverso le categorie con cui in Italia si interpreta la realtà. In questo senso è un artista di rottura.
“Di natura credo di essere un anarchico. Non capisco il senso delle regole, ma vivendo in una società civile ho imparato a conviverci. Se mi conosci scoprirai che sono una persona molto quadrata e che sfogo il mio senso di anarchia nell’arte”. Beninteso, Luchino Luce fa arte, non politica. Se poi le sue canzoni stimolano le menti altrui è tutto di guadagnato. Di certo l’intento non è quello di piacere a tutti e diventare un trend (ovvero quello che è diventata la politica oggi).
Ci tiene inoltre a specificare che nella sua musica non c’è spazio per il meme. Sì, forse nella comunicazione via social, “ma quando facciamo musica siamo serissimi” mi dice. E ora capisco ancor di più lo shock che può generare al primo ascolto.
Ci troviamo così in sintonia che finiamo l’uno le frasi dell’altro, al punto che quasi mi dimentico che quest’intervista gliel’ho chiesta per parlare di “Nuova Italia“, l’ultimo visual ep pubblicato in esclusiva sul canale Youtube di Bomba Dischi.
La comunicazione via social che introduce l’ep esce lo stesso giorno della morte di Silvio Berlusconi, tanto che mi sorge il dubbio che stesse aspettando la sua dipartita per pubblicarlo.
Mentre ce la ridiamo mi racconta che è successo tutto spontaneamente: “Avevo delle riprese in un campo di grano. Il giorno dopo Juck, il mio coinquilino, mi dice che è morto Berlusconi, quindi ho scaricato un suo comizio e l’ho inserito alla fine del video. La sua morte era fondamentale per quello che volevo dire con Nuova Italia”.
Da quando ha iniziato a fare musica Luchino Luce attira l’attenzione del pubblico con un’estetica fortemente di destra, ma nei testi ne pugnala i valori fondanti. Il rap di oggi rispecchia a pieno quello che è stato Berlusconi e la cultura che ha impiantato in Italia. Basti vedere tutti quegli artisti che al sapere della sua morte ci hanno fatto le stories con le lacrimucce. “Se pensi che Inoki rappresentava un immaginario di sinistra, con la trap si è capovolto tutto. La morte di Berlusconi porta con sé l’inizio di una nuova era, una Nuova Italia appunto”.
Giunti a questo punto è inevitabile passare in rassegna alcuni degli aspetti cruciali della nostra generazione, che tutto quel che desidera è avere “soldi, consumo e putt*ne”.
“È inutile fare gli ipocriti: veniamo educati dalla cultura in cui cresciamo. Anche a Milano che millanta il suo progressismo molti giovani dimostrano di essere ancora molto legati a valori conservatori, come anche quelli della chiesa. Far convivere il pudore cattolico con la misoginia berlusconiana porta a questo. Facile giudicare le azioni altrui, più difficile giudicare le proprie. Oggi l’opinione è un abito che ti metti addosso”. Luchino prosegue citando un’intervista a Fabri Fibra e Umberto Galimberti a Le Invasioni Barbariche del 2007 (assolutamente da recuperare), sottolineando che non è cambiato nulla da allora.
Io sono cresciuto con una latente misoginia – mi confessa – e non ho paura di ammetterlo. Per questo in Acido dico “Sto chiedendo scusa ad un sacco di donne, sono stato confuso, non so cosa ho fatto”. Questo significa avere coraggio: ammettere i propri errori. Pensa che il titolo alternativo dell’ep doveva essere “Martire”.
In Licantropo invece canta: “Vengo da una grande metropoli figlia del becero capitalismo, dove un tipo che scopa con maschi è tipo Mahmood, un fr*cio”. Mi racconta di come il peggio del nostro paese sia questo: la creazione di icone che vengono sfruttate dall’apparato consumistico, ma che vengono disprezzate per quello che sono.
Nella sua oscurità dissacrante, per la prima volta compare un episodio come Vecchio Maschio, un arrangiamento intimo e delicatissimo in cui la voce di Luchino si sente per quello che è: fragile. Come il silenzio dopo una tempesta travolgente, riporta l’attenzione sulla figura dell’essere umano, sottolineando come a subire la grande manipolazione in ultima istanza siamo noi.
Chiudo la chiacchierata con 3 domande difficilissime. Ma se non le chiedi a Luchino, a chi ti rivolgi, mi dico.
Come si impara a non giudicare?
Il primo passo è mostrarti come sei. Più siamo veri, meno giudichiamo. Circondarsi di persone che non giudicano aiuta altrettanto.
Come si accetta il fatto che commettiamo errori?
Accettando il fatto che siamo esseri umani, non siamo macchine. Il perdono è uno dei retaggi più belli della cultura cristiana. Per me è fondamentale, ma oggi vedo che manca a causa della cancel culture. Chi sbaglia oggi va nel panico e non lo ammette perché ha paura di essere giudicato e poi cancellato. Per questo la gente sta zitta davanti alle violenze e non si schiera.
Mi dici una cosa per cui i maschi si vergognano oggi?
Si vergognano di essere fragili. Alcuni nemmeno contemplano la vulnerabilità perché non si sono mai messi nella posizione di provarla, ma in realtà siamo tutti fragili. Essere vulnerabili ci rende tutti più gentili e aiuta a volerci bene.
PS: Stavo per consegnare l’intervista, ma come anticipato, Luchino Luce è un artista imprevedibile e figurati se mi aveva avvisato che all’indomani della nostra intervista sarebbe uscito un nuovo pezzo. Mi piace pensare che sia stata una decisione presa improvvisamente. “È l’inizio di una nuova fase, anche della mia musica” mi aveva detto, ed eccola qui.
Il 30 giugno è uscita Carrà, la mia hit dell’estate.
Antonio Verlino
Chiamatemi Toni (rigorosamente con la I) e sarò felice. Laureando in Semiotica presso Alma Mater Studiorum, Bologna. Vedo e sento musica ovunque, a volte anche dove non ce n'è. Poi riguardo bene e la trovo sempre.