“La Natura Delle Cose” di Gaia Morelli: un manuale per crescere senza istruzioni
Gaia Morelli, cantante piemontese classe 2000, ci ha raccontato il suo disco, La Natura Delle Cose, affidandosi completamente alla sincerità del suo nome e cognome per presentare al mondo il suo nuovo progetto discografico.
Nove tracce in cui sviscera gli stati d’animo che accompagnano un inevitabile processo di maturazione che comporta doversi lasciare qualcosa o forse più precisamente qualcuno alle spalle.
Che sia la vecchia camera nella casa di famiglia, o la provincia che ci stava stretta. Succede che poi, quando vi facciamo ritorno, anche dopo anni tutto sembra rimasto uguale, ma il nostro sguardo è cambiato. E quella stretta sul cuore con la quale ci approcciamo alla vita è diventata tenerezza, benevolenza.
L’album di Gaia ci interroga e ci sfida perché la giovane cantautrice ha avuto il coraggio di fare un salto nel vuoto, per accostarsi a qualcosa di sconosciuto. Una chitarra che stride, un rumore di fondo, un bruciore allo stomaco col quale inevitabilmente dobbiamo trovarci prima o poi a fare i conti, per metterlo a tacere, per accogliere l’inaspettato e lasciargli spazio.
Il suo è un altrove fatto di parole pesate, di salite, di fiori lasciati appassire nelle giacche o tra le pagine dei libri, è ritrovare la spontaneità di crescere, uscendo dalla retorica che crescere significa estirpare, strapparsi.
Nel titolo dell’album di Gaia Morelli risuona l’eco dell’opera di Lucrezio, evocando la riflessione sulla “natura delle cose”. Questa scelta non è casuale ma intende segnare un ponte ideale verso quella ricerca di autenticità e profondità che anima il suo lavoro.
Con le sue composizioni, Gaia Morelli si inserisce in un movimento più ampio, quello di un sottobosco di realtà giovanili vibranti e determinate a far sentire la propria voce, affermando la propria identità artistica al di là dei confini imposti dal mercato discografico mainstream.
L’industria della musica, spesso orientata verso la produzione di contenuti pop uniformati – canzoni e arrangiamenti costruiti per essere immediatamente orecchiabili ma che raramente invitano all’ascolto attento e all’introspezione – si trova così sfidata da artisti come Gaia.
Essi aspirano a creare un’alternativa, offrendo opere che invitano l’ascoltatore a vivere un’esperienza più intima e personale, dove la musica diventa veicolo di espressione autentica e di riflessione.
Attraverso il suo album, Gaia Morelli esplora e dà voce a queste realtà emergenti, dimostrando come, al di là delle tendenze attuali, esista una vivace esigenza di raccontare storie diverse, di esprimere emozioni complesse e di dare forma a un’arte che si distingue per la sua capacità di andare oltre il semplice intrattenimento.
Ma qual è, allora, davvero, la natura delle cose?
Innanzitutto ti chiedo di raccontarci chi è Gaia e di segnare le tappe principali del percorso che ti ha portato fino a qui.
Allora, ho 23 anni e vengo da Torino. Ho iniziato a cantare e a suonare la chitarra seguendo un percorso piuttosto classico, frequentando scuole private con insegnanti vari. Dopo qualche anno, ho iniziato anche a scrivere e, più o meno nel 2018, ho conosciuto i miei ex compagni di band e abbiamo formato Baobab!, che è stato il mio primo progetto musicale.
Adesso, però, hai deciso di metterci la faccia, il nome e il cognome. Cosa è cambiato rispetto a prima?
Il progetto precedente, Baobab!, era una cosa molto adolescenziale, nata un po’ per gioco, ma sempre con passione. Poi ci sono stati alcuni cambiamenti nella mia vita, e ho iniziato a scrivere brani nuovi, diversi da quelli precedenti. Mi sono resa conto che quella identità non aveva più senso di essere mantenuta.
Nella canzone “La fine” tocchi il tema della necessità di prendersi una pausa dalle performance. Potresti approfondire questo concetto e quali sono le tue priorità nella vita?
Sì, sostengo molto il concetto di prendersi una tregua, cercando di godere delle piccole cose della vita e cercare di sfuggire dalle dinamiche costruite, riguardo anche a come porsi con le altre persone. Questo è un po’ il senso del titolo del disco e direi che queste sono le cose che contano per me.
Parliamo del tuo approccio al cambiamento e del significato di “andare oltre la salita” per te.
Lì parlo proprio della capacità di superare gli ostacoli, piccoli o grandi che siano. Rispetto al cambiamento, cerco sempre di approcciarmi in modo propositivo, anche se questo potrebbe sembrare in contraddizione con la necessità di ancorarsi a dei punti fermi. Credo che sfuggire la zona di comfort in modo positivo possa cambiare la situazione.
Mi hai colpito con la canzone “Siamo stonati”, dove parli di una verità che tua madre non ti ha detto. Mi piacerebbe sapere di più su questa verità e se ti consideri cresciuta ora.
Quella frase può essere vista in modo più ampio, anche se si riferisce a situazioni personali. Da quando mi sono trasferita e vivo da sola, mi sento molto cresciuta, e il processo di creazione di questo disco è stato parte della mia crescita. Mi sono messa in gioco con le mie forze, l’ho registrata con i miei amici, è stata un’esperienza intima e per certi versi anche un’esperienza collettiva.
Com’è stato crescere in una provincia, che racconti ti stava stretta, e come ti ha influenzato?
Crescere in un contesto provinciale mi ha condizionata a livello musicale soprattutto nei brani più vecchi del disco. Ora che vivo in città, vedo le cose da una prospettiva diversa, ho acquisito quasi una tenerezza, soprattutto se penso che poi anche il disco stesso è stato registrato in un paesino di provincia, accanto a quello in cui sono cresciuta, quindi ho avuto modo di raccogliere quelle sensazioni del mio passato e viverle in modo più maturo
Parliamo del singolo “Rumore” che ha anticipato l’uscita del disco. Cosa vuoi comunicare con questo brano?
“Rumore” sottolinea la necessità di accettare e analizzare ciò che percepiamo a livello emotivo, dentro il corpo. È un invito a non ignorare le nostre emozioni interne, a sottolinearle. Io abito al piano terra e incontro gli sguardi delle persone che passano, con questo brulicare di vita che in qualche modo mi interpella, mi spinge a farmi domande.
Il rumore quindi per te è un fastidio o gli dai un’accezione positiva?
Volevo porre in evidenza anche che il processo di maturazione passa anche dalla capacità di non limitarci a rigettare e ad allontanarci dalle cose che ci danno fastidio. Dal cercare di ascoltare, di sedersi per comprendere quello che ci sta dicendo; è il modo di analizzare che cambia un po’ la prospettiva, forse.
Dal punto di vista degli arrangiamenti, noto l’uso di strumenti acustici e suoni di sottofondo creati anche con degli oggetti del contesto Qual è stata la motivazione dietro a queste scelte?
Ho voluto alleggerire gli arrangiamenti e utilizzare strumenti reali per creare un suono più autentico e coerente con i testi, era un cruccio che avevo dal primo EP come in cui c’era tanta roba strumentale come le batterie campionate, volevo snellire e suonare dal vivo utilizzando strumentI veri e propri.
Quindi abbiamo fatto queste tre sessioni a giugno, luglio e agosto a casa di questo mio amico e ci siamo sbizzarriti sui suoni da ricreare. Volevamo cercare la stessa autenticità che esprimo nei testi per dare coerenza al tutto.
Qual è la tua visione della musica italiana e internazionale oggi?
Non ho una visione molto positiva della scena musicale italiana attuale, preferirei raggiungere un pubblico più ampio diciamo che senza entrare troppo nel dettaglio, ci sono delle dinamiche sistemiche anche di provincia che è difficile sradicare. Diciamo che nella scena indipendente è più facile trovarsi i propri escamotage
Ultima domanda: guardando indietro al tuo percorso musicale fino a ora, quale immagine o ti viene in mente?
Sono soddisfatta del percorso che ho deciso di intraprendere, soprattutto per le persone che ho incontrato lungo la strada. Sia le esperienze positive che quelle negative hanno contribuito alla mia crescita e alle emozioni che ho vissuto. Sottoscrivo tutto quello che ho vissuto.