Panorama Coca Puma: musica, cinema e gatti di campagna

Quando ho chiesto a Coca Puma quale fosse la sua playlist ideale per un viaggio in macchina, mi ha elencato almeno una quindicina di nomi: dai Radiohead a Gilberto Gil, passando da Andy Schauf a Piero Piccioni. Canzoni che l’hanno accompagnata nei lunghi tragitti del tour che ha portato Panorama Olivia, suo disco d’esordio uscito lo scorso aprile, sui palchi di tutta Italia e che se unite, come i puntini nel celebre gioco enigmistico, disegnano un paesaggio sonoro vastissimo, transoceanico. Un’ampiezza di vedute e di suoni che caratterizza anche la sua produzione musicale, tra le più fresche, eclettiche e innovative della scena emergente italiana.

Romana, classe 1998, Costanza Puma di recente ha esordito anche al cinema, firmando la colonna sonora di Quasi a casa, prima pellicola di Carolina Pavone alla regia e di Maria Chiara Arrighini nel ruolo protagonista, uscita nelle sale il 5 settembre per Sacher Film di Nanni Moretti, Vivo Film e Rai Cinema. Un film di esordi che racconta la difficoltà dell’esordire, tra autosabotaggio e paura di non essere all’altezza delle proprie aspettative: una storia di formazione simile a quella di molti noi, che ripercorre lo spaventoso e spettacolare viaggio che ci conduce a diventare noi stessi.

Costanza mi ha raccontato di non avere piani B e di essersi messa l’anima in pace: è questo quello che deve fare. E lo sta facendo alla grande. 

Coca Puma – Panorama Olivia [Ascolta qui]
Cominciamo dalle origini. Quando hai capito di voler fare musica? Hai mai avuto, o desiderato di avere, un piano B?

La musica è sempre stata presente nella mia vita. Mio padre è un appassionato: sono cresciuta con la radio sempre accesa durante i viaggi in macchina e le sue collezioni di CD. Siccome da bimba mi piaceva tanto suonare una piccola pianola, per la mia prima comunione mio padre decise di regalarmi un pianoforte elettrico: da lì in poi ho sempre suonato. Anche mio fratello maggiore suona, la chitarra. Negli ultimi anni di liceo ho iniziato a pensare un po’ a che cosa fare nella vita: ricordo che mi sarebbe piaciuto studiare architettura, ma il vero desiderio era riuscire a fare musica, anche se mi spaventava molto.

C’è stato un episodio decisivo? 

Alla fine del quarto liceo andai all’Umbria Jazz, al concerto di Kamasi Washington che apriva a John Scofield, Mark Giuliana e Brad Mehldau: mi hanno completamente aperto la faccia. È stato quello il momento in cui ho deciso di fare musica o quantomeno di provarci. Mi sono iscritta al conservatorio Santa Cecilia di Roma e mi sono laureata in Composizione Jazz. Questo è un mestiere totalizzante, che non lascia tempo di pensare a un piano B. Poi chissà, nella vita ci si reinventa mille volte. L’arte in generale mi appassiona molto, ma non credo lascerò mai la musica.

Sono molto contenta che tu non abbia un piano B. Prima di parlare del disco, ho delle curiosità da chiederti su Quasi a casa, film di cui hai composto la colonna sonora. Sono andata a vederlo al cinema Rialto di Bologna, presentato da Carolina Pavone, Maria Chiara Arrighini e Nanni Moretti. 

Vai. 

Caterina, la protagonista, mi ha ricordato molto il tuo immaginario. Inoltre, in due momenti, canta le tue canzoni: “Porta Pia“, esibendosi con un enorme cappello da pescatore, e “Lupo Volkswagen“. Quanto c’è di te in lei? Quanto la tua conoscenza con Carolina Pavone, regista e sceneggiatrice del film, ha influenzato la caratterizzazione del personaggio?

Sì, il richiamo c’è sicuramente: per l’appunto, la protagonista canta Porta Pia, nella scena del concerto a inizio film, mentre in quella ambientata nella villa di Mia e suo marito canta Lupo Volkswagen. Io e Carolina ci siamo incontrate perché lei si imbatté in un video in cui mi esibivo con la mia band dell’epoca. Decise di scrivermi perché stava prendendo appunti per il film e voleva affacciarsi in questo mondo: quando si progetta un film è necessario entrare il più possibile nella realtà che si vuole rappresentare.

Credo che abbia visto in me qualcosa del personaggio che stava scrivendo e quando ci siamo incontrate, tra una cosa e un’altra, abbiamo stretto molto ed è nata una bellissima amicizia. Abbiamo lavorato tantissimo assieme: lei mi ha seguito in alcuni concerti, insieme a Maria Chiara, per osservare, studiare e apprendere il più possibile.

Aldilà dell’aver composto la colonna sonora, il film mi tocca moltissimo perché mi rivedo nella protagonista, sento che parla di me, ma anche di Carolina e del suo vissuto che in qualche modo ci accomuna. 

Coca Puma

Quindi hai lavorato contemporaneamente al disco e alla colonna sonora.

Sì, quando ho iniziato a comporre la colonna sonora del film stavo anche chiudendo il disco. Infatti un altro aspetto che ha legato moltissimo me e Carolina è stato che, mentre lei scriveva il suo primo film, io lavoravo al mio primo disco, quindi entrambe avevamo le nostre creature pronte a nascere. Non è stato facile, ci sono stati dei momenti di panico e di lavoro disperato, ma nel senso più positivo del termine: è stata un’esperienza davvero bellissima e formativa.

A proposito di questo, è sempre più frequente trovare musicisti non del settore dell’audiovisivo alla composizione di colonne sonore o brani originali di film. Un sodalizio che personalmente mi fa molto piacere. Che rapporto hai con il cinema e l’audiovisivo in generale? Comporre una colonna sonora era tra i tuoi progetti oppure ti si è aperto un orizzonte a cui non avevi mai pensato prima? Continuerai a farlo?

È molto interessante questa contaminazione, perché si portano al cinema suoni, stili e caratteri nuovi e inconsueti. Ho sempre accarezzato l’idea di comporre per il cinema, che è un’arte che seguo con interesse: vado spesso a vedere film in sala, mi piace quello che riescono a trasmettermi, i luoghi in cui sanno portarmi. Negli anni ho maturato il desiderio di lavorare in questo campo e spero davvero di continuare a farlo. Scrivere musica per il cinema è diverso da scrivere canzoni, perché sei guidato da tutta una serie di fattori in più: le immagini, l’intensità della scena, la direzione della regia. Mi appassiona molto. 

Prima abbiamo citato “Porta Pia“, primo singolo estratto da “Panorama Olivia”, che tra tutte è forse la canzone più rappresentativa. In un verso canti “La televisione è finta, sì, però, io più la guardo più credo che fallirò”. L’incubo del fallimento, l’autosabotaggio in cui si cade quando non ci si sente all’altezza delle proprie aspettative è centrale in Quasi a casa: la protagonista ha talmente tanta paura di non valere abbastanza da lasciare che le sue canzoni vengano manomesse da altri.

Quanto è ingombrante il pensiero del fallimento nel tuo mestiere? Come riesci a ridimensionarlo, rimetterlo al suo posto e sentirti “a casa”?

Penso che per ognuno sia diverso e che cambi anche in base ai periodi. In questo lavoro si alternano momenti felici e momenti no e certamente mi è capitato di sentire che la paura del fallimento fosse più potente della mia forza motrice. Poi mi sono resa conto che questo impedimento mi fa star male, toglie spazio a cose importanti e che l’unico modo per superarlo è cercare di capirlo. Alla fine, mi dico, non posso fare a meno di fare musica, la farei comunque. 

Coca Puma
Coca Puma

A volte è difficile anche semplicemente fare quel passo, dirsi “ok, è questo quello che devo fare”.

Esatto. Mi è capitato che dei musicisti esordienti venissero a parlarmi dopo i concerti per confrontarsi sulle nostre esperienze: magari mi chiedono “ma tu come hai fatto?” e io non so veramente cosa rispondere, perché ho appena iniziato. Però capisco la loro domanda, rivedo in loro una cosa che ho vissuto e vivo anch’io. Personalmente, a un certo punto mi sono messa l’anima in pace e mi sono detta “è questo quello che voglio e che devo fare”. Ho accettato di avere questa fortuna, anche quando sembra più una maledizione, e pensarla così mi aiuta a ridimensionare la paura del fallimento e a dare più spazio alle cose che contano davvero.

Passando al tuo disco, “Panorama Olivia“, hai un aneddoto da raccontarci legato al tuo processo creativo, a una traccia o al titolo? 

Panorama” si riferisce al fatto che ho composto i brani in tempi e luoghi diversi, in giro tra Roma e la casa dei miei nonni, nelle campagne di Viterbo, che è stata un po’ il mio rifugio creativo. “Olivia” invece perché lì veniva a trovarmi una gatta di nome Olivia, unica testimone di quei momenti di scrittura solitaria: ho voluto farle un piccolo omaggio.

Riguardo agli aneddoti, una cosa che non ho mai raccontato prima riguarda la nascita di Come vuoi, unico testo che ho scritto insieme a un’altra persona, Federico Bizzarri, un mio carissimo amico che fa l’attore. Un giorno Federico passò in studio da me: io avevo buttato giù un giro di accordi e, per ridere, ci siamo messi a scrivere un testo e, non so come, in modo veramente molto naturale e spontaneo, come fosse un gioco, è nata una canzone.

È un bel ricordo di un momento diverso rispetto al modo in cui scrivo di solito: sono momenti solitari, speciali, di totale concentrazione, è quasi magico.

Panorama Olivia è edito dall’etichetta indipendente Dischi sotterranei, attiva dal 2013, che ha nel suo roster progetti interessantissimi (Post Nebbia, Jess The Faccio e molti altri). Come siete entrati in contatto? Che rapporto hai con la scena indipendente italiana?

Stavo vivendo un momento di forte indecisione e non riuscivo ad andare avanti con il mio progetto. Un amico, a cui voglio molto bene, mi spronò a inviare i miei pezzi ad alcune etichette indipendenti e tra queste c’era Dischi Sotterranei.

Michele Novak, manager dell’etichetta, mi rispose dicendo che i pezzi gli piacevano moltissimo e che voleva conoscermi. Per me è stato surreale: mi sentivo molto disillusa perché secondo alcune persone le mie canzoni erano solo bozze senza direzione, con una produzione incerta. Non è una questione di avere il controllo, anzi sono molto aperta ai feedback, ma quelli non erano costruttivi: o non avevano capito il progetto o volevano imporre i loro gusti.

Dischi Sotterranei, al contrario, mi ha dato carta bianca nell’esprimere la mia vera identità musicale, seguendomi con grande onestà e cura. Sono estremamente grata e riconoscente che questa collaborazione sia avvenuta perché ha cambiato tutto.

Il ruolo dell’etichetta dovrebbe essere proprio questo: cogliere l’unicità di un progetto artistico, curarlo e proporlo al pubblico. E sono proprio le label che si assumono il rischio, anche economico, di investire sugli artisti lasciandoli liberi di portare il loro sound e il loro linguaggio che riescono poi a innovare e arricchire la musica che sentiamo in giro.

Anche perché le persone non sono stupide e si accorgono quando una canzone è letteralmente un’equazione e completamente priva di vita. C’è tanta voglia di scoprire musica nuova. E mi intristisce pensare che il più delle volte il rischio di cui parlavi sono disposti a prenderselo piccole realtà che hanno certamente meno possibilità economiche delle major, che invece investono sul “sicuro”.

Per salutarci, progetti futuri e spoilerini? 

Non posso anticipare troppo, ma sto pensando a featuring e collaborazioni e poi, ovviamente, sto iniziando a buttare giù le prime idee per il prossimo disco. Però, ecco, è ancora tutto in fase embrionale.

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