“Tutti i miei piani”: Folcast e l’amore che modifica il linguaggio
La musica di Folcast si conferma in equilibrio tra sperimentazione di generi e delicatezza d’animo, dove sound e testi fanno spazio alla sua voce dirompente e al suo timbro vellutato pieno di colori. Daniele Folcarelli torna sulla scena dopo due anni, con sette tracce racchiuse in “Tutti i Miei Piani“, disco prodotto da Tommaso Colliva.
In questo lavoro Folcast si espone con sincerità, mettendo sul tavolo quell’ambivalenza tutta umana che ci rende esseri imprevedibili, sensibili, a volte animali sociali, altre individui solitari in bilico tra il comfort dell’ignoto e la paura di esporci alla condivisione.
“1+1” è stato il singolo che ha anticipato l’EP. Una canzone che parla di cura, di unione, di supporto. Un amore genuino che va difeso dalle insidie della società, dalle convenzioni e dalle aspettative. “1+1” è una formula matematica che, nella vita, non funziona come ci hanno insegnato, perché il risultato cambia ogni volta che cambiamo noi.
“Tutti i miei piani” è la culla di quel risultato multiforme e ambivalente.
Ne abbiamo parlato con Folcast in un’intervista.
Un EP umano, emotivo, che mette sul tavolo quelle sfaccettature tipiche di quando ci evolviamo e con noi la nostra vita, la nostra routine. Di solito in queste evoluzioni sono coinvolte anche le “nostre” persone, le quali cambiano con noi, standoci ancor più vicino oppure allontanandosi. Ti ritrovi in questa visione?
Beh direi di sì, in un modo o nell’altro, le persone influiscono nel nostro percorso, è normale. L’EP è una resa dei conti, è un fare pace col fatto che lasciarsi andare a momenti di condivisione con le persone, di solito, mi fa stare meglio. È un disco stra-personale, magari qualcuno non ci si ritroverà… È soggettivo.
Nella prima traccia omonima dell’EP “Tutti i miei piani” si percepisce una fortissima attenzione ai dettagli, alle piccole cose, ai gesti, in questo caso mentre osservi tua figlia. Con lei è cambiato il tuo sguardo verso i dettagli oppure sei sempre stato un osservatore?
In realtà mi perdo un sacco di cose, me le scordo. Lei è davvero fosforo per la memoria. Si dice che alcune persone abbiano una memoria selettiva, per cui si ricordano determinate cose invece di altre. Io sono abbastanza curioso, mi piace fare, però non mi capita spesso di ricordare molte cose di quelle che mi succedono. Con mia figlia mi sembra di avere più memoria, lei mi permette di rendere memorabili anche i momenti più semplici. Prima questa sensazione non l’avevo.
Suppongo che la nascita di una figlia ti metta in predisposizione all’ascolto, al sentire, all’uso di un linguaggio diverso da quello comune. Somiglia in qualche modo al rapporto con la tua musica? Anche lì c’è molto sentire, no?
Sì, completamente. La questione del linguaggio è centrale, si modifica, cambia nel modo in cui ti poni con un’altra persona quando c’è lei, è una rivoluzione in quel senso. Non si è preparati a cambiare così tanto, poi però, un pezzettino alla volta, mentre cresce ti accorgi che stai cambiando, cercando di far meno danni possibile. E nella musica è così per me, assolutamente. C’è anche un po’ di sperimentazione, niente di estremo eh, però ci sono un sacco di generi diversi che si avvicinano e vengono toccati da me e da chi l’ha prodotto e suonato con me. Questo fa parte sempre di quel processo del cercare di approfondire, andare a scoprire altri linguaggi, a modellarsi, tutti aspetti che non vedo mai in maniera negativa.
Nell’EP sembra si alternino dialoghi e monologhi: tu che parli a te (o con te) e tu che parli a qualcuno…
Io parlo molto con me, ma non ad alta voce mentre lavo i piatti, come succede nei film. Rifletto tanto, mi dico delle cose che poi vengono fuori nella musica e in ciò che scrivo, cerco di farlo nel modo più incisivo possibile. Sì, ci stanno dialoghi e monologhi. Come dialogo mi viene in mente la prima parte di “Se scoppiassi tu”, scritta insieme a Lorenza Ventrone, dove però la seconda strofa è più un discorso con sé stessi. Invece “8 di mattina” è proprio una liberazione. Sono molto contento di come sia uscita, in termini di scrittura e di interpretazione. Ero arrabbiato, sì. Spero serva a farsi un’analisi di coscienza, a ricordare che non sai mai chi hai di fronte e certe cose che pensi, spesso, puoi tranquillamente tenerle per te.
Si parla anche di solitudine, in particolare di godere della solitudine. Capire di star bene da soli significa avere la possibilità di scegliere di stare da soli, che è diverso dal ritrovarsi soli, perciò è una conquista. Ma com’è stato per te?
Questa è l’eterna lotta che mi trovo a combattere, diciamo che vado a periodi. A volte ho bisogno di stare da solo, altre di stare in mezzo alla bolgia e condividere tutto. L’eterna lotta c’è sempre, ci sono due estremi della questione. L’EP oscilla tra il me che vuole stare da solo e non ne vuole sapere, e il me che invece corre il rischio di buttarsi nell’ignoto per superare qualcosa e ne esce preso bene tra la gente. Io dopo un po’ impazzisco a stare da solo. Ha senso quello che dici, vivere la solitudine positivamente perché scegli di starci, a me capita di stare bene a volte meno, però è sempre in evoluzione, non è mai un punto, come nella scrittura. Quello che scrivo e che racconto ha senso nel momento in cui lo provo, non ho la verità in mano.
Il bello dell’essere umani è che si può cambiare idea, tutto può evolversi…
Esatto, esatto.
In “1+1” mi ha colpito molto la frase “Scherza con chi non deve e poi cerca di riparare” a proposito della vita… è stato così per te? Ha riparato dopo averti fatto lo sgambetto?
No, io sono stato molto fortunato nella mia vita. Questa frase non era riferita a me ma a una persona in particolare che ha un passato del cavolo e una forza incredibile, infatti poi è riuscita a ricucire questa sofferenza. Questa canzone prende ispirazione da lei, dentro ci sono anch’io ma più in vesti di testimone.
Hai dichiarato che questo nuovo EP «parla dell’amore che salva e non lascia pezzi». Cos’è per te l’amore?
Non ho mai avuto una parentesi tossica, credo di essermi sempre fermato prima. Esperienze del genere ne ho vissute passivamente, attraverso le storie degli altri. È difficilissimo parlare di amore, per questo poi lo butto nelle canzoni, come dice Brunori: “perché alla fine, dai, di che altro vuoi parlare?”. Per me è sempre stato dirompente. L’amore è crescita personale, ti aiuta a essere una persona migliore, a stare bene da solo e a stare bene insieme. L’amore e le persone che ti scegli accanto sono fondamentali per te stesso e per quello che puoi dare. È un discorso molto ampio…
Quando ti sentiremo live?
Le date in band si faranno a dicembre: il 5 a Milano da BIKO e il 21 a Roma a Largo Venue.
Avevamo già parlato di Folcast qui