La bordata che arrivò nella seconda metà degli anni Zero dal Teatro degli Orrori fece tremare timpani e pareti. Il colpo non fu semplicemente forte, ma potente, di quella potenza composta da tante cose oltre il volume. Dell’impero delle tenebre, il primo disco, è uno scrigno da esplorare senza la paura di sporcarsi le mani e le orecchie. E forse pensare di approcciare semplicemente un disco, o una band, non aiuta a cogliere le frequenze giuste.
“Non è stato dimostrato ancora che il linguaggio delle parole è il miglior linguaggio possibile.”
Antonin Artaud
Il Teatro degli Orrori non è un progetto fortunoso, come a volte capita nella storia della musica, ma una ricerca che prova ad unire le varie forme dell’arte per raccontare l’umano nei pochi minuti di una performance sonora. I riferimenti culturali disseminati nell’opera della band veneta sono stati spesso raccontati o decantati e ogni riferimento prende senso nell’insieme.
I componenti della band erano già saldamente posizionati dalle parti dell’underground, dell’alternative rock, che scavallava secolo e millennio. Pierpaolo Capovilla con i suoi One Dimensional Man, per larghi tratti insieme a Giulio “Ragno” Favero, e Gionata Mirai con i suoi Super Elastic Bubble Plastic. Della nuova truppa fa parte anche Francesco Valente che pure qualche frequentazione con loro l’aveva già avuta. Nelle primissime prove dalle parti di Marghera, Capovilla suona il basso e canta, accompagnato da Mirai alla chitarra e da Valente alla batteria, ma di lì a poco si aggiunge Favero che si prende il basso e lascia libero Capovilla di muoversi da frontman solo col microfono.
Ai primi di Aprile del 2007 arriva dirompente il primo disco dal titolo “Dell’impero delle tenebre” per La Tempesta Dischi.
Convince subito tutti, quelli che scrivono di musica e quelli che l’ascoltano, quelli che vanno ai live e quelli che aspettavano una nuova ventata rock nell’underground. Sono undici tracce di rara potenza, non solo sonora. I volumi si alzano ma non è solo questo il punto, l’album è un contenitore in cui sono custodite tante cose preziose. Attitudine, intenzioni, contenuti, rimandi, evocazioni e voglia di scuotere il mondo dell’arte, non solo quello della musica, tratteggiano il profilo di questo progetto che d’altra parte è perfettamente coerente con la ricerca artistica avviata già nei precedenti progetti, a cui la lingua inglese, paradossalmente, non dava quell’immediatezza che invece Capovilla riesce a comunicare con l’italiano.
Il nome della sua band precedente, One Dimensional Man, richiama evidentemente L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse, il libro del filosofo tedesco che a metà degli anni Sessanta analizzava e criticava sia il capitalismo occidentale che la società sovietica, giungendo alla conclusione che: “la società industriale avanzata ha creato falsi bisogni, che hanno integrato gli individui nel sistema esistente di produzione e consumo attraverso i mass media, la pubblicità, la gestione industriale e le modalità di pensiero contemporanee. Ciò si traduce in un universo “unidimensionale” di pensiero e comportamento, in cui l’attitudine e l’abilità per il pensiero critico e il comportamento di opposizione si allontanano”.
Questi concetti sono centrali anche nelle tematiche del Teatro degli Orrori
Anzi ne costituiscono una bussola con cui osservare e raccontare il quotidiano con la forza di un pensiero (spesso negativo in contrapposizione a quello “positivista”) che trova poi ancora più vigore nella forza dei suoni scelti e nella rappresentazione scenica che ne viene fatta sul palco.
“Il gruppo si ritrova un cantante molto ambizioso, che non si accontenta di certo di mettere insieme un paio di versi azzeccati. La mia ambizione mi fa sentire più vicino al teatro che al rock”.
Pierpaolo Capovilla
Capovilla non le manda certo a dire quando gli si chiede come si posiziona questo progetto nel panorama musicale afferma:
“Siamo stanchi della sciatteria culturale propinata dalle grandi case discografiche, oltre che da un certo tipo di indipendenti, stanchi di tutte le canzoncine che monopolizzano radio e televisione, fatte per durare sempre e soltanto l’arco di una stagione, delle quali poi, grazie a Dio, non si sente più parlare. Il Teatro degli Orrori ha un’ambizione più grande”.
La band punta a mettere in scena un’opera rock teatrale, un incontro tra musica, letteratura, politica e performance a cui, d’altra parte, si fa cenno già nel nome che viene scelto ma che ancora di più si condensa e sintetizza sul palco e nei solchi dei dischi.
I riferimenti sono molto chiari e spesso ricordati dallo stesso Capovilla.
C’entra per esempio il Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud, che già un secolo prima diceva che il testo da solo non era più sufficiente, auspicando “un teatro integrale, che comprendesse e mettesse sullo stesso piano tutte le forme di linguaggio, fondendo gesto, movimento, immagine e parola.” Ma questa è solo la premessa perché poi come fantasmi appaiono a tratti Carmelo Bene, Baudelaire, Celine e per quanto riguarda la costruzione musicale un certo tipo di panorama rock internazionale (noise, math rock) si incontra con fondamentali lasciti del cantautorato italiano, un esperimento riuscito in cui De Andrè, De Gregori, gli Area di Stratos convivono con Melvins e Birthday Party, con Jesus Lizard, Shellac e Scratch Acid, ma in questo vortice complesso fanno capolino anche Pasolini e Majakowskj.
E allora come è possibile che un progetto così complesso e stratificato è arrivato a testa e cuore immediatamente, tanto da urlare al capolavoro per l’esordio Dell’impero delle tenebre e avere tutte le conferme con A sangue Freddo, il secondo disco?
La magia della musica solitamente le cose non le spiega le fa sentire direttamente, attraverso vibrazioni convincenti in cui ci si riconosce.
L’ascolto di quel disco fu un rito collettivo che continuò a prendere forma sotto i palchi. Quella complessità e quei volumi disturbanti a chi non era avvezzo, sono piaciuti subito e senza riserve. Compagna Teresa, Carrarmato Rock e La Canzone di Tom, sono stati un po’ i simboli più riconoscibili grazie anche ai videoclip che li hanno lanciati; ma l’intera tracklist entrò sottopelle a chi si avvicinava a quella copertina che mostra una cupa eclissi con il rosso e il nero. Bisogna andare a cercarle le citazioni nascoste nei testi, che a volte arrivano fino a Shakespeare, alternando tempeste elettriche e sospiri, parole e cavalcate furiose, in uno scenario in cui tutto quello che non serve alla narrazione si distrugge con chirurgica violenza.
È una sorta di poesia maledetta che rinasce negli angoli più bui e disperati di un mondo che va a pezzi. Il lamento poetico, in cui forse si cela un pizzico di speranza, bisogna coglierlo oltre le forme e le apparenze, perché le distorsioni di chitarra e di basso, le bordate di batteria e il cantato urlato in faccia al pubblico, non va certo nella direzione di una conversazione fatta serenamente a tavolino.
È nella parte ruvida della realtà che bisogna sguazzare per morire e forse rinascere.
In questa solitudine a testa in giù, sebbene mai doma, ci sono i principali rimandi letterari, di un purgatorio che non è più a metà strada tra il bene e il male ma che tende più all’inferno, per il marcato disincanto, il cinismo dilagante e una sorta di persistente nichilismo.
Questa tendenza di fondo si fonde con i richiami più o meno evidenti sparsi nel disco, da Celine nel brano Dio Mio, agli Area di Stratos ne L’impero delle Tenebre, a Baudelaire in E Lei Venne! Temi come la perdita ne La Canzone di Tom, il fascismo e la resistenza in Compagna Teresa, l’ipocrisia della guerra in Carrarmato Rock, e tutto sommato un inaspettato pizzico di speranza in Vita Mia e una sorprendente chiusura della tracklist con Maria Maddalena.
Raccontarle le canzoni è impresa impossibile, quello che si può provare a fare è capire quello che c’è dietro, un’intenzione, un’attitudine, talvolta un pensiero, caratteristiche che spesso sono dei cantautori.
In questo senso lo spirito delle canzoni del Teatro degli Orrori somiglia molto a quello dei cantautori che condensano e sintetizzano di continuo la realtà dal loro punto di osservazione, dalla loro postazione della coscienza.
Dopo un album split insieme agli Zu e una partecipazione alla compilation di Manuel Agnelli “Il Paese è Reale“, la band si ripresenta con il secondo album, “A Sangue Freddo” (2009), che conferma quanto di buono mostrato nel debutto, sia a livello sonoro che testuale, e i live continuano ad essere un fortissimo rito rock collettivo.
Si continua sulla stessa traccia. Il titolo del disco è un richiamo al famoso romanzo di Truman Capote, ma A Sangue freddo è anche una canzone, dedicata al poeta, scrittore e attivista nigeriano Ken Saro-Wiwa, ucciso nel 1995 che prende spunto dallo scritto di Saro Wiwa, La vera prigione, composto durante la prigionia precedente alla sua morte.
Anche in questo disco riferimenti alti, da Majakowskj, a Cristo (con Padre Nostro). I due videoclip di A sangue Freddo e Direzioni Diverse danno una spinta ulteriore a questo secondo lavoro, che presenta pezzi potentissimi musicalmente come per esempio Due. La band conferma quanto di buono fatto sin dall’esordio e questi due gioielli del rock alternativo italiano resteranno per sempre sugli scaffali delle cose migliori fatte in questo ambito.
La band, prima di sciogliersi proporrà altri due dischi, “Il Mondo Nuovo” (2012) e l’omonimo “Il Teatro degli Orrori” del 2015, che pur confermando il mood e la forza delle origini non raggiungono i livelli degli esordi.
Tuttavia contrariamente alle previsioni e a distanza di una decina di anni la band ha deciso di ritornare sul palco per un tour da febbraio 2025 che prende il nome proprio da uno dei brani del secondo disco, quanto mai azzeccato per annunciare questo ritorno a sorpresa: Mai dire Mai. Non sappiamo se ci sarà un quinto album, se la reunion sarà duratura tanto da ritornare anche in studio di registrazione. L’attesa di trovarsi ancora sotto al palco può essere ingannata ascoltando ancora una volta quei dischi che qualche anno fa hanno scosso le pareti, cuori e menti.
Le date del “Mai dire mai tour 2025” (biglietti)
- 20 Febbraio – Vox Club – Nonantola (MO)
- 25 Febbraio – Teatro Carriere Carrara – FIRENZE
- 26 Febbraio – Estragon – BOLOGNA
- 01 Marzo – Teatro Concordia – Venaria Reale (TO)
- 05 Marzo – Hall – PADOVA
- 12 Marzo – Atlantico – ROMA
- 13 Marzo – Casa della Musica – NAPOLI
- 14 Marzo – Eremo Club – Molfetta (BA)
- 18 Marzo – Alcatraz – MILANO