Perché amiamo i Pop X: nasce la fenomenologia “frocia”
Se vi siete imbattuti in questi articolo, non c’è dubbio: conoscete i Pop X. Se ancora non avete conosciuto i Pop X, non c’è dubbio: non potrete fare più a meno di ascoltarli (o di detestarli). La band trentina, il cui centro di gravità permanente è il compositore e musicista Davide Panizza, ha difatti stregato il pubblico italiano con le sue sperimentazioni voraci e stranianti, composte di rutti, sputi, beat ipnotici e vorticosi versi non-sense ai limiti dell’allucinogeno. Dal cielo ci son cadute le loro palle, ma a quanto pare si trattava di vere e proprie bombe a mano.
L’intento di questa piccola indagine è quello di provare a comporre una fenomenologia della “magia frocia” di questo gruppo, cercando di comprendere le motivazioni alla base del nostro amore per le loro creazioni. Un modo più sobrio per sondare “gli effetti dei Pop X sulla gente”.
Appare, allora, forse meno implausibile osservare una certa tensione patafisica, combustiva, alla base dell’intero progetto: distruggere per creare, ricomporre, ripensare, rigenerare in una veste inaudita. Lo stesso lemma “frocio”, uno dei più fecondi nella produzione poppicsica (popperiana era già stato preso), è privato del suo significato originario, offensivo, e acquisisce una valenza propria, politicamente e linguisticamente scorretta, appositamente periferica rispetto agli usi comuni, portatrice di una narrazione differente.
Nella poietica dei Pop X si rinuncia alla necessità asfissiante della coerenza e della linearità, per accedere a una sperimentazione estrema che non disdegna nessun elemento esterno e interno, offrendoci la possibilità di spingere il nostro cervello oltre il confine stabilito che qualcuno ha tracciato ai bordi dell’infinito. Le combinazioni audiovisive riecheggiano nella mente, si insinuano attraverso un sound familiare e accattivante, per poi condurci come il canto di una sirena a risultati semantici stranianti e perversi. L’opera dei Pop X è unheimlich, disturbante, inquietante, frammentata, generativa. Ci porta al di fuori di noi stessi, aprendo porte che si affacciano sul nostro giardino interiore. Lo sai questa parola che effetto che mi fa? Detta piano, forte, detta ad un’altra velocità. Può anche uccidere, può anche darmi la felicità.
1933 anni fa
Nella casa che è rimasta ancora la
Due secondi prima di morire anch’io
Ti sarei venuto incontro a dirti addio
Che nessuno ti capisce più e che lei
è una donna e non ha più la stessa età
Ti vorrebbe ricordare come sei
Sulla pista di un vinile oppure un file
Che rovescia la cartella e trova i tuoi
Riabbracciati in una foto da robot
Come due felici parti di metà
Di una vita rivissuta nell’aldilà
è una frase di molteplice poesia
Una raccolta di disgrazie a dirsi mia
Che rivedo con degli occhi a forma di
Desiderio con problemi di agonia
Paiazo – The Best of P o P _ X
Eppure un elemento sfugge a questo uragano di elementi sfacciati, pieni di continui rimandi alla sessualità e allo squallore. Dagli squarci profondi sulle tele del pentagramma, penetra la luce. Tra una natura morta di Panizza seminudo e vacche che fanno mu mu, si ritrovano scene di ordinaria frammentarietà emotiva, così vicine al nostro sentire collettivo da apparire sospette, precise, cucite addosso all’ascoltatore. Consiste forse in questo la stregoneria frocia dei Pop X: nell’essere sempre in tensione fra l’abisso e le superfici collettive, nel presentare chiare stranezze e bizzarrie del pensiero. O, forse, più semplicemente nel proporsi come un itinerario in continua mutazione. Non ci resta, allora, che accendere la torcia nell’oscurità e perderci nei sentieri selvaggi di questo universo frocio, di questo universo perso.
Ti vedo nuda nello specchio e ci credo davvero/
E mi ci fiondo addosso e mi sfondo il naso/
Ti vedo nuda nello specchio, ci credo davvero/
E mi ci fiondo addosso e mi sfondo il naso/
È un’emozione che bevo di forza/
Un’aranciata che sfondo nel vetro/
È un’emozione, qualcosa di forte/
Una lattina che brucio nel forno/
È una lezione, qualcosa di forte/
Una lattina che straccio nel forno/
Che brucio lì dentro quel punto in cui/
Moriva la gente/
In cui non sento più niente.
Com’è l’amare nel luogo in cui l’amore non si vede – The Best of P o P _ X