Door Selection: Brunori Sas in tv e le band che copiano i Thegiornalisti
Un tempo il capro espiatorio dei mali del mondo era la televisione. Si usava la televisione, e i programmi che venivano trasmessi, come sommo esempio di scemenza o di basso livello culturale. Il fatto che l’uomo sia un essere pensante non è affatto scontato. Se una volta questa mia ultima affermazione veniva confermata da ciò che circolava in televisione – o, parafrasando Umberto Eco, dallo scemo del paese che frequentava il baretto sotto casa – oggi sono i social network che, quotidianamente, ci fanno prendere coscienza di ciò.
Faccio un passo indietro e ritorno alla televisione. La cosa interessante è che le generazioni più ciofani, diciamo quelle dei nati dagli anni ’80 in su, hanno quasi completamente smesso di guardare la tv e le cause sono molte, ma evito qui di parlare dell’invenzione di Netflix e dello streaming on demand. Fanno eccezione a questo snobismo giovanile forse i rarissimi programmi e personaggi che appartengono a una specie di immaginario collettivo come “L’eredità”, animali fantastici tipo Amadeus, o certe cose più intelligenti stile “Propaganda Live” (letteralmente geniale, ahimè però sempre molto impregnata di ideologia, che spesso uniforma il tutto sotto un unico e imperante punto di vista).
Insomma i ciofani se ne vanno ancora una volta e in questo caso non all’estero, ma verso altri media. Chi fa televisione questo lo sa e sta facendo di tutto per convincere i ciofani a premere quel maledetto pulsante rosso del telecomando e a ricominciare a fare zapping. Una delle tecniche per riavvicinare i ciofani è portare dentro quel rettangolo nero, ormai diventato sottilissimo – così sottile che forse un giorno potrebbe scomparire – gli idoli/eroi che i ciofani stessi si sono proclamati.
Il dialogo degli addetti ai lavori televisivi potrebbe essere stato più o meno il seguente:
Addetto ai lavori A: “Che palle, ma ancora “Ballando con le stelle”? Non potremmo pensare a qualcosa di nuovo quest’anno?”
Addetto ai lavori B: “Sì ok, ma cosa. Ormai le abbiamo provate tutte. Lo sai che non si inventa più niente. E poi ad Alberto Angela abbiamo già chiesto di sostituire Fazio, ma ci ha detto di no ogni cazzo di volta. A quello i soldi non interessano vuole solo la natura o al più qualche antico vaso.”
A. ai L. A: “Ehi, c’ho un’idea! Perché non guardiamo alla musica? Tutto sommato sembra ancora viva. Del resto anche Cremonini ha fatto uscire il disco nuovo.”
A. ai L. B: “Sì ma a chi potremmo chiedere di metter su una trasmissione? I cantautori e le band che girano adesso e che ascoltano i giovani sembrano tutti quanti un gruppo di disagiati con difficoltà sociali e che difficilmente sarebbero in grado di argomentare qualcosa di senso compiuto per più di un minuto e mezzo.”
A. ai L. A: “Potremmo chiedere ai più vecchi, magari loro un minimo della vita hanno capito. E di sicuro saranno più all’altezza della situazione. Quelli più giovani e con più difficoltà dialettiche li portiamo solo come ospiti da Fazio”.
Sinceramente? Io credo proprio non sia andata molto diversamente da come ho scritto. E così ecco i Manuel Agnelli e i Brunori Sas comparire come per magia sulle reti nazionali.
La cosa bella di tutto questo è che sia Manuel Agnelli che Brunori Sas sono abbastanza intelligenti e furbi da aver capito che fare tv è – termine caro a Montale – un’occasione. In primis per farsi conoscere: la prova sono gli Afterhours di Agnelli che al concerto dei loro trent’anni al Forum di Assago hanno fatto un pienone assurdo, mentre io me li ricordo bene i loro concerti della fine dei Novanta e degli inizi del Duemila, si era in pochi, pochissimi, là sotto, in confronto ai numeri di oggi. Un’altra prova è la reazione di mio fratello, ferratissimo e molto più di me su una marea di cose più utili nella vita, ma non sulla musica italiana attuale. Immaginate la scena. Situazione morettiana. Siamo in macchina, lui guida, io al suo fianco. A un certo punto lui, dal nulla, rompendo il rilassato silenzio, mi fa:
“Oh. Ho visto il programma di quel Brunori Sas. Niente male eh. E pure come canta mi piace.”
Quindi niente, tutto questo per dire che alla “Door Selection” di questa settimana è Brunori Sas e il suo programma “Brunori sa” a passare brutalmente e in modo quasi arrogante la selezione. Tante cose positive: l’autoironia molto ben gestita, ospiti rappresentativi e di spessore della musica indipendente attuale come Dimartino e Motta, altri interventi interessanti come quello di Francesco Piccolo, un armadio magico modello Narnia che Brunori usa per spostarsi, una regia e una fotografia che non annoiano, tranne forse un lieve rallentamento di ritmo sul finale, ma che potrebbe essere anche una mia lettura errata causata dall’ora tarda della trasmissione e dalla presenza di un Guido Catalano un po’ pop, che non ho mai amato particolarmente.
Anche i temi trattati mi piacciono un casino. Se la volta scorsa si è parlato del corpo, nella seconda puntata toccherà alla casa. Il prossimo appuntamento del programma di Brunori è fissato per oggi, domenica 15 aprile, e tra gli ospiti ci saranno Colapesce, Neri Marcorè, Capra dei Gazebo Penguins e Dente.
Ma invece chi questa volta non passa alla “Door Selection”?
Da qualche tempo a questa parte, ascoltando di continuo artisti emergenti e avendo a che fare costantemente con tutte le nuove uscite, mi sono accorto di una questione che mi inquieta. Ho notato che un sacco di cantautori e band emergenti sta puntando su brani sempre più Thegiornalisti style. Ora, non dico sia disdicevole ispirarsi, ci sta e da che mondo è mondo, in qualunque ambito artistico, questa cosa delle influenze e delle inflessioni non può e non deve essere evitata in alcun modo. C’è stato un periodo in cui moltissimi si ispiravano a Mac DeMarco ad esempio. La cosa preoccupante però è che ora quegli stessi moltissimi emulano le sonorità dei Thegiornalisti. Sull’ultimo post di Stormi – il mio blog personale – tra i bocciati della settimana ho fatto qualche esempio, così da capirci meglio.
Concludo con un appello. Voi che avete una band o che scrivete canzoni, ve lo dico col cuore: lasciate perde’, davvero. Di Tommy Paradise ce n’è uno solo e basta e avanza pure. Credo fermamente sia meglio, per il bene vostro e quello di tutti, che torniate a Mac DeMarco. Perché, se ci pensate – e lo dico da una vita – siamo tutti nani sulle spalle di Mac DeMarco.
Natan Salvemini
Natan Salvemini è nato nel mezzo degli anni Ottanta, gli piacciono le tartarughe, perdersi tra gli alberi e Bill Murray. Scrive di musica in giro e sul suo blog Stormi.