Di solito si tende a etichettare ogni cosa o, se non altro, a cercare le somiglianze con qualcosa che si conosce. Credo che sia un’esigenza intrinseca in ogni persona. La novità, vuoi o non vuoi, scuote, quindi c’è bisogno di un appiglio, un bisogno di ricondurre il nuovo a qualcosa di noto. Le etichette sono confortanti e non ci trovo assolutamente niente di male. Ma molte volte una cosa è talmente nuova e contemporaneamente molto simile a così tante cose che etichettare è pressoché impossibile, se non controproducente, addirittura. Avete presente questa sensazione? E avete presente quando ascoltate qualcosa per la prima volta ma vi sembra già sentito, o comunque molto familiare? Ecco: ascoltando Generic Animal l’impressione è quella. Non perché sia un copiaticcio di altro, bensì perché quello che canta è qualcosa di quotidiano e ordinario, ma nuovo.
Qualcosa che rimanda a Bon Iver, o agli American Football. O forse no. Infatti è una combinazione di più elementi, ci sono rimandi soul, indie, emo, hip hop con quei loop che entrano nella testa e nel fraseggio. E c’è anche R’nB, folk e tanto tanto altro. Ma in fondo, forse, non c’è niente di tutto questo.
E si potrebbe far finta di non sapere che dietro a Generic Animal c’è il nome di Luca Galizia, già nei LEUTE, band emo.
Potremmo fingere di non sapere neanche che i testi sono di Jacopo Lietti (cantante e paroliere dei Fine Before You Came, tra le altre cose); oppure che nella produzione ci sono quei geniacci di Adele Nigro e Marco Giudici degli Any Other, o, ancora, che ci sono le voci di Brithh e M¥SS KETA. Potremmo, ma si perderebbe un po’ il background del disco, il suo sviluppo, visto che tutte queste collaborazioni e queste amicizie hanno creato questo disco, e viceversa; ma bisogna fare attenzione anche a non perdere di vista il fulcro: Generic Animal, cioè l’album e Luca.
Il lavoro si presenta come sgangherato, sghembo e incompleto, a tratti sgraziato. “Ho sbavato sul cuscino / Ho dormito di traverso / Ti ho rubato le coperte / Forse qui non torno più” è una vera e propria nenia avvilente che, però, nel complesso acquista una dolcezza inattesa; è un po’ come se le varie tracce fossero appunti, ricordi, immagini impresse su un taccuino qualunque e messi in musica. L’arrangiamento contribuisce notevolmente a creare la giusta atmosfera leggera, lo-fi.
Sembra tutto molto scarno, non ci sono chitarre o batterie eccessive, ma solo chitarra acustica presa da casa di mamma, tastiere e un po’ di elettronica.
I testi sono brevi, ripetitivi, ma senza ritornelli e, comunque, pieni di dettagli crudi e quotidiani che, messi in musica, vengono sacralizzati e resi importati, come in Tzunami; un normale dialogo alla tavola di casa di mamma, “calda la zuppa sarebbe più buona”, ma poi la fatidica domanda, “Hai poi trovato lavoro?”. E c’è molta tristezza, ci sono temi giovanili, e una città dell’hinterland che “è uno stupido paese”; un paesaggio grigio che partecipa attivamente all’umore dell’autore e una “sinergia tra paesaggio e / condizioni meteo”. E c’è anche la sconfitta, la resa e la voglia di star bene, “mettiamoci comodi / proviamo a stare calmi”, ma anche una presa di coscienza e l’identificazione finale di questo animale generico.
“Io e te siamo un cane / La smetteremo anche noi di mangiarci la coda”.
Generic Animal – il disco e Luca – è delicato e brutale allo stesso tempo, è qualcosa di fastidioso, straniante ma anche trascinante e attraente. E, premendo play e facendo andare la musica, la mente viaggia in questo mondo con specifiche palette di colori, alla Antonioni, ma pieno di dettagli. E, sempre come in Antonioni così pure in Generic Animal questi brani-bozzetti, in realtà, sono completi in ogni loro parte.
“Non bisogna lasciare che un film finisca con la fine del film. Ma bisogna fare in modo che il film si prolunghi proprio all’esterno di se stesso, proprio dove siamo noi, dove viviamo noi che siamo i protagonisti di tutte le storie”