Esiste una stagione che è possibile definire come la più florida per la scena indie italiana ed è quella che attraversa gli anni novanta. Arrivava molto dagli states, e quel molto veniva ascoltato, divorato, assimilato e digerito anche dalle band nostrane con risultati stupefacenti. In numerosi casi non avevano nulla da invidiare alle produzioni estere. Non voglio qui ed ora mettermi a fare apologia di quel periodo. Ma è necessario partire da lì per parlare dei Giardini di Mirò, band emiliana che inizia a muovere i suoi primi passi alla metà degli anni ’90 (3h già… il secolo scorso).
Siamo nel mondo del rock, del postrock a voler essere puntigliosi e a voler mettere delle etichette.
Quello che arriva in Italia è figlio della scena di Seattle, ma non solo (ancora una volta in più è bene ricordare che OK Computer è del 1997). Fatta questa doverosa digressione nel passato è bene sottolinare che i Giardini di Mirò con questo nuovo album non vogliono assolutamente compiere un’operazione nostalgia. Intendono raccontare con straordinaria efficacia il presente attraverso un suono che ovviamente è figlio di una carriera artistica più che ventennale.
Different Times non è solo il nome dell’album e della prima traccia, ma sembra essere un timbro, un sigillo. Quasi 9 minuti strumentali con visioni chitarristiche, che in alcuni tratti ricordano le “corde urlanti” di David Gilmour. Different times, la storia dei Giardini di Mirò è anche il nome di una biografia scritta da Marco Braggion con la prefazione di Carlo Pastore che ripercorre il percoros della band. Non si rinnega il passato, non si sfida il presente, non si teme il futuro.
Si prende coscienza che esistano tempi differenti, che ognuno di essi ha la sua importanza e la sua peculiarità ed attraverso questi “tempi differenti” si porta avanti il proprio linguaggio musicale, il proprio suono, la propria visione artistica.
Atmosfere rarefatte, intrecci chitarristici mai rindondanti, ritmiche leggere che si appoggiano senza risultare fini a sé stesse, ma funzionali ad un’architettura sonora misurata con sapienza. D’altronde se l’esperienza ha un vantaggio è proprio quello di saper dosare gli elementi ed ottenere un risultato equilibrato.
Different times è un album dei Giardini di Mirò, in tutto e per tutto.
L’apporto con Giacomo Fiorenza, produttore dei loro primi 2 album crea ancora di più un legame forte con il passato della band. Mentre l’uscita attraverso l’etichetta 42 records testimonia da una parte la capacità della label di individuare sempre in modo scrupoloso gli artisti su cui vale la pena investire, dall’altra la voglia della band di “mostrarsi” attraverso un’etichetta discografica capace negli ultimi anni di aver promosso artisti diventati importanti per la scena indie italiana (Cosmo, Andrea Laszlo De Simone per citarne un paio).
Una nota particolare la riservo per Failed to Chart (con Glen Johnson dei Piano Magic) capace di ricordarmi in maniera straordinariamente evocativa le atmosfere più sinuose degli Einsturzende Neubauten. Fieldnotes è la track che chiude l’album ed anche qui, non curanti delle regole radiofoniche, ci troviamo di fronte a 10 minuti di puro viaggio onirico.
Different times è un album fuori dalle mode, ma non fuori dal tempo (parafrasando i Bluvertigo).
Bisogna semplicemente chiudere gli occhi mentre lo si ascolta ed è forse questa la sua forza. Non serve altro che il puro e semplice ascolto per apprezzarlo.