Alosi, 1985: ciò che siamo, che saremmo potuti essere, che saremo
“Nessuno legge più i libri, non c’è più la fila il sabato a comprare i dischi. Siamo lontani da casa, fantasmi del rock ’n’ roll”. “I tempi cambiano”, cantavano i Negrita, e anche Pietro Alessandro Alosi sembra essersene accorto.
Ecco perché, oggi più che mai – nell’era dell’homo digitalis, della spersonalizzazione e della conseguente omologazione sociale, del presente continuo e sempre visualizzabile attraverso uno schermo – il tema della memoria, intesa come capacità del soggetto di riconoscersi nel suo passato, nelle sue radici, riacquista una certa urgenza. La stessa urgenza, in questo caso comunicativa, che ha spinto l’ex penna e voce del duo Il Pan del Diavolo a compiere metaforicamente un “viaggio musicale viscerale e intenso” proiettato all’indietro, mostrando quanto le cose siano cambiate rispetto agli anni ’80, uno dei decenni in assoluto più controversi.
Ascolta qui “1985”, primo album da solista di Alosi
L’album di Alosi, il primo da solista, uscito nel 2019 per La Tempesta Dischi, sin dal titolo decide di mettere al centro il chiaro riferimento temporale: 1985, anno di nascita del cantautore, musicista e produttore palermitano.
“Cosa resterà di questi anni ’80? […] Anni allegri e depressi di follia e lucidità”.
Anni “leggeri” che però pesano come un macigno sull’Italia di oggi, dove le conseguenze del laissez-faire degli Eighty si fanno tuttora sentire (individualismo, spettacolarizzazione…). Per Alosi di questo 1985 restano però “un sorriso e un’anima triste”. È da qui che bisogna partire per provare a ricercare la nostra potenziale identità (forse perduta o forse no), passata e futura. Eh sì perché alla fine è il guardare alla memoria – non una facoltà tra le altre ma la condizione di possibilità di tutte le altre, sede di qualcosa che sfugge all’uomo, dell’inappropriabile, perché quando ricordo scopro che le mie radici affondano nelle profondità insondabili di un’anima che eccede ciò che io sono e in cui rischio di naufragare – è questo gesto che paradossalmente ci permette di riconoscerci, riconoscerci in quanto altri, in quanto più che noi stessi (“Je est un autre” scriveva Rimbaud).
Ed è solo così possiamo ricevere quella “spinta” dal passato capace di fungere da linea guida per l’agire qui e ora, nel presente, e domani, nel futuro. Con un finale ancora da scrivere. Nel frattempo Alosi si gode “un attimo di elettrico”.
“Con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia, ma colpisco un po’ a casaccio perché non ho più memoria”.
[Coda di lupo – Fabrizio de Andrè]