Forza creativa e spinte autodistruttive: l’ossimoro di Claire Audrin
Claire Audrin è una sorta di predestinata. Lo sono i suoi testi, in cui l’esigenza primordiale di comunicare si fonde con un crepaccio di sentimenti profondi e dalle tinte fosche. È difficile scorgere la luna o le stelle al primo ascolto: una infetta nostalgia, una plumbea claustrofobia accompagnano tracce come Monster e A Better Plan. Unlocked è un album demoniaco, intendendo con tale termine una presenza costante capace di modificare ritmi cardiaci e respiratori.
I demoni di Claire sono reali perché volutamente non accennati. Si percepiscono i latrati tra gli strappi della sua scrittura. Presenze inquietanti nella struttura vitale di ognuno di noi: la vita che scorre, la straziante agonia di una amore travagliato, le trappole di viaggi non codificati. Il pacemaker emotivo è settato altissimo, come lo è il nostro: è facile percorrere le sue rotte, indossare le sue scarpe, sognare le sue speranze. Tali rotaie si accompagnano a geometrie musicali fluide, calde, quasi opacizzate in tanta tachicardica ricerca di quiete.
La voce di Claire, caratterizzata da una fase arteriosa blues e da post-reflussi urban (ha suonato per strada a Londra) che la rendono autorevolmente camaleontica, è sempre proiettata al core espressivo: occhi sognanti su un cuore ferito forniscono un borderò sincero alle sue parole. È lei la creatrice e la distruttrice, volto ed anima di un percorso musicale intimo ma urlato al mondo. Spara, si difende e soccombe: è l’eviscerazione preautoptica della sua anima, l’unlocking. Le abbiamo rivolto qualche domanda in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo.
Ascolta qui il nuovo singolo di Claire Audrin, “London Eye”
Hai adottato un nome d’arte in inglese, canti in inglese. Oltre al beneficio estetico, è una sorta di armatura emotiva che hai scelto di indossare?
Ho scelto il nome Claire Audrin perchè Adriana non è altro che il mio secondo nome. Canto in inglese perché fin da piccola i miei ascolti sono stati al 98% di musica straniera, per cui mi è venuto naturale scrivere in lingua inglese. I miei testi sono quasi tutti autobiografici e parlano spesso di situazioni molto intime quindi un po’ mi fa comodo mascherare quello che sto raccontando dietro un’altra lingua. Ultimamente invece sto scrivendo quasi solo in italiano e lo sto apprezzando, non c’è fretta,ma spero di far uscire presto qualcosa e finalmente farmi capire al 100%!
Hai suonato, scritto, fatto la “gavetta”: guardandoti indietro, quale è stato il momento in cui hai pensato “Questa è la mia strada?”
Ho pensato che questa fosse la mia strada almeno un miliardo di volte, la musica mi ha conquistata fin da piccola e non potrò mai smettere di suonare. Mi rendo conto che basare il proprio futuro su un sogno è un azzardo, ma qualsiasi altro futuro provo ad immaginare per me mi rende infelice. Ho avuto tanti momenti di abbattimento durante questi anni, ma il momento in cui ho capito che non potevo fare a meno di seguire questo sogno è stato un anno fa all’apertura del concerto di Ermal Meta: dopo dieci secondi che sono salita su quel palco e ho suonato la prima nota ho capito che nessun’altra strada potrà essere mai più giusta di questa.
Hai prodotto il tuo primo lavoro grazie al crowdfunding. Come si conquista la fiducia di un pubblico volitivo come quello attuale?
Si, ho registrato un Ep grazie al crowdfunding e ancora oggi ringrazio infinitamente tutte le persone che mi hanno permesso di realizzarlo. Non pensavo che sarei riuscita a raggiungere l’obiettivo e invece il risultato è stato sorprendente. Come si conquista la fiducia di un pubblico ancora non so spiegartelo… Sicuramente essere sinceri è uno dei modi per conquistare la fiducia in generale, sia nella vita ma anche nella musica: se scrivi qualcosa di autentico e sincero le persone lo percepiscono e lo apprezzano.
Claire, nelle tue canzoni spesso si avverte una narrativa emotiva: racconti eventi che sembrano abbracciare lunghi archi temporali sia negli affetti che nei confronti della vita. Che rapporto hai con lo scorrere del tempo?
Onestamente odio lo scorrere del tempo. Odio l’idea di invecchiare (ahah) ma questo credo sia abbastanza comune. In realtà quello che mi spaventa di più dello scorrere del tempo è il rischio di dimenticare degli eventi, delle persone o delle sensazioni. In questo la musica per me è davvero di grande aiuto: quando riascolto un mio vecchio brano riesco a sentire nuovamente le sensazioni che ci ho chiuso dentro, riesce a ricolorare delle immagini nella memoria che altrimenti si sarebbero sbiadite con il tempo.
Narrativa emotiva dicevamo: parli di amori difficili, di amicizie che lasciano un vuoto improvviso. Temi che affronti con assoluta franchezza, senza sovrastrutture edulcoranti. È la rabbia che accelera la guarigione?
Nei miei brani parlo di situazioni che sono state difficili da superare, come un’amicizia finita o le mie crisi d’ansia. Nel mio brano “Australia” ad esempio, dalle parole si percepisce che io sia molto arrabbiata con la mia amica e la rabbia è la fase successiva alla tristezza. È quindi il momento in cui si reagisce e magari piano piano si guarisce.
Parli anche di sesso, di amori fisici. Mi ha colpito il tuo parlare di “il terzo di una coppia”. L’essere amante per una donna. Ne hai mostrato un lato doloroso.
Penso tu stia parlando del brano “Secretly”: parla di due amanti che iniziano a provare qualcosa di più forte e alla fine non possono più separarsi. Devo essere sincera, non è un brano che si riferisce ad una situazione particolare della mia vita, ma parla di una situazione immaginaria. Mi capita spesso di scrivere per immagini, soprattutto quando nasce prima la musica del testo come in questo caso e ascoltando la melodia e i sussurri ritmici delle voci ho immaginato due amanti tra le lenzuola nel vortice della passione, sul comodino dei libri e un vecchio fermaglio per capelli.
Il tuo sguardo sul mondo: come è stato vivere da straniera, senza certezze, come un minuscolo puntino nell’universo?
Se penso di essere solo un puntino nell’universo tutto perde senso (ahah) a parte gli scherzi, non avere certezze per me è come non avere la terra sotto i piedi. Sono una persona abbastanza ansiosa e maniaca del controllo, quando mancano le certezze, mi rifugio nei miei obiettivi e cerco di crearmi delle certezze momentanee. Tempo fa avevo deciso di partire per Londra per provare a portare il mio disco all’estero, ero spaventatissima, ma mi ero creata una piccola certezza prima di partire: avevo inviato il mio disco a tantissime etichette discografiche inglesi e una si era interessata al progetto, così almeno al primo bivio avrei saputo quale strada prendere.
Influenze musicali: hai pubblicato una versione remix di Monster. Ti affascina il mondo dell’elettronica? È un vestito che indosseresti?
Mi piace molto il mondo dell’elettronica, non lo disdegnerei. Anche se il massimo per me sarebbe fondere il mio mondo intimo acustico con l’elettronica, che è quello che ho provato a fare nel mio disco e che continuerò a fare nei miei prossimi brani.
Un viaggio che vorresti fare. Da sola, un solo disco in valigia.
Ad un viaggio da sola non ci ho mai pensato perché mi piace viaggiare almeno con un’altra persona, ma se proprio dovessi farlo sceglierei il deserto di sale in Bolivia e mi porterei “Sigh no more” dei Mumford & Sons.
Claire, cosa stai ascoltando in questi ultimi mesi? Consigliaci the next big thing,
Sto ascoltando Alice Merton, Billie Eilish, LP, il nuovo disco di Lady Gaga e dei Muse. Ma dato che sono italiana mi sento di consigliare un artista italiano. Sto consumando “Vivere o morire” di Motta, trovo sia un disco meraviglioso e ho avuto anche la fortuna di ascoltarlo live quest’estate… sono rimasta molto colpita, super consigliato!