Sono io o sei tu? I Cara Calma sono tutti e due
Si stima che, al giorno, ognuno di noi in media prenda decisioni a intervalli di 15 secondi. La maggior parte di queste sono involontarie. Una percentuale minima è invece fatta di scelte rilevanti, in grado di generare ripercussioni più o meno serie sul nostro futuro. È stato inoltre riscontrato che siamo costantemente soggetti a “trappole” cognitive e motivazionali – note come deviazioni sistematiche dal comportamento perfettamente razionale, irrealizzabile nel concreto – quando ci troviamo a dover decidere, su qualcosa o su qualcuno. Ma un modo “corretto” di prendere decisioni esiste davvero?
Arrivati qui, consiglierei di focalizzare l’attenzione sull’essenziale impraticabilità di questo presunto “comportamento perfettamente razionale”. Indubbia è la necessità di un qualche ideale regolativo a cui la condotta umana possa di continuo tendere, ma si tratta pur sempre di una “forma-guida” che, in qualsiasi momento, in qualsiasi situazione, deve fare i conti con la finitudine propria dell’individuo. Anche l’imperativo, sin troppo inflazionato, del “superiamo i nostri limiti!” penso sia fondamentalmente una cazzata. Arriva un’età, prima o poi, in cui ci sentiamo all’improvviso buttati lì, in prima fila. Sentiamo che è il nostro momento. L’adrenalina sale, ma a pesare come un macigno ci sono le ansie, le responsabilità, le aspettative. C’è un certo way of life preconfezionato dalla società che ci si presenta davanti e rispetto a cui bisogna decidere se conformarsi o meno. Forse però non si tratta propriamente di un aut aut. Una terza possibilità ci sarebbe e credo sia quella del compromesso.
A mio avviso, una delle cose che più può colpire dei Cara Calma è la capacità di – storpiando un po’ il testo di In tutti i dettagli – “scegliere i vestiti giusti da mettere in scena”. Ma la domanda è: quale scena? Anzi sarebbe più corretto usare il plurale.
Sì perché di scene che si alternano ce ne sono due, almeno. Da una parte la vita di tutti i giorni, quelle Otto ore che bruciano, passate a chiedersi come morire e a ridere poi a denti stretti, dopo aver capito che, alla fine, è tutto normale. Una libertà che viene venduta a ore: il leisure time stesso ha finito per esser inglobato da quella logica economicistica malata per cui, per assurdo, a nostra insaputa, anche nei momenti più impensabili, siamo portati ad allinearci a modelli di esistenza calati dall’alto. Attraverso questa libertà, “prodotta” e non effettiva, tendiamo inconsapevolmente a uniformarci a poco a poco, diventando così più facilmente controllabili, incasellabili. Ci viene tolta la voce. Non possiamo nemmeno fare rumore.
Dall’altra parte, però, c’è qualcuno che di questo divieto implicito se ne fotte e grida: “vi aspetteremo sui palchi/perché possiate salvarci”, riuscendo così ad accorciare per un attimo quella silenziosa distanza che solitamente ci separa gli uni dagli altri. C’è qualcosa che li smuove da dentro, che li fa staccare dal lavoro, saltare su una macchina, andare a sfogarsi su un palco e farsi riaccompagnare poi direttamente sul posto di lavoro. Il cerchio si chiude, è vero, ma nel mentre qualcosa di grande è successo. È successo che ancora una volta si è riuscito a trovare il proprio rifugio, un rifugio che comunque è aperto sul mondo. È proprio, ma allo stesso tempo è condiviso.
Magari mi direte che ho scoperto l’acqua calda. Provate però un attimo a pensare all’idea che di norma hanno del rock – e di chi il rock lo fa di mestiere (o quasi) – i non addetti ai lavori.
Abbiamo tutti in mente i grandi nomi, quelli che, per un periodo circoscritto forse sì, ma che al momento di dover scendere a patti con qualcosa nemmeno l’ombra. Non ne hanno bisogno. E provate anche a pensare che questi quattro ragazzi bresciani il loro disagio, le loro insicurezze, li urlano senza mezzi termini nelle loro canzoni. Arrivano come sberle dritte in faccia. Riportano con i piedi per terra, a scontrarsi con la realtà dei fatti. E poi non è nemmeno vero che ci si debba per forza riconoscere del tutto nell’uno o nell’altro piano. Si può essere tutto, l’uomo può scegliere cosa essere, può dire “io sono questo, ma sono anche altro”. Provate per un attimo a pensare quanto questo sia dannatamente rock.
Così come la figura in copertina: è una ragazza, presa di spalle, immobile. In mano una cartina, di fronte a lei uno scenario galattico che ci proietta tutti verso un futuro spazio-temporale chissà quanto lontano da noi. Ci rimanda a un universo di possibilità. Di nuovo, possiamo scegliere cosa essere. Universo è anche l’anagramma di Souvenir, titolo del secondo album dei Cara Calma, e il souvenir è qualcosa che ci permette di stabilire una connessione istantanea con il passato: avere lo sguardo rivolto avanti, una voglia incendiaria di ripartire, con la consapevolezza, però, che se tornassimo indietro faremmo tutto uguale.
Nel frattempo
Cammineremo a piedi scalzi ma senza fretta /
Perché nel buio cerchiamo la certezza
Nel frattempo, procederemo per tentativi. Continueremo a prendere decisioni.
Ascolta qui il secondo album dei Cara Calma
Cara Calma + I Boschi Bruciano live a Magazzino sul Po / Torino – 7 Novembre