Fine 800. L’estetica sonora affidata al movimento tonale si scontra con l’incosciente incertezza di inizio 900. La storia riscrive la musica: la vita dell’artista è “sporcata” dalle esperienze concrete di tutti i giorni, dalla fine dell’umanità legata al dramma delle due guerre mondiali, coinvolgendo nuove risorse e materiali emotivi nella struttura musicale. Arnold Schönberg destruttura le fondamenta operistiche fino alla costruzione del sistema dodecafonico aprendo una strada (tra le tante) allo sviluppo della musica elettronica, a nuvole tempestose che avrebbero elevato l’oggetto artista al soggetto musica in un rapporto simbiotico e doloroso. Ma le rivoluzioni non sono mai indolori: esse abbracciano e stritolano la storia, alterando le sequenze temporali e creandone di nuove. Rappresentano il frutto degli uomini e delle loro passioni, delle risposte o delle loro non risposte a tempi austeri o eccessivamente caramellati.
Giugno 2010. Un ragazzo senza una precisa identità (testimoniata da una busta a protezione del volto) viaggia tra Corso Trieste, gli Hipster, i repressi, i frustrati, gli emo-riciclati (cit.). Sono I Cani, è Niccolò Contessa. Lo scossone operato dal santone romano è così profondo da aprire uno squarcio su un mondo, la Scena Romana, che tanto avrebbe poi influenzato la scena nazionale successiva. La decostruzione stilistica e concettuale operata dai Cani è trapianto, ciclosporina e antibiotico contemporaneamente. Rappresenta un modello di pressione e volume possedendo le virtù del ventricolo sinistro e dell’atrio destro. Anidride carbonica e ossigeno: come per la storia, come per la musica e la fisica, nulla si crea e nulla si distrugge.
Gennaio 2020. Merce funebre, album d’esordio di Tutti Fenomeni. Giorgio Quarzo Guarascio, 1996, Roma. Quel che deve interessarci della sua biografia è quasi tutto in questo rigo. Dal collettivo dei Tauro Boys a 42 Records. Mantello, sipario e una nuova maschera.
Avere 24 anni a Roma, mangiare pizza bianca e trap.
L’evoluzione della Scena Romana, dell’Indie (non amo il termine ma rappresenterebbe un idea di libertà che mi emoziona sempre), di esperienze troppo facilmente strumentalizzate, bollate, post-Post, rappresenta il substrato su cui Tutti Fenomeni imbraccia l’ennesima mongolfiera su cui allontanarsi verso nuovi lidi. Planare, rielaborare. Come la scuola di Darmstadt, come Contessa. L’artista recupera i suoi sudici stracci e rielabora le proprie esperienze. È una nuova (tra le nuove) Rivoluzione: non è l’unica ma è quella di cui ci interessa parlare oggi. La storia riscrive la musica, perché quest’ultima non fa eccezione. Giorgio è un osservatore del mondo, uno che sul cellulare ha circa 3000 note da riascoltare e rielaborare. Vorrebbe far soffrire chi lo ascolta, dire “perché non l’ho scritto io”. Rosicare, insomma. Quindi, come lui stesso ha dichiarato, il suo elaborato non ha valori pedagogici. Il produttore è, per una meravigliosa congiunzione astrale, lo stesso Contessa. Ma questo è noto ai più. Ma lanciamo la bomba: Giorgio non conosceva Niccolò ma solo la lezione dei Cani.
Merce funebre, 11 tracce.
La traccia, Marcia funebre, è strumentale. L’obiettivo è catalizzare l’attenzione e la riflessione. È un manifesto funebre? È una rivoluzione che parte da un lutto? La Marcia funebre di Chopin scandalizzò i contemporanei per la violazione delle regole scolastiche di composizione. Come la scuola di Darmstadt, come il post punk di Contessa, come il post Contessa di Tutti Fenomeni. Rivoluzione, evoluzione.
Valori aggiunti è la carta costituzionale di Giorgio.
Si presti attenzione alla frase “no, non ci sono, sto a studio” che sembrerebbe mostrare come di fronte alla musica tutto vada in secondo piano. Musica che diviene Arte estraniativa in generale con la difesa dei poeti morti, ricchi di significati, in contrapposizione con i poeti vivi, rei di utilizzare un linguaggio pomposo e dal sicuro effetto sorpresa. “Comunicare solo con i gerundi” è geniale tatuaggio di una comunicazione sospesa e in divenire. Non a caso il gerundio è un modo verbale indefinito, sospeso tra participio e infinito. Chapeau. “Voglio incidere solo dischi brutti così sarò sicuro di piacere a tutti” si commenta da solo e riporta a FBYC di Contessa. Dispnoico.
Metabolismo è la traccia più transtemporale dell’album.
Racconta del fallimento dell’uomo nel raggiungere le periferie più estreme del proprio intelletto e della caducità del proprio posto nel mondo. Il raffronto con esperienze musicali mistiche (le sperimentazioni di Battiato in Come un cammello in una grondaia e di Battisti in Hegel) si fondono con il positivismo scientifico di alcune tracce di Contessa (Aurora, San Lorenzo, Protobodhisattva). Ma rispetto alle precedenti é maggiore lo scherno, affidato a immagini del passato (Anna Bolena) che ne aumentano la distanza. Il passato vs il plastico egocentrismo dei giorni nostri. Tale distanza è presente anche in Mogol, in cui la critica alle strutture vitali italiane diviene feroce. È una chiacchierata con il padre, una caduta degli idoli inversa. “Io quando mi impunto faccio bene” è implicitamente una critica ai supereroi della nostra generazione, egocentrici e autoreferenziati.
“Ma non si lasciano quasi mai” era il mantra con cui Contessa liquidava lo scialbo scorrere delle storie di coppia, ancorate alla paura della solitudine. In Reykjavík , il concetto è superato. Gli apprezzamenti a Teresa hanno minato le fondamenta della coppia ma il non lasciarsi è legato a un sentimento estremo, non alla pigrizia. È una licenza poetica che si rafforza con “soprattutto l’orgoglio e la stima”, ulteriore critica del superuomismo imperante.
Facciamo una pausa. Boccata d’aria.
Giorgio ha detto che i testi a molti possono sembrare quasi nonsense ma che a lui interessa poco. La sua è una scrittura frammentaria, piena di post-it e a volte ritorni e rincalzi. Questo è parzialmente mutuato dal substrato rap/trap su cui Giorgio è cresciuto.
Si parla d’amore e distruzione anche in Diabolik. È un amore che sa di essere amore solo al 91esimo, capace di cambiare i tratti somatici. Ma il gelo arriva con “non sono fatto per il lungo termine” che rimette in discussione tutti le regole preconcette: è la rassegnazione della mente che supera lo slancio del cuore. Come in una ideale staffetta, il concetto dell’amore mancato e dell’inaccessibilità dell’oggetto del proprio amore è resa in Hikmet. La traccia è zeppa di citazioni, da Mozart a Bizet, utilizzate in maniera superba.
Filosofia (la facoltà frequentata dal nostro anti-eroe) è traccia che nasce da una battuta.
È l’ironia caustica di chi ha come unico goal il conto in banca, utilizzando parole ricercate e uno sterile erudismo. “Il mondo è pieno di artisti che mi stanno antipatici e di cretini che mi stanno simpatici”. Leggeteci tutto quello che volete ma vale di per se un ascolto. Anche Marcel, omaggio a Proust, racconta con estrema aritmia il senso del dovere borghese, inviso a poeti e questure. Sono due tracce che vanno ascoltate, riascoltate e rielaborate. È il core centrale dell’album, qualcosa di cui riparleremo al prossimo salto storico. Arriviamo a Qualcuno che si esplode, perla per potenzialità e potenza distruttiva. Caustica, estrema, irreale.
Ho deciso di unire queste tre tracce perché rappresentano un Kraken a tre teste capace di sintetizzare tutta l’esplosiva cornucopia di Giorgio. Tutti fenomeni, nome nato per caso e frutto di un adesivo su un armadio, si erge per noi a grido di protesta verso un mondo in cui la gara è a chi urla più forte. La protesta del protoindie nasceva in fondo dal disagio comunicativo vuoto e dal tritacarne sociale che abbatteva sogni e aspettative.
Ultima traccia, ma in realtà lo stesso titolo della prima.
Trauermarsch è la traduzione tedesca di Marcia funebre. Chopin, certo. Ma perché la marcia diviene merce funebre? Torniamo indietro. Il termine merce deriva dal greco meiromai come “partecipare, aver parte” e poi al latino merere nel senso di “meritare“, “guadagnare”. Quindi, traslandola, si parla di un merito per una partecipazione. Partecipare, non essere protagonisti. Un concetto in netto contrasto con parte dell’estetica glam pesante e barocca della musica del primo decennio 2000. Ma quale è il merito per la partecipazione a un funerale?
Tutti Fenomeni pensa davvero sia arrivato il funerale della musica italiana? No, ovviamente. È solo una mia congettura. Le recensioni, le chiaccherate si basano su palafitte legate a tempi, spazi, emozioni e gusti. Ma quel che è certo è che il suo album getta le basi per una riflessione profonda su quello che stiamo ascoltando e su una necessità di superare alcuni ostacoli componitivi che hanno fatto spuntare gruppi e tracce molto simili tra loro.
Ho approcciato questo disco con la delicatezza e la mutuata perplessità di chi ha tra le mani un prodotto che, a detta dei custodi della verità assoluta, rappresenta una “copia di Contessa”, “nulla di nuovo”, “basi midi riciclate”.
L’ho ascoltato per giorni, senza sosta, apprezzandone ogni sfumatura, ogni tentativo/non tentativo di descrizione /non descrizione dei giorni nostri. Emozionarsi, interrogarsi, chiaccherare con altri che ne avevano apprezzato o meno la poetica senza cercare la glorificazione o la facile stroncatura. Ricercare i significati nascosti, leggendo e divertendomi a scoprirne tutte le citazioni. No, Tutti Fenomeni non è una brutta (o bella) copia di Contessa. Ne prende contenuti, per carità. Ma lo stesso potremmo dire di Contessa stesso, di Battisti, dei Beatles, dei cantori romani. È il ciclo della vita musicale. Tutto cicla. Siamo noi a cercare una classificazione. Siamo avvelenati dagli schemi, dalla puntualità, dalla perfezione del “vecchio”, dalla banalità del “nuovo”. Ascoltate Tutti Fenomeni e basta. Poi, costruite strutture, metastrutture, trans-strutture. È la totipotenza della mente che crea reti neurali. Ma, come diceva un famoso statistico, George Edward Pelham Box, “tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili”.
L’indie è morto? Viva l’indie.
La trap è morta? Viva la trap.