Che ci fanno insieme uno scozzese, un genovese e due italiani, uno a Londra e uno a Bruxelles? Sembra l’inizio di una barzelletta e invece è la storia dei Kettle of Kites, una band che mescola il cantautorato made in UK del leader Tom Stearn (scozzese di nascita ma ormai genovese di adozione), con sonorità indie rock e atmosfere tipiche del folk. È una storia di viaggi e di incontri, in cui tutto è tenuto insieme dal filo della musica, lo stesso che porta Pietro Marinelli, Marco Giongrandi e Riccardo Chiaberta a sperimentare insieme a Tom e a costruire nuovi mondi musicali.
La band realizza nel 2015 il primo album Loan, autoregistrato e prodotto da Tom nel piccolo primo studio del gruppo a Genova e mixato e masterizzato dall’altra parte del globo, a Melbourne. Oggi i Kettle tornano con il loro secondo lavoro, Arrows, una raccolta di nove tracce liberamente ispirate ai lavori di Isaac Asimov, uno dei più grandi scrittori di fantascienza e divulgatori scientifici di sempre.
Le diverse influenze della band si sentono tutte ma nessuna prevarica sull’altra, creando un risultato omogeneo e in grado di trasportare davvero in una dimensione diversa, sin dal primo ascolto. Dalle sonorità che ricordano i Fleet Foxes e i Grizzly Bears, ai richiami elettronici che sanno di Radiohead, uniti a immagini altamente evocative, tutto diventa un viaggio di suoni, che scorre veloce, in cerca di risposte. Risposte che ci hanno fornito gli stessi Kettle, che grazie alla loro musica sono un po’ più vicini tra loro ma anche a noi.
Ascolta qui il secondo album dei Kettle Of Kites
Kettle Of Kites: il vostro nome è particolare: da dove arriva e cosa significa?
Mi è sempre piaciuto che in inglese ci siano dei modi molto particolari per descrivere i nomi collettivi di animali. Ad esempio, un branco di leoni è a pride of lions, un orgoglio di leoni, uno stormo di corvi è a murder of crows, un omicidio di corvi, o ancora, uno stormo di gufi è a parliament of owls, un parlamento di gufi. E ce ne sono tantissimi altri! Kettle of kites, letteralmente, vuol dire “bollitore di aquiloni”, ma in realtà è il nome collettivo per descrivere uno stormo di nibbi. Di contro a noi piace lasciare libera la sua interpretazione: stormo di aquiloni? bollitore di nibbi?
Siete un gruppo anomalo: vivete tutti in città diverse e vi riunite per suonare insieme. Come gestite le prove e i live? Questa distanza influisce? Come gestite il flusso creativo? La distanza vi rafforza e vi stimola, perché ognuno
dice la sua, o è un peso?
È vero, è un po’ anomalo! Dobbiamo organizzarci per tempo e facciamo delle prove lunghe e intense dove tutte le idee elaborate singolarmente sono finalmente contestualizzate, per usare le tue parole, in un flusso creativo. Stessa cosa per i live: richiedono un po’ più di planning.
Direi, però, che questa distanza non è un ostacolo, ma anzi, uno stimolo. Quando ci vediamo, infatti, siamo super motivati, con tanta voglia di provare, lavorare e stare insieme, proprio perché non riusciamo a farlo settimanalmente, nonostante ci sentiamo praticamente tutti i giorni. Il fatto che ognuno dica la sua probabilmente non deriva dalla distanza ma è piuttosto una caratteristica strutturale di tutti i gruppi i cui musicisti sono tutti professionisti, compositori ecc. A volte ci vuole tempo per trovare un accordo comune, ma gli input personali sono sempre un arricchimento. Gli intervalli di tempo tra una prova e un’altra ci permettono di riflettere, elaborare le nuove idee che sono saltate fuori. A volte ci mandiamo delle registrazioni da condividere o ci troviamo su Skype, strumenti alla mano, per uno scambio di pareri e spunti musicali sui brani.
Il vostro secondo lavoro è bellissimo, a livello di canzoni, contenuti ma anche estetica. Soprattutto, è pieno di contaminazioni musicali, scientifiche e letterarie. Come mai è nata l’idea di ispirarvi ad Asimov?
Innanzitutto grazie! Il tema dello spazio e il suo collegamento con l’umano mi intrigano molto. Sono da sempre un fan dei libri di Asimov (ne ha scritti tantissimi!) e uno dei motivi è proprio che mi affascina il suo modo di trattare queste tematiche così complicate e attuali. Lo consiglio a tutti!
L’idea dell’album è partita in realtà da una canzone, Oliver, che ho scritto ispirandomi a un personaggio dei suoi libri. Questo argomento ha da subito stimolato tutti nel gruppo e quindi abbiamo deciso di sviluppare questa linea come struttura portante dell’album.
Sempre su questa scia, abbiamo collaborato con la bravissima Carlotta Cardana che ha creato una serie di fotografie, scattate completamente in analogico, che mirano a dipingere paesaggi spaziali che, infatti, strizzano l’occhio allo stile di copertine dei libri di Asimov dell’edizione degli anni ‘50/’60.
La collaborazione con il prof Emmer per il video di Oliver, che vede protagoniste le immagini del cortometraggio Flatlandia, è stata invece, nonostante la coerenza totale con il nostro lavoro, abbastanza imprevedibile: quando ancora non stavamo pensando alla realizzazione di un videoclip Martina, mia moglie, ha notato che l’abbinamento tra quelle immagini e la nostra canzone calzavano a pennello. Così, con i ragazzi, abbiamo deciso di intraprendere quel percorso e chiamare Emmer e ne siamo stati felicissimi.
A livello prettamente musicale, invece, ci piace la contaminazione di generi, di suoni e di strumenti vari. Anche nel nostro primo disco avevamo ragionato in questo senso, però la tematica di quest’ultimo album, parlando di mondi diversi, lontani e allo stesso tempo vicini, ci ha permesso di poter essere più creativi su quest’aspetto e poter spaziare di più.
Tante tematiche sono nate da queste riflessioni e poi entrate nelle vostre canzoni: dall’amore, al futuro, al senso dell’esistenza. Vi sentite diversi oggi dopo averlo scritto? Cosa rappresenta questo lavoro per voi?
Creare un album è sempre un processo che ti cambia. Scrivere questi brani sicuramente ti trascina all’interno degli argomenti di cui parli, che tu lo voglia o no. Tra l’altro in Asimov le tematiche che ti fanno cambiare prospettiva sulle cose, nonostante sia fiction, sono parecchie: la più plateale è l’immagine che la terra non sia che soltanto uno dei tantissimi pianeti abitati nello spazio. La differenza tra stati, province, regioni, etnie, in questa prospettiva cambia totalmente (e in meglio). Marco, il nostro chitarrista, durante il periodo di composizione, si è preso così tanto che ha iniziato a leggersi la serie Foundation di Asimov.
Non si può negare che sia un processo faticoso. Ma ne esci veramente arricchito sia a livello musicale che umano, ancor di più quando è un progetto condiviso.
Progetti futuri e prossimi tour?
Siamo rientrati da poco da una serie di date in Italia, UK e Belgio. Adesso, pian piano, stiamo pianificando i prossimi concerti e anche gli obiettivi che come gruppo vogliamo provare a raggiungere! Sicuramente le aspirazioni sono molte e molto alte, e in questo momento stiamo cercando e valutando i giusti collaboratori per continuare il percorso di crescita del gruppo al meglio.
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