Banana Republic, l’impresa eccezionale di Dalla e De Gregori

C’è una canzone del 2010 che si chiama “Non basta saper cantare”. E dice più o meno questo: “Su questo pezzo di strada / dove la notte è padrona / c’è sempre un orso che balla / e una scimmia che suona. 

Giorgio Verdelli, autore televisivo, inizia la puntata del programma Rai “Unici con questi versi e con una domanda rivolta all’autore di quelle parole. “Chi è l’orso e chi è la scimmia?”. “I ruoli ce li scambiavamo. L’orso che balla potrei essere più io, perché meno mobile sul palcoscenico. Lucio era una scimmia, in tutti i sensi, un po’ per la sua pelosità, un po’ per la sua vivacità” risponde il cantautore dall’altra parte della scrivania del suo ufficio, tenendo tra le mani una pinzatrice come se fosse un antistress.

L’orso in questione si chiama Francesco De Gregori, la scimmia che suona è Lucio Dalla. Uno dei sodalizi più importanti della storia della musica italiana. Due amici, prima che cantautori, che con due tour e due dischi live a distanza di 31 anni, hanno instaurato un’altra Repubblica.

Banana Republic” è stata per oltre 600.000 persone, in quei due mesi del 1979, una vera e propria istituzione capace di riscrivere le regole della musica italiana. Nel 2010, “Work in progress”, invece, ha rappresentato la chiusura di un cerchio. Una sfumatura inedita dell’orso impacciato, che sul palco come d’incanto si scioglie e si adatta al ritmo dell’amica scimmia, dando vita a qualcosa di unico.

In un momento di pausa, Lucio Dalla disteso sul palco, fuma una sigaretta mentre parla con De Gregori e Ron

Gli anni di piombo

La musica dal vivo in Italia dal 1970 in poi non se la passava bene. Erano gli anni delle contestazioni violente, con i gruppi stranieri che decidono di non venire più nel nostro Paese. L’Italia, in quel decennio, non è un paese per concerti.

Il 2 aprile 1976, nella seconda data del tour di De Gregori, al Palalido di Milano, avviene quello che è ormai divenuto celebre come il “processo” al cantautore. Davanti a 8.000 spettatori, un gruppo della Sinistra Extraparlamentare prima tenta di interrompere ripetutamente il concerto, poi, al termine dell’esibizione, costringe De Gregori a concedersi a un vero e proprio processo politico senza appello. L’origine della protesta è semplice: De Gregori, come tanti altri cantanti di quell’epoca, canta temi di sinistra, ma solo per arricchirsi.

Dopo quel concerto il cantautore decide di non mettere più piede su un palco per tre anni. Inizialmente pensa di chiudere lì la sua carriera di artista e va a lavorare come libraio. E per un periodo lo fa, ritrattando poi le dichiarazioni tranchant di abbandono delle scene. Due anni più tardi, al Castello Sforzesco, è invece Dalla a trovarsi sotto tiro: una bomba molotov finisce sul palco dove stava eseguendo “Com’è profondo il mare”, ultima canzone in scaletta.

Due cantautori molto diversi, ma uniti dal destino. Fin dal primo incontro l’amicizia tra i due diventa preziosa. Dalla mette la firma su due canzoni di De Gregori, “Pablo” contenuta nell’album “Rimmel” del 1975, e “Giovane esploratore Tobia” da “Bufalo Bill”, disco pubblicato nell’anno successivo.

Nella puntata di “Unici” dedicata a Lucio Dalla, De Gregori racconta:

«Avevo appena finito questa canzone (“Pablo”), capivo fosse una storia interessante. E gliela feci sentire, eravamo a Bari. Lui mi disse:”Bella, bella. Però qui devi cambiare, perché l’inciso si pianta”. Lui cambiò semplicemente una nota, ma quella nota dava un senso in più»

Quegli incontri non avevano mai un seguito costante, restavano eventi sporadici e straordinari. Nel 1978, un pranzo cambiò tutto. In un pomeriggio nasce “Ma come fanno i marinai”. Una canzonetta goliardica capace di accendere la scintilla per trasformarla in un incendio. Il progetto “Banana Republic” nasce così, in un pranzo tra due persone accomunate dalla curiosità per la vita e l’amore per la musica. Due marinai con caratteri completamente diversi, che però navigavano nella stessa meravigliosa direzione.

Dalla e De Gregori diventano i cantanti del momento.

Il primo, dopo anni di interminabile gavetta, acquisisce la fama che merita prima con “Com’è profondo il mare” (1977) e poi con “Lucio Dalla” (1979). Si stacca da quel Roversi con cui aveva viaggiato filosoficamente tra “Automobili” e “Anidride Solforosa” vendendo milioni di dischi. Il secondo, abbandonata la carriera da libraio, torna alla ribalta con “De Gregori” (1978). I due si stimano, si annusano e si rispettano. Si temono, anche. In un’intervista a Malcom Pagani per Il Messaggero nel 2017, De Gregori racconta il suo rapporto con l’istrionismo di Dalla.

«Lucio era sovrastante, era molto diverso da me, era immediatamente simpatico. Io no, avevo un altro ruolo. Lui saliva sul palco e prendeva molti più applausi di me. Tre quarti dello stadio lo invocava e un po’ soffrivo. Dalla era abile a giocarsela sta cosa, un po’ ti voleva fregare. Io lo sapevo e la sua inclinazione non ha mai scalfito la nostra reciproca ammirazione: vera, profonda, sostanziale. La rivalità esisteva. La soffriva anche lui. Per quello che rappresentavo. Sotto quell’aspetto, era geloso di me. Mi chiamava il principe, mi addebitava una certa alterità».

L’anno zero della musica live italiana

Banana Republic” è una pietra miliare della musica live italiana. Nonostante un grandissimo numero di imperfezioni, sia nel tour che nel disco.

Due le band coinvolte, i futuri Stadio, portati da Dalla, e due terzi dei Cyan, di matrice “degregoriana”. In più Ron, che cura tutti gli arrangiamenti e canta anche due pezzi, e i due “presidenti” di quella Repubblica. In totale: 10 elementi, decine di date sparse per tutto lo Stivale, tranne una città: Milano. La scelta sembra dovuta a una chiara volontà di evitare i problemi avuti in passato. I cantanti minimizzano escludendo che sia stata una loro decisione. Alla fine in scaletta ci sono 30 canzoni: 15 di De Gregori, 10 di Dalla, 3 in comune, 2 cover, oltre ad altri 2 pezzi cantati da Ron.

A dimostrazione dell’imperfezione di questo progetto anche il nome con cui è passato alla storia.

Come spiegato ottimamente nel libro di Ferdinando Molteni, “Banana Republic 1979”, la genesi del titolo dell’album e del film verrà dopo e in tutta quella estate, almeno fino alla pubblicazione del disco, nessuno sentirà parlare di “Banana Republic”. Le locandine, infatti, portavano il nome DALLADEGREGORI. Solo dopo il 28 luglio la denominazione cambia in “Banana Republic”, a cui si accompagnerà la traduzione dell’omonimo pezzo di Steve Goodman, realizzata da Francesco e dal fratello Luigi Grechi, e che poi è stata proposta nella scaletta del tour e anche nel lato B di “Viva l’Italia”, uscito nell’ottobre dello stesso anno.

La canzone inizialmente non aveva un vero e proprio titolo, nella versione tradotta da De Gregori, compariva nei primi comunicati come “Nel paese dei Tropici”. Solo qualche tempo dopo ritornò alla sua denominazione originale (ma senza la S finale). I concerti macinano biglietti su biglietti e si svolgono in maniera ordinata, in completa controtendenza rispetto agli anni precedenti. Mai prima di questo tour si era registrato un’affluenza e un successo simile, ma a questo punto i protagonisti dell’impresa ancora non lo sanno.

Prima il disco e poi il film, portano equilibrio nel numero di canzoni dei due cantautori: se nel tour erano presenti in maggioranza canzoni di De Gregori, nel 33 giri, tra le 9 canzoni incise (10 se contiamo l’accenno di “Addio mia bella Napoli” prima di “Ma come fanno i marinai”), 3 sono di De Gregori, 3 di Dalla, 2 sono duetti e 2 sono cover (tra cui una versione rock di “Gelato al limon” di Paolo Conte). Nel film, invece, viene sovvertita la disparità del tour, con Dalla che canta più del collega.

L’LP viene realizzato in fretta e furia con le “migliori” registrazioni dei concerti di Brescia, Bologna e Verona, raccolte con lo studio mobile “Manor”, con a capo il tecnico del suono Peter Greenslade.

Lo stesso che col suo team produsse la versione live del tour di Fabrizio De Andrè e della Premiata Forneria Marconi. Il risultato in confronto al 33 giri di Faber è altamente inferiore. La fretta con cui la RCA ha voluto farlo uscire ha pregiudicato di molto la qualità.

La registrazione vera doveva avvenire durante il concerto di Bologna, ma la pioggia ha costretto l’annullamento della data, così si è ricorso a spezzoni di prove e registrazioni volanti qua e là. Il registratore del pullman mobile, per di più, non aveva piste sufficienti per catturare anche gli applausi del pubblico. La soluzione della RCA fu, se non altro, creativa. Forse anche troppo, come ricorda De Gregori al Corriere della Sera.

«La RCA, all’insaputa mia e degli artisti, decise di aggiungere degli applausi finti. Peccato che scelse applausi da calcio e non da concerto. Si sentiva che erano assolutamente finti e improbabili. Tanto che io e gli artisti mandammo una raccomandata alla RCA per diffidarla dal portare avanti questo scempio».

Per cavalcare l’onda del successo, la casa discografica decise di produrre il disco nel bel mezzo del tour e di farlo uscire due giorni prima dell’ultima data di Rimini. Il tutto costringendo gli operai degli stabilimenti di stampa a rinunciare alle ferie estive, pur di soddisfare le numerose richieste che già in prenotazione strabordavano. Il risultato è strabiliante: in sei mesi 500.000 copie vendute, che alla fine dell’anno sono valse il secondo posto nella hit parade dei dischi più venduti del 1979. Chi era primo? Un certo Lucio Dalla, con l’omonimo disco “Lucio Dalla”.

Un disco tecnicamente imperfetto, a partire dalla copertina che raffigura Dalla e De Gregori in uno scatto sfocato
Francesco De Gregori e Lucio Dalla si stimavano veramente.

L’orso che balla e la scimmia che suona. Il principe e l’istrione. Ancora adesso, se si chiede a De Gregori il più grande talento mai incontrato, la risposta non cambia.

«Lucio Dalla. A prescindere dall’amicizia e dal fatto che in certi periodi non siamo stati neanche tanto amici».

E lo stesso quesito si poteva rivolgere a Dalla, che di De Gregori ammirava soprattutto il modo di scrivere e da cui ha imparato a dare una forma letteraria alle canzoni. Quando nel 2010 sono tornati insieme in un nuovo tour, hanno voluto evitare a ogni costo l’effetto nostalgia. Non c’era la forte pressione del marketing, come nel 1979. C’era voglia di stare insieme, di fare qualcosa di nuovo. E di contaminarsi. “Banana Republic” e “Work in progress” sono progetti molto diversi, ma accomunati dalla qualità tecnica non eccelsa dei dischi. Una curiosa coincidenza che rende ancor più poetica la storia di due amici, protagonisti di un’impresa eccezionale: essere normali.

 

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