Cani neri e occhi lucidi: la solitudine rumorosa dei Costiera
Dancing Queen degli ABBA, monumento eterno della pop music, è una delle canzoni più bipolari mai concepite. Dietro quel suono vellutato (frutto di mesi di correzioni austere e certosine) impreziosito da un collage perfetto di voci suadenti ed angeliche, si cela uno dei testi più nostalgici del gruppo svedese. Il buio dietro la luce si intravede rileggendo il testo senza la musica, analizzando le luci del video di accompagnamento. È lo scorrere del tempo, implacabile, la componente acquea del racconto della “regina danzante”. Il colpo di pistola, la congiuntivite emotiva che accompagna una pagina della nostra vita che si chiude senza far rumore alle nostre spalle. La dancing queen, protagonista di un ballo dal sapore eterno, si ritrova aliena e comparsa. Tutto scorre e muore: noi abbiamo un bicchiere in mano. Poco, nulla. “E sono un cane nero in mezzo a cani bianchi” è il verso che contiene il titolo del nuovo brano dei Costiera.
Il trio campano ci ha abituato, con il loro album Rincorsa, ad un senso di netto smarrimento e di quadri spazio-temporali angusti. Mai stati in serie A raccontava il guscio di una società-culla incapace di grandi slanci ma anche copertina amorevole contro le nefandezze emotive del mondo esterno. Cane nero è quindi il degno passo successivo. La traccia trasmette una dispnoico segno di insofferenza e perdita di rotta verso il mondo esterno. Essere l’unico cane nero è pietra tombale di una società incapace di una reale inclusione che non sia omologazione. Anche i sogni diventano strani, incubi che continuano da svegli. Il sentirsi inadeguati, schiavi. Una generazione schiacciata dai propri guai, fomentata da taniche di benzina di velleità e strade non percorribili.
“Io non so dove mi trovo” trova il protagonista nudo, senza coordinate.
È il crepuscolo degli idoli: sempre connessi ma senza localizzazioni. Enormi palazzi senza citofoni a cui suonare, connessioni Wi-Fi che non servono a creare reti umane. Se “a volte il viaggio è la cura” il cupo testo di Cane nero non fornisce spiragli: mi metto a letto, sono stanco ma non dormo. Se la dancing queen osservava una vita che le era appartenuta e che adesso le sembrava così lontana, i Costiera ci raccontano un protagonista con occhi perennemente gonfi di lacrime, un cuore sotto sforzo per la mancanza di sonno e la cui mente conta gli sbagli.
Entrambi i protagonisti sono fermi in un angolo, incapaci di ogni sorta di reazione. Sullo sfondo, un ritmo che sembra allegro, quasi festaiolo. Ho letto il testo dei Costiera senza musica, apprezzandone il taglio crudo ed attuale. La parte musicale, caratterizzata da influenze estremamente affini alle sonorità più glamour e a la page di un elettronica soft e vellutata, rappresenta un pugno allo stomaco. Il ritmo veloce inibisce ancor di più il respiro: un cane nero che osserva il branco muoversi in simbiosi, come legato a una legge soprannaturale intellegibile.
L’elettronica come suono puro, metafisico. È quindi la discoteca, topos d’aggregazione di tali carillon musicali, a fornire l’ennesima chiave di lettura. Sentirsi soli mentre tutti ballano, mentre si consuma il rito della socialità. Il cane nero si specchia nel manto del cane bianco accanto a lui, come la precedente dancing queen si specchia nelle nuove reginette. Simili ma incapaci di riconoscersi. Io li ho incontrati per qualche domanda.
Cane nero è la cameretta di un essere umano che non si riconosce più. Quanto è difficile essere cani neri in una società come la nostra, in cui tutti sembrano aspirare ad essere cani bianchi?
In realtà crediamo sia più facile di quanto si possa pensare. In ognuno di noi c’è una parte di “cane nero”, anche nelle persone più brillanti e realizzate. A tutti capita infatti di sentirsi fuori luogo, insicuri, spaesati. La canzone parla più di uno stato d’animo che di un tipo di personaggio ben definito, e crediamo che questo stato d’animo sia veramente una cosa molto comune nel nostro mondo e soprattutto nella nostra generazione.
Essere cani neri è come ammettere una propria debolezza, sentirsi come una foglia durante una tempesta. Mi collego alla precedente. Quanto può far male sentirsi deboli in una società machistica?
Sicuramente può far molto male, ma paradossalmente stiamo andando tutti verso un mondo in cui ci sentiamo sempre deboli e senza punti di riferimento saldi. Sia chiaro, far venire alla luce le proprie debolezze non deve intendersi per forza sotto un lato negativo: alcune volte mostrarle è sinonimo di un processo di crescita personale, portandoci verso una società che secondo noi inizia a stufarsi della forza. Certo il percorso è ancora lungo, ma l’ammettere le proprie défaillance è paradossalmente il primo passo per eliminare la cultura machistica.
Questa è una traccia autobiografica? Se si, quanto vi sentite cani neri?
C’è sicuramente una buona parte di autobiografia, essendo cresciuti insieme e avendo condiviso ogni tipo di esperienza. I nostri vissuti sono molto simili, e quindi spesso riusciamo a parlare come se fossimo una sola persone. Sicuramente il crescere e vivere in un piccolo paese di provincia, ovvero Cava de’Tirreni (SA), ha portato al maturare quella sensazione di essere fuori luogo e non sentirsi in linea con il contesto che ci circonda, e siamo partiti da questa suggestione comune per poi estendere il discorso ad uno stato d’animo più ampio.
Il vostro sound, marchio di fabbrica, stride fortemente con il testo. È una scelta coraggiosa. Da dove nasce questo contrasto?
È una scelta voluta, la suggestione c’è stata data dal ritornello “Io non so dove mi trovo e mi controllo la fronte per sentire sempre se scotto”, questa frase ci dava l’immagine di una persona in discoteca, con la musica a palla, luci, gente, e mentre intorno andava tutto questo caos, questo divertimento, la persona se ne stava disorientata in un angolo a chiedersi cosa si facesse lì e questa sensazione di smarrimento è come se gli facesse avere la sensazione di essere malato. Diciamo che il sound ha rispecchiato il lato casinaro ed up, mentre il testo il lato down, e l’idea di creare questo tipo di contrasto ci piaceva molto.
Cane nero è apripista per una nuova produzione. Anticipateci qualcosa.
Abbiamo in programma di far uscire altre canzoni nel corso dell’anno, o almeno l’avevamo fino a qualche settimana fa, poi l’emergenza Coronavirus ha sconvolto la nostra quotidianità e quindi viviamo ancora di più il senso di smarrimento che raccontiamo in Cane Nero. Ma in ogni caso stiamo lavorando intensamente per uscire con un nuovo disco appena possibile.
Shangai è stata un tormentone. Tanti streaming equivale ad avere tanto successo? Siamo davvero schiavi di flussi e algoritmi?
Sicuramente streaming e visibilità sono collegati, ma tanto di uno non da tanto dell’altro, diciamo che avere tanti play su Spotify, che è il mezzo più utilizzato per ascoltare musica, ti da delle opportunità di visibilità che poi sta al singolo artista concretizzare tramite i live e tutte le attività promo, ma sicuramente da soli non portano al “successo”. Ormai avere numeri grossi sul digitale non è poi così difficile, il difficile viene quando i numeri del digitale devono diventare poi veri fan del progetto.
Mai stati in serie A è uno dei vostri testi più narrativi. Cosa rappresenta per gente di mare come noi il tema del viaggio? Abbiamo il mare sotto casa eppure sogniamo di evadere. Perché secondo voi?
Una frase di Mai stati in Serie A fa “l’amore è in ogni cosa che ci sembra diversa” ed è proprio questo il punto, ambire a cose che non si hanno sotto mano, cose che sembrano lontane ed “esotiche”, è un po’ questo il motivo dietro alla ricerca d’evasione. Il nostro ovviamente non è un rifiuto di quello che abbiamo, viviamo infatti in una zona molto bella, il problema è che siamo alla ricerca di altri stimoli, cose che purtroppo non possiamo trovare nel mare sotto casa.
La collaborazione con CRLN ha regalato dolcezza a un brano come Fuoripista. Doveste scegliere una voce femminile per cane nero, chi scegliereste e perché.
Il feat con CRLN ci ha piaciuto molto, e sicuramente ci piacerebbe ripetere l’esperimento in futuro, ma su Cane Nero facciamo fatica ad immaginarci una voce femminile. Se dovessimo pensare invece a feat in futuro ci verrebbe da pensare a Joan Thiele, che ci piace molto, o anche a Cecilia, un’artista della nostra stessa etichetta veramente molto forte.
Consigliateci un disco e un libro.
Come disco diciamo il primo di James Blake, che si chiama James Blake, è un disco che da quando è uscito ci ha influenzato tantissimo. Come libro mettiamo Diana – Her True Story, ovvero la biografia di Lady Diana.