Abbiamo vissuto mesi di silenzio e attesa, senza avere una prospettiva di futuro nel settore dello spettacolo e dell’intrattenimento. Senza sapere quando e come avremmo potuto organizzare un concerto, un festival oppure semplicemente andare ad ascoltare dal vivo il nostro artista preferito. Inoltre per la maggior parte di questo tempo, passato per lo più in quarantena, aleggiavano il timore e l’amarezza di vivere un’estate silenziosa, senza musica, senza concerti, senza festival, cose che per alcuni di noi sono come ossigeno.
Ma chi lavora in questo mondo è più che abituato a rimboccarsi le maniche e navigare nel fango.
Chi ha scelto con passione e sacrificio di provare a vivere di musica è abituato a cadere e subire duri colpi, ma se c’è una caratteristica che contraddistingue gli addetti ai lavori di questo settore, questa è la resilienza. Sono abituati a sopravvivere in mezzo alle difficoltà con la ricerca di nuove soluzioni, il sudore, la fatica, il sacrificio.
Abituati a lottare per non rinunciare al sorriso della gente, alle mani alzate e al coro di voci che cantano una canzone. In fondo, spesso quell’attimo è esattamente il motivo per cui si sceglie in questo caso di vivere di tutto questo e da solo forse giustifica le telefonate, le notti in bianco, le riunioni infinite e tutte quelle cose che non si vedono all’esterno, ma senza le quali un festival o un concerto non potrebbero esistere.
È grazie a loro che non sarà un’estate senza musica e non sarà un’estate totalmente silenziosa.
Qualcuno è riuscito anche stavolta a trovare la quadratura del cerchio sommerso da una miriade di difficoltà, che si sommano a quelle che già affliggevano il nostro settore prima del COVID-19, e renderla un po’ più rumorosa. I festival italiani ripartono (alcuni), i concerti ci saranno, gli artisti torneranno a suonare e il pubblico potrà nuovamente gioire sotto al palco.
Ho scambiato due chiacchiere con alcuni organizzatori, che mi hanno raccontato cosa sta succedendo dietro le quinte di alcuni festival italiani.
L’estate 2020 sarà un’estate dove chi ripartirà lo farà “dalla consapevolezza che è necessario massimo rispetto per un evento che ha sconvolto le vite di tutti noi e ha messo in dubbio il futuro di molte realtà. Ripartire significa fare qualcosa di nuovo coadiuvando l’imperativo della sicurezza con la sperimentazione di un nuovo modello di festival”, secondo Mirko Perri del Color Fest, evento che da anni anima l’estate calabrese.
Indubbiamente le difficoltà che gli organizzatori si sono trovati a dover affrontare sono molteplici, “in primis quelle economiche, che si ripercuotono su quelle logistiche e di produzione, ma siamo una categoria che cerca soluzioni”, assicura Josie Cipolletta di Indiegeno Fest, festival siciliano “che ogni anno ripensa gli spazi e li adatta a ciò che fa. In questa situazione il Teatro di Tindari, unico luogo che ha delle sedute naturali, poteva essere la soluzione ottimale. È stata la prima location del festival, in cui già lo scorso anno avevamo fatto uno spettacolo all’alba.”
Non mancano poi quelle “di concetto”, come definite da Alessio Damiano, organizzatore di Ateneika, festival che si svolge in Sardegna e che “riparte da una formula che snatura completamente il concetto di festival”.
“Riadattarsi e trovare nuove proposte che possano comunque essere attraenti per il pubblico ti costringe a ricominciare tutto daccapo, rimpicciolirti e rimodularti, a metterti in discussione. Le nuove regole sono, anche giustamente, molto restrittive. Siamo stati avvantaggiati dalla possibilità di utilizzo di un ampio spazio, in cui si potessero rispettare le norme di sicurezza e il distanziamento sociale”.
Un tema che già da qualche tempo ricorre nei festival italiani è quello della sostenibilità e mai come quest’anno, afferma Umberto Bonanni, “il festival dovrà implementare la sua vocazione green. Beat è un format duttile e il luogo in cui si svolge (un grande parco urbano ad Empoli) ci consente di adattare i contenuti e sperimentare in ogni direzione, rimanendo completamente sostenibile rispetto alle regole del distanziamento sociale. Pensiamo possa essere un modello interessante, siamo in attesa delle risposte dell’autorità”.
Per molti quindi, fra mille ostacoli, sarà possibile ripartire o ci sono la possibilità e volontà di farlo.
Non per tutti però, infatti alcuni hanno dovuto forzatamente alzare bandiera bianca o hanno scelto di farlo. Come nel caso del Pinewood Festival, in Abruzzo, che nonostante un lavoro lungo mesi e nonostante Luca Speranza e gli altri organizzatori abbiano inizialmente cercato una soluzione per non vanificare il lavoro svolto nei mesi precedenti, quest’estate non si svolgerà.
“Ben presto ci siamo resi conto che difficilmente avremmo potuto consentire all’evento di svolgersi in condizioni vicine alla “normalità” e che nessuna “versione alternativa” avrebbe potuto restituire il giusto valore al lavoro che c’è stato dietro. Ancor prima che il Governo fornisse informazioni più chiare sullo svolgimento degli spettacoli dal vivo, abbiamo comunicato il rinvio del festival al 2021”.” Una scelta sofferta, ma l’unica possibile”, dichiara Luca, che poi lancia un messaggio al pubblico affezionato del Pinewood:
“Pazientiamo e accontentiamoci delle piccole cose, di trascorrere il tempo facendo – nei limiti del consentito – ciò che ci piace con le persone che preferiamo, magari andando a qualche piccolo live quando è possibile. Se ci comporteremo bene, presto torneremo tutti sotto palco. Questo è il messaggio che vogliamo lanciare alle persone affezionate al nostro festival e in generale a chi va abitualmente ai concerti, che a noi in primis mancano moltissimo”.
Sicuramente un dubbio che in molti si sono posti, una volta compresa la possibilità di ripartire, è come avrebbe reagito il pubblico. Ci sarà paura? La diffidenza sarà un ostacolo da superare?
Secondo gli organizzatori la risposta della gente sarà positiva, anche se “il pubblico ha ragione ad essere prudente – dice Mirko – ma la paura non è una passione positiva. Noi ci prendiamo le responsabilità affinché il pubblico si possa fidare di noi. Questa volta più delle altre vorremo creare un’interazione più forte tra noi e la community del Color Fest, qualcosa che porti chi crede in noi ad accompagnarci di nuovo nell’essere resilienti a quello che è successo. C’è una fiducia di cui prendersi cura comprendendo le idee di prudenza di tutti, noi compresi”.
C’è chi ha potuto constatare una reazione concreta dei fan e come ci racconta Josie di Indiegeno “il pubblico ha reagito positivamente e in questi mesi abbiamo lavorato per non abbandonarlo. Subito dopo aver annunciato il primo nome abbiamo pubblicato le norme per gli ingressi per rassicurare il pubblico, non ci saremmo mai sognati di annunciare senza prima valutarne lo stato d’animo. La sicurezza per un evento è importante a prescindere dalla situazione attuale. Siamo sempre presenti nel gestire la community del festival e quest’anno abbiamo lanciato anche Indiegeno Tribe, un gruppo Facebook in cui il pubblico può confrontarsi direttamente con noi o altri utenti”.
Il distanziamento fisico tra le persone sarà sicuramente una novità ostica da affrontare e qualcosa a cui risulta difficile adattarsi. “È la nostra vera paura”, sostiene Alessio (Ateneika).
La situazione in Sardegna, una delle zone meno colpite, è sicuramente vissuta in maniera un po’ “Abbiamo ricevuto tanti feedback positivi. Piuttosto c’è il timore che si creino le distanze più profonde tra noi e il pubblico. Gli organizzatori in questo momento devono assumersi la responsabilità dell’antagonismo per tutelarsi e tutelare gli altri. Speriamo che il pubblico capisca la situazione e veda sempre in noi qualcosa che unisce e non che divide”.
Gli elementi per rimanere positivi e sperare in un’ottima reazione del pubblico però ci sono tutti anche secondo Umberto del Beat Festival. Perché “il gusto di stare all’aria aperta e di vivere un’esperienza collettiva sono stati tra le maggiori privazioni della quarantena, devono essere riaccolti con felicità dal pubblico. Inoltre l’orizzonte temporale del festival, che si terrà a fine Agosto, mi induce a pensare che la percezione della situazione possa cambiare. Si è fatta l’abitudine a convivere con alcune regole essenziali con più spirito di adattamento. Chi come te organizza eventi sa che l’incertezza dei risultati e la possibile fallacia delle previsioni sono un elemento costante del nostro lavoro e in questo caso si aggiunge un elemento importante, ma che è nella nostra natura, ovvero essere ottimisti”.
Questo è quello che riguarda l’estate, ma gli organizzatori danno anche uno sguardo al futuro che sarà, dopo questa esperienza drammatica.
Cambierà qualcosa secondo voi, anche nei prossimi anni, nelle dinamiche di costruzione delle line up e dei cartelloni dei festival italiani?
Luca Speranza, Pinewood Festival:
Non è facile rispondere a questa domanda. Senza dubbio da un po’ di giorni c’è grande fermento tra promoter e agenzie di booking. La voglia di ripartire è tanta e qualcosa comincia ad intravedersi, ma rimane un “navigare a vista”. Nessuno può sapere con certezza quali saranno gli sviluppi della situazione COVID nel prossimo futuro. Per cui ad oggi non è possibile fare programmazioni a lungo termine. Tutto ciò che possiamo fare è tenerci pronti e predisporci alla ripartenza, non solo con il festival il prossimo anno ma, incrociando le dita, anche con la nostra rassegna invernale “Pinewood Pills.
Mirko Perri, Color Fest:
Le line up si costruiscono da un mix di sostenibilità e accuratezza. Quest’ultima pesca nelle sensibilità artistiche, la prima nel mercato. Suppongo i cachet, fortunatamente eviteranno di creare bolle da cui poi è difficile uscire indenni. Poi sul piano artistico che dire: dipende se cambieranno i format o no. Noi quest’anno, nel format che faremo (e che comunque non consideriamo un punto di arrivo ma ad ora ovviamente una parentesi), ovviamente come accennavo sopra abbiamo immaginato qualcosa che fosse in linea con esso. È ovvio che non puoi fare un live dove il movimento e l’energia dei corpi è centrale. Si dovrà puntare su chi ti sa dare tanto suonando e cantando, di qualsiasi influenza e genere musicali. Tutto questo discorso spero lo vedrete concretizzato così come lo vediamo noi una volta svelata la lineup tra pochissimi giorni.
Josie Cipolletta, Indiegeno Fest:
Quest’anno come festival manterremo ugualmente la formula di più di un artista per data, ma saranno meno artisti in lineup. Questo per permettere la sanificazione tra un set e l’altro e per questioni di budget. È’ importante per noi che oltre al pubblico anche i lavoratori e gli artisti lavorino in sicurezza. Abbiamo annunciato il primo artista, Diodato che suonerà all’alba al Teatro di Tindari il 4 agosto e a breve annunceremo un altro artista. Nella seconda data, che sarà di sera, ci saranno due o tre artisti, ma ancora non possiamo anticiparvi nulla sui nomi.
Per quanto riguarda le lineup speriamo che molte cose cambino, a partire dalla bolla dei cachet che si era creata. Se un club o un festival chiudono non si può imputare questa cosa solo alle politiche del governo che non riconosce (o meglio non conosce) il settore. Management, booking, club e festival devono dialogare tra loro per rendere tutto più sostenibile. Alcuni passi sono stati fatti grazie alle associazioni di categoria, come ad esempio Keepon live che da anni prova a portare avanti alcuni punti, ma la strada è ancora lunga.
Alessio Damiani, Ateneika:
Purtroppo i tempi non sono ancora maturi per fare previsioni. Abbiamo visto in questi mesi quanto veloce si possano evolvere condizioni sanitarie e decreti di regolamentazione. Se qualcosa dovrà cambiare o si vorrà cambiare nella dinamica di costruzione delle line up, forse non riguarderà un virus, ma più un’attenzione sociale che sembra risvegliata (speriamo a lungo termine!). Questa ci farà fare i conti sempre di più con la necessità di creare inclusione e parità anche nei cartelloni dei vari festival. Le nostre anticipazioni per quest’anno, per ora, possono essere solo che cercheremo di perseguire una strada che abbiamo già iniziato a battere negli anni scorsi. Cercheremo di tenere conto sopratutto della rappresentanza che forniamo attraverso i nomi della nostra programmazione, una rappresentanza più equa e attenta al sociale.
Umberto Bonanni, Beat Festival:
Il virus, nel nostro come in altri settori, avrebbe potuto essere un’occasione per un pit-stop in cui rimettere in ordine alcuni aspetti strutturali della gestione di un evento. Penso ai punti presentati da Assomusica e da La Musica che Gira al Ministero, per ora inascoltati. Una riconfigurazione di alcuni aspetti amministrativi e tecnici del settore sarebbe di grandissima fiducia presso tutti i lavoratori del settore. Renderebbe più sopportabile anche questo anno difficile, speriamo di poter avere qualche risposta in merito.
Per ciò che riguarda i cartelloni Beat, come dicevamo, è un festival molto flessibile e può ospitare quasi ogni tipo di artista per gli spazi a disposizione e per le professionalità coinvolte nella parte organizzativa. Quindi non c’è limite nella programmazione se non quello imposto dai budget a disposizione, dalla raccolta di sponsor e dal sostegno istituzionale. Abbiamo sempre avuto artisti di dimensione molto diversa l’uno dall’altro e siamo sempre stati nelle condizioni di poterli proporre al pubblico nella situazione migliore e più adatta ridisegnando ogni volta gli spazi. Ci sentiamo degli artigiani che pretendono di poter fare ogni volta il miglior prodotto possibile e su questo siamo molto esigenti.
Cosa succederà al settore della musica e dell’intrattenimento dal vivo, definito spesso “abbandonato” in questo periodo? Ci porteremo dietro qualcosa di positivo?
Luca Speranza, Pinewood Festival:
La capacità del settore lavorativo della musica dal vivo di produrre ricchezza economica, culturale e sociale è purtroppo sottovalutata. È giusto lamentare il mancato sostegno da parte delle istituzioni, ma a maggior ragione è bene rimboccarsi le maniche come e più degli altri. Le varie associazioni di categoria e i diversi movimenti di tutela nati nell’ultimo periodo stanno dialogando con il governo affinché accolga le proposte di salvaguardia avanzate. Inoltre sarà necessario che tutte le realtà interne al settore cooperino tra di loro, trovando il compromesso che consenta anche alle iniziative più piccole e giovani di continuare ad esistere. Rimanere uniti di fronte a questo gigante problema è già qualcosa di molto positivo.
Mirko Perri, Color Fest:
Non fanno piacere certe esternazioni delle istituzioni. Ma è inutile aprire un capitolo chilometrico. Forse manca uno sguardo vero su ciò che accade davvero dalle parti del nostro mondo. C’è tanto distacco e incomprensione di quello che facciamo e di ciò che significa. Per noi e per chi supporta. Quindi il futuro sarà positivo se sapremo guardarci dentro come settore, le iniziative che sono nate sono interessanti e spesso coordinate da gente in gamba. Il lavoro paga, quindi se si lavora bene per migliorare la voce del settore, la pandemia potrebbe essere l’inizio di una rinascita.
Josie Cipolletta, Indiegeno Fest:
Nonostante la situazione di crisi che comunque ha investito tutto il settore secondo noi qualcosa di positivo uscirà da questo periodo. Chi lavora con la cultura ancora una volta ha dovuto rimboccarsi le maniche poiché è stato abbandonato. Ma la positività sta nel fatto che forse per la prima volta non si è agito in modo individuale nel portare richieste. Sicuramente ora c’è più consapevolezza da parte di molti del comparto spettacolo sulla questione lavoratori. È comunque importante che le istituzioni inizino a dialogare con noi poiché contribuiamo all’economia del Paese, quindi non siamo lì per “facciamo tanto divertire e appassionare.
Alessio Damiani, Ateneika:
I movimenti in difesa del nostro settore sono tanti. Grandi nomi si stanno esponendo per dar voce e fare da megafono a un problema che abbiamo permesso diventasse quasi normale ma che è semplicemente parte stessa del nostro ambiente: la precarietà. Crediamo che tutti gli attori in causa dovrebbero fermarsi a riflettere. Perché è vero che ora non esistono tutele statali per noi lavoratori dello spettacolo “a chiamata”, ma è pur vero che questa è una dinamica portata avanti da noi stessi. Siamo noi che accettiamo contratti occasionali senza tutele pur di stare nel mercato, o che, se gestiamo strutture più grosse e organizzate, ci muoviamo comunque a discapito dei nostri stessi lavoratori, senza garantire continuità e serenità.
Organizzatori, promoter, tecnici, funzionari, amministrativi, tutti hanno le proprie valide motivazioni. Ma forse è arrivato il momento di mettere in discussione il sistema su cui quelle motivazioni si sono fondate. Sarebbe auspicabile che tutte le parti in causa si riunissero e ripensassero alle loro sorti con un piano a lungo termine. Di positivo speriamo di poterci portare dietro la consapevolezza che non esiste spettacolo senza persone che lo realizzino. Sarebbe già un’ottima base di partenza!
Umberto Bonanni, Beat Festival:
Avrei voluto che si lavorasse durante questo pit-stop forzato e anche in quest’anno che definirei di safety-car da parte delle istituzioni. Attendiamo risposte. Invece sul lato del comparto ho visto una notevole solidarietà e vicinanza tra tutti gli attori di questo complesso settore attraverso iniziative continue di call e di redazione di documenti unitari in cui c’è molta convergenza. L’elemento principale, come dicevo peraltro qualche giorno fa a un collega, è ridisegnare il confine tra “cultura” (le produzioni assistite del teatro e della musica “colta”) e l’”industria” cioè chi, come noi, lavora sul mercato sebbene in alcuni casi con sostegno pubblico.
Il meccanismo del FUS così come è ora è anacronistico. Va incluso chi riesce a costruire prodotti culturali che hanno una sostenibilità economica e producono ricadute economiche sui comparti limitrofi (turismo, marketing territoriale, etc.) a mio parere con un focus sui processi, sull’efficienza, sulla continuità delle iniziative e anche, direi, sui numeri di pubblico che producono. Con alcune revisioni del cluster amministrativo della musica dal vivo e con certezze maggiori su continuità e condizioni per i singoli festival potremo avere un forte incentivo a investimenti maggiori e a un coinvolgimento maggiore di tutte le figure (aziende, professionisti) che sono nostri partner.
Un conto è disegnare e produrre progetti con un’aspettativa di vita di 10-15 anni, un conto è stare ad aspettare ok e conferme ogni anno. La progettazione di un festival dura da 8 a 12 mesi solo per ciò che riguarda il cast. Ma se vuoi lavorare più profondità sul format e sull’experience serve un’orizzonte almeno a 5-7 anni che permetta di mettere a magazzino strutture scenografiche e sviluppare idee e contenuti con test progressivi.