Almamegretta: da Napoli al Mondo (e ritorno) in continua migrazione
Capita spesso, negli ultimi anni, di veder celebrati “compleanni” di album famosi che hanno sicuramente segnato, per molti, un periodo importante della musica italiana. Molto spesso accanto al mero ricordo vengono fatte anche operazioni discografiche che hanno come finalità quella di ridare vita a quell’album (con operazioni che le moderne tecniche audio permettono). È questo il caso di Sanacore, album iconico per la band napoletana Almamegretta.
Una band e un album che ha caratterizzato, insieme ad altre realtà, la scena italiana degli anni 90, distinguendosi per la capacità di “mescolare” suoni, lingue, atmosfere, società, mondi.
La voce di Raiz si distingue immediatamente: linee vocali dolcemente mediterranee si alternano a momenti più graffianti ed aggressivi. C’è il reggae, il dub in Sanacore, ma limitarsi a questa definizione sarebbe inglorioso. C’è molto di più, c’è il tentativo di non darsi confini, di non darsi e di non porsi limiti comunicativi. Cittadini del mondo, e in quanto tali capaci di assorbire da ogni cultura, il meglio: anime migranti in cerca di verità.
Etichettare gli Almamegretta è impresa non difficile, ma impossibile. Ogni definizione calzerebbe stretta, ogni aspetto della loro musica è funzionale innanzitutto ad un messaggio, è lo strumento comunicativo dove però è fondamentale ciò che viene comunicato.
Ho avuto la possibilità di scambiare una chiacchierata con Gennaro Tesone (batterista degli Almamegretta, e che insieme a Raiz e Pierpaolo Polcari rappresenta ancora oggi, il “nucleo” primigenio della band) su questa pubblicazione, sulla storia e il presente della band e anche di “divagare” su argomenti solo apparentemente meno musicali.
Partiamo ovviamente dal “pretesto” per cui siamo qui, e quindi il 25imo compleanno di Sanacore. Che effetto fa, da band ancora in attività, trovarsi a festeggiare il quarto di secolo di un proprio lavoro, che in particolare vi ha permesso di farvi conoscere all’epoca ad un pubblico molto vasto?
Il fatto che sono qui a parlare di un lavoro prodotto 25 anni fa è una cosa che mi rallegra parecchio in quanto sono ancora vivo e posso godermi (nonostante il mostro COVID-19), a distanza di tutto questo tempo, il fascino e la magia di un disco come Sanacore. Un disco che ancora esercita la sua potente attrazione nei confronti di chi lo ha ascoltato a suo tempo. Chi ne è ancora innamorato tanto da mostrare grande entusiasmo rispetto a una reissue. Una ristampa che ci soddisfa sia per la parte audio, magistralmente rimasterizzata da Giovanni Versari, che per il booklet con svariate foto inedite della session procidana, scattate da Angela Maione, che ne curò la grafica originale.
Facendo un salto indietro nel tempo. Ricordi un momento o un aneddoto particolare legato ai giorni in cui stavate lavorando alla produzione del disco e se in quei giorni, nell’ascoltare come i brani prendevano forma, c’era la sensazione che steste realizzando qualcosa di assolutamente importante quantomeno per voi?
Ci sono stati vari momenti che ricordo con piacere. Il trasporto della backline su di un vecchio Ape 50 perché era l’unico mezzo di trasporto che riusciva a transitare per le strade strette di Procida. Il weekend in cui vennero a trovarci i miei amici che portarono un’enorme quantità di vino e cibo che si impegnarono a cucinare per ben due giorni. Qualcosa si vede nel filmato che girarono durante la loro permanenza a casa nostra ed è visibile su YouTube. Un documento che rende bene l’atmosfera che si respirava in quel buon ritiro lambito dagli scogli e dal mare.
E quindi in un contesto del genere capimmo che quello che stava prendendo forma ci piaceva molto, ci emozionava e ci convinceva. Ma nessuno di noi avrebbe immaginato che ne sarebbe uscito il disco che ci ha dato grandi soddisfazioni e ha segnato l’ascolto e le sensazioni di così tante persone.
Fino a “Sanacore”, compreso, tranne rari casi (penso a “Figli di Annibale” e “Sole”) avete sempre usato il napoletano come lingua. Non avete mai, in quel periodo, temuto che potesse rappresentare un limite o il fatto che fosse così naturale scrivere e cantare in napoletano per Rino, non ha mai generato dubbi sul suo utilizzo?
Noi eravamo del tutto convinti di usare il napoletano. Non è stata un ripiego, ma una scelta ben precisa, perché riteniamo questa lingua molto più duttile e poetica dell’italiano. Si tratta di una scelta artistica. Non ci siamo mai posti il problema che un’opzione del genere avrebbe potuto restringere il pubblico a cui ci rivolgevamo. Più che un limite l’abbiamo vissuto come una possibilità espressiva non omologante e quindi un pregio.
Dopo Sanacore, Lingo e 4/4 esplorano un mondo decisamente meno mediterraneo, guardando a ciò che arrivava soprattutto dall’Inghilterra. In particolare in Lingo c’è il trip hop, la drum and bass. Personalmente ritengo quel disco uno dei rarissimi casi, in quegli anni, di album italiano dal sapore “internazionale”. La scelta all’epoca da cosa fu “mossa” (un’esigenza artistica, la voglia di entrare in contatto con un mondo musicale nuovo, il desiderio di “espatriare” musicalmente) e quanto ha influito avere come “amico” Robert Del Naja (leader dei Massive Attack)?
Il rapporto con Robert non c’entra niente. Anche in questo caso si tratta di una mera scelta artistica. Avevamo l’esigenza di evitare una copia (che sarebbe stata sicuramente brutta) di Sanacore. Volevamo fare un disco fondamentalmente diverso, senza farci prendere dall’illusione di ripetere la formula di successo che connotò Sanacore. Pensammo, quindi, che se quest’ultimo era stato prodotto su una piccola isola del golfo di Napoli, era necessario un procedimento opposto. Invece di isolarci (isola di Procida) decidemmo di calarci nel centro di Babylon facendo un disco tra Napoli, Londra e New York, assorbendo ed elaborando le varie influenze musicali e culturali che in quel momento circolavano nelle metropoli in questione e che più ci piacevano.
Parliamo di Napoli. È indubbio che musicalmente Napoli sia sempre stata una città capace di “sfornare” diversi artisti e progetti. Quali sono secondo te i motivi che hanno facilitato questo? Pensi che sia ancora così o hai la sensazione che nelle nuove generazioni si sia persa questa forza creativa partenopea?
Non c’è dubbio che Napoli sia stata sempre protagonista nel panorama musicale, artistico e culturale. E questo è dovuto sicuramente alla sua capacità di intrecciarsi e interpretare le varie influenze e dominazioni culturali e non che si sono succedute nel corso dei secoli. Nella sua storia Napoli ha dovuto fare i conti con svariate dominazioni che venivano dall’esterno. Così ha sviluppato una sorta di capacità di adattamento che ha portato la città a sviluppare quella che viene definita cultura napoletana. Se analizziamo le varie espressioni di questa cultura, dalla lingua alla musica, dalle arti visive al teatro, alla vita quotidiana materiale, troviamo innumerevoli tracce provenienti dall’esterno, che intersecandosi hanno dato vita a una cultura sincretica e bastarda. E noi ci siamo semplicemente che inseriti in questo filone che è perfettamente aderente alla nostra proposta musicale.
Tuttavia negli ultimi tempi si sta un po’ esagerando con una sorta di atteggiamento autoreferenziale e consolatorio. Questo ha portato la città a chiudersi in sé stessa e di conseguenza a subire ancora di più un processo di emarginazione culturale e imprenditoriale che non promette nulla di buono. I nuovi talenti che in ogni caso continuano ad affacciarsi alla ribalta devono stare molto attenti a questa deriva se vogliono continuare a interpretare l’effervescenza congenita napoletana.
“Figli di Annibale”, “Black Athena” e “Fattallà” sono 3 vostri brani che in comune hanno il fatto di toccare un argomento importante come quello dell’immigrazione, del diverso da noi. In particolare “Fattallà” nella versione dell’omonimo Ep (registrata live dal concertone di Roma del ‘94), viene nominata una forza politica all’epoca nuova come la Lega Lombarda (credo sia superfluo dire a quale partito attuale corrisponda). Ti chiedo, avendo anche recentemente, partecipato in modo attivo alle regionali campane, che sensazione dà cantare dopo più di 25 anni un testo come quello e notare come sia drammaticamente attuale. E ti chiedo inoltre quanto sia importante (e doveroso) per un artista o una band schierarsi, esprimere le proprie idee Politiche (con la P maiuscola) nelle proprie canzoni.
Il fatto che questi brani siano purtroppo ancora attuali dimostra che c’avevamo visto lungo. Abbiamo intuito che un tema come quello dell’immigrazione sarebbe stato centrale nella nostra società. Infatti c’è stato chi si è costruito una carriera politica agitando esclusivamente l’argomento, contribuendo a seminare odio e veleno e a incancrenire le comunità. Per noi è stato naturale affrontare temi del genere, considerato che il nostro progetto nasce come tentativo multiculturale, dove hanno cittadinanza elementi musicali di natura molto diversa. E per noi questa è già una scelta politica. Abbiamo sempre cercato però di non utilizzare facili slogan. Abbiam preferito raccontare storie in cui si evidenziano le contraddizioni e i problemi della condizione umana nel presente.
Domanda scomoda, in questo periodo sui vostri canali di social, avete pubblicato un po’ di ricordi legati al periodo di Sanacore; siccome legittimamente molti che leggeranno questa intervista non conoscono la vostra storia, mi piacerebbe che tu ricordassi, magari con un episodio o un aneddoto. Stefano “D-Rad” (che purtroppo non può essere qui celebrare con voi questo anniversario), com’era avere a che fare e a lavorare con lui?
Proprio tra pochi giorni (notte di Halloween del 2004) ricorre l’anniversario della dipartita di Stefano ed è comunque una ferita che continua a sanguinare. Il suo contributo è stato fondamentale e proprio in Sanacore si è dispiegato in tutta la sua genialità. Lui, proveniente dalla scena techno romana, si è subito impadronito del lessico dub con passione e follia, rendendo il nostro sound futuribile e arcaico, tecnologico e caldo, sregolato e onirico. Una grammatica anarchica che ha dimostrato di aver perfettamente capito l’essenza del dub. C’è un episodio che spiega bene l’approccio di Stefano alla musica.
Mentre stavamo registrando il primo album (Animamigrante) nello studio in cui l’abbiamo incontrato a Roma, uscì una data poco distante ma non avevamo un nostro fonico di sala. Nonostante lo conoscessimo veramente da poco gli proponemmo di mixare il nostro live. Lui che non aveva nessuna esperienza di fonico live, ci rispose: “ce posso provà”. La serata andò benissimo e da allora ha suonato il mixer in tutti i concerti, finché un destino assurdo non ce lo ha strappato via.
Avete già annunciato per il 2021 una serie di date nei club per la celebrazione del XXV di Sanacore. Cosa dobbiamo aspettarci da questi live (sempre se sia possibile avere degli spoiler)?
È un tour che doveva tenersi durante la primavera/estate di questo anno orribile, ma per le ovvie ragioni che tutti conosciamo è stato posticipato ad aprile 2021, considerato che pure l’uscita della ristampa di Sanacore è slittata da maggio a ottobre. Al momento abbiamo una serie di date fissate nei club delle maggiori città italiane, con prevendita già attiva. Sarà un concerto tutto dedicato a Sanacore, dove cercheremo di eseguire i pezzi come sono sul disco, cosa per noi abbastanza inusuale. Ci accompagneranno in questa avventura nuovi amici con i quali abbiamo avviato una proficua e interessante collaborazione. Inoltre ogni sera ci sarà la partecipazione di ospiti che varieranno di data in data.
Ultima domanda, classica. Siamo di fronte ad un anniversario, ma proprio all’inizio ho sottolineato come in realtà voi siate una band assolutamente ancora in attività… E quindi ti chiedo se dopo il tour del 2021 possiamo aspettarci anche un nuovo lavoro discografico da parte vostra?
In effetti abbiamo un nuovo album di inediti quasi già pronto da mixare. È il frutto della collaborazione con Paolo Baldini “DubFiles” con cui troviamo grande affinità e intesa. Un lavoro molto particolare che probabilmente avrà anche implicazioni extra musicali. Ovviamente la sua pubblicazione non potrà essere fissata con sicurezza dal momento che, data l’emergenza ancora in corso, è diventato veramente arduo programmare qualsiasi cosa.