I Ku.da ti fanno la predica con il loro nuovo singolo “Preach” [Download]
Avete mai ascoltato i Ku.dA? Stiamo palando di una band che riesce nell’impresa di fondere psichedelia, elettronica e pop etnico con uno stile e una voglia di sperimentazione unici nel panorama italiano. Cantano in inglese e sono noti per la loro incredibile presenza scenica. Immaginateli in questo periodo difficile per la musica dal vivo: degli animali da palcoscenico in gabbia. Ma non si sono certo persi d’animo e, dopo il primo disco “Kudalesimo” (2017), sono pronti a presentare “Preach“, il quarto singolo che anticipa il loro prossimo LP. Abbiamo fatto ai Ku.da qualche domanda in occasione di questa “esclusiva” un po’ particolare: in fondo alla pagina trovate lo specchietto per scaricare il brano gratuitamente.
Ciao Ku.da, come va? Parliamo del vostro nuovo singolo Preach. Che storia racconta?
Ciao a tutte le ragazze e i ragazzi de Le Rane. Innanzitutto grazie per averci regalato questo spazio dove poter chiacchierare un pochino.
Con Preach abbiamo voluto parlare di una delusione amorosa, dove il partner tenta tutto il possibile per far tornare quella fiamma, ormai di ghiaccio, ancora calda. Forse però farebbe meglio a focalizzarsi sul futuro, evolvendosi.
“Let me eyes and bad lies”, mi dà l’impressione di quando dopo una relazione finita male si resta con un pugno di mosche, solo ricordi e nostalgia. Come esorcizzate il dolore oltre a scrivere canzoni?
Esattamente. I ricordi e la nostalgia, quindi, il passato sono le emozioni che dovremmo lasciar volare via.
Preach (la predica) spesso è nociva e inutile poiché non porta ad una visione futura delle circostanze o degli avvenimenti. Porta sicuramente alla nostalgia, ma con la nostalgia non si procede, si ritorna indietro, morendo dall’interno. Bisogna vivere il futuro, perché il presente, non esiste. Quando si pensa di vivere al presente in realtà, è appena diventato passato.
Spulciando la vostra discografia su Spotify, ho notato che tutta la vostra produzione è in inglese: scelta coraggiosa in un mercato come quello italiano che ha spesso i paraocchi: avete maturato col tempo questa decisone o è semplicemente il modo più naturale che conoscete per esprimervi?
Diciamo che Peda e Kusch sono amanti della world music e delle miscele musicali. Sicuramente il genere che portiamo avanti è già di per sé un canale anglosassone, ci troviamo effettivamente molto più a nostro agio nello scrivere in inglese. Ormai è spontaneo.
In “Two Patethic Souls”, il nostro nuovo e secondo album che vedrà luce a breve ci sono anche delle parti liriche cantante in francese.
Il vostro è un genere particolare, riuscite a fondere psichedelia, elettronica e pop etnico, un po’ come le dosi di una ricetta. Qual è il segreto?
Come risposto qui sopra, in verità non è per nulla un segreto. È la nostra anima, il nostro essere. Spontaneità nel comporre e creare qualcosa. Siamo sicuramente, come tutti gli artisti su questo pianeta, condizionati dagli ascolti personali che ognuno di noi due ha raccolto e conservato negli anni. Diciamo che di musica ne ascoltiamo davvero tantissima e quando lo facciamo, stiamo bene. Ascoltando si scopre e si impara tutto ciò che non si conosce, per poi nel caso, poterlo riportare e applicare nella propria vita, che al fatto nostro è la musica.
Se ipoteticamente doveste avere una svolta e passare alla nostra lingua madre, premettendo che ci sarebbero delle difficoltà nell’adattamento delle metriche che spesso richiede la lingua italiana, da quale artista o band nostrano attingereste qualcosa?
Per quale motivo pensate che cantare nella propria lingua sia una svolta? Secondo noi è sbagliato credere che facendo solo ciò che è impartito metaforicamente faccia avere una svolta.
L’italiano è una lingua fantastica, è musicale, aperta e armoniosa. Chiaramente, metricamente parlando ci sarebbe da rivedere il tutto in un concetto un pochino differente.
Prendiamo come esempio Zucchero Fornaciari, che fra l’altro apprezziamo molto. Lui canta come un americano, si fa trasportare dal Rock Blues, cantando come Joe Cocker, eppure lo fa in italiano, facendo vibrare forte il proprio pubblico. Non è così differente non credete?
Ku.da, sembrano due nomi abbreviati, una sigla: origine, genesi, da dove viene il vostro nome?
Domanda lecita! “Ku.dA” deriva dagli pseudonimi di KUsch e peDA.
Pare che sia nota la vostra incredibile presenza scenica: ma quanto vi manca il palcoscenico? Raccontateci in chiusura una delle esperienze più belle che vi siano mai capitate in occasione di un concerto. Cosa accadde?
Viviamo di palco e di pubblico. Non esiste soddisfazione maggior del poter far ascoltare la propria musica su un palcoscenico, suonandola davanti ad un pubblico che si libra insieme a noi, viaggiando con noi.
Ci manca tantissimo suonare dal vivo. Incredibilmente tanto.
Abbiamo nel cuore tanti concerti. Uno è chiaramente quello svoltosi in Germania a Rodemburg poco prima dell’esibizione dei Sum 41. Quella sera ci siamo sfogati tanto e abbiamo riscontrato positività da parte degli amici tedeschi.
Sogniamo un ritorno ancora più forte sui palchi, appena ci sarà concesso farlo ..
È dura, ma si resiste!
Scarica gratuitamente qui “Preach”, nuovo singolo dei Ku.da
Raffaele Nembo Annunziata
Sono Raffaele Nembo Annunziata, direttore e fondatore de Le Rane, spero che sia stato di tuo gradimento ciò che hai trovato da queste parti. Torna presto!