Cosmotronic è lo spettacolo live più bello dell’anno: provare per credere
Per arrivare all’Home Festival di Treviso un pizzico di orientamento ti serve, almeno per parcheggiare al P4, nella zona del Mercato Ortofrutticolo, e farti portare in loco dalla navetta gratis. Una volta che entri però, lo perdi del tutto, travolto dai palchi e dagli stand che si perdono a vista d’occhio. Se Milano è la città più glamour e internazionale d’Italia, anche qui ti sembra di entrare in confini sovranazionali, dove vigono delle leggi particolari. La moneta di scambio è infatti la lira, e vale due euro. Gira voce che sia un festival sovranista, ma non ho visto mai niente di così british e fresco in Italia. I cani antidroga ti danno il benvenuto, come per dirti che per perdere il senno, adagiandoti dolcemente nei sogni più oscuri, la droga, qui, non ti serve proprio. Dopo Carl Brave x Franco126, si esce sodisfatti dal Circus stage.
Nemmeno il tempo di prendere uno Spritz a due lire che Afrojack parte con un dj-set impressionante e frettoloso nel senso giusto: vuole mettere in meno di un’ora tutte le sue hit più famose. E ci riesce. Verso la fine comincia a piovere e le gocce si riflettono sulle luci proiettate dal palco. Sembra l’anticipazione di un rito, non so specificare di quale religione. Molta gente si lascia andare e segue una regola semplice trasmessa dal palco principale: Jump. Non c’è tempo per pensare, perché Cosmo sta per partire al Circus stage. Sono le 21:45, ma potrebbe essere notte fonda, è solo quel barlume di luce che ti confonde. Andrebbero aboliti gli orologi nei confini sovranazionali. Sì, non siamo in Italia.
Cosmo, in solita giacchetta fluo, vuole lasciarti tutto in una serata, appiccicarti sulla maglia i suoi sentieri introspettivi, le sue paranoie più profonde, i pianti solitari. Vuole, come in un big crunch d’emozioni, raccontarti tutto ciò che riesce in una manciata di minuti. Sono andato ad ascoltarlo senza aspettarmi nulla, mi è semplicemente piaciuto molto Cosmotronic. E lo ascolti, il partyharder di Ivrea, lo stai a sentire mentre ti parla e ti descrive a parole delle sensazioni legate a diverse immagini, spesso non correlate tra loro da un filo logico, e poco importa. Parla il giusto, non troppo, non si dimentica mai di aver chiamato la sua creatura non solo Cosmo, ma anche Tronic, ti porta in un rave con un semplice movimento delle dita, smettendo di cantare ed accogliendo un personale stato ipnotico. È una successione di canzoni e dj-set.
Il Circus stage è in delirio.
La mente ascolta le sue parole, i corpi seguono i suoi bassi più ancestrali: ciò che resta di lui. Dopo “Le Voci”, parte “Tristan Zarra”, col pubblico che la riconosce subito dopo un paio di note. Riconosce quel capolavoro dadaista creato e ideato sotto effetto di marjuana. E così i corpi continuano a seguire la sua immaginazione, una ipnosi collettiva in via di compimento. Perché le mente no, ascolta ancora ciò che dice. Ti dice che sei a un Festival. Annuisci e chiudi gli occhi. Polizia. C’è anche quella, sì. Ti accendi una sigaretta. Non trovi un nesso. Non serve. Sei in pizzeria. Vuoi solo toccare il fondo nello sfondo del mondo. E ti piacerebbe anche vomitare senza morale dentro a un bar. Ma non sei ubriaco, non hai bevuto.
Cos’è Cosmo, un clubber o un cantautore venuto per raccontare la tua personale storia d’amore?
Rispondetemi, perché con “Quando ho incontrato te” si prova quella sensazione di spaesamento di quando non riesci a conservare i ricordi più importanti, e lui te la sputa brutalmente dal palco: non si ricorda nemmeno quando la ragazza gli ha dato il numero. La guarda che dorme, e cominci davvero a pensare che il suo sonno valga più di un respiro. Cosmo racconta la nostra generazione, di come stiamo male per cose futili, che futili forse non sono. Quanto borghesi siamo noi che andiamo ai festival e paghiamo il biglietto, invece di lavorare al week-end. Eppure abbiamo molte cose sepolte dentro di noi, pur non avendo fatto una guerra.
Ti sembra quasi di poter sfiorare tutta la gamma di emozioni che sia possibile percepire in una intera vita. Cosmo ti porta alto, fino ai più fini sentimenti amorosi per poi sbatterti giù verso un meraviglioso tribalismo schietto: vuoi ballare e muovere il tuo corpo. Ti sembra che sia possibile filosofeggiare, togliendoti la maglietta sudata e rimanendo a torso nudo: non c’è contraddizione in questo, sono semplicemente le diverse parti che compongono il tuo Io. Tocchi i corpi che hai di fianco a te e allo stesso modo loro ti sbattono. Tutti animali sudati, tutti legati da un comune destino. “Animali” è contro chi ti giudica. Cosmo è il Murakami della musica, ti fa sentire a tuo agio anche se ti senti strano.
E diventi una goccia dentro il mare, senza identità.
Ti torna in mente quella dicotomia tra corpo e mente, e la superi come una sintesi mentre stai ballando. Cosmo ti racconta che ballare è un “atto politico”, un riappropriarsi del proprio corpo. Uno dei peggiori attacchi di panico è infatti il non sentire più il tuo corpo per degli istanti troppo lunghi. E non sentire più legami con la terra. Lui ce la mette tutta ad aiutarti a stare bene. Dice di aver lottato contro se stesso ed aver vinto, e così cominci a ballare ancor di più, vuoi raggiungere lo sfinimento e sentirti vivo, lasciar fluire le preoccupazioni fuori dal tendone. Cominci a pensare di meno, prendendo controllo del tuo significato, con un pizzico di autoironia, lasci pensare gli altri.
“Turbo” fa scatenare un pogo generale.
Uno scontro di corpi, generazione di energia vitale. Un rito tribale dei giorni nostri, scandito da una strana unione di cantautorato e clubbing. Ti sei emozionato, ti sei mosso. Prima di andartene c’è “L’ultima festa”: un luna park senza montagne russe ma con molta più adrenalina. Cosmo chiede di mettere via i telefoni, non ne può forse più di queste tecnologie, e si butta sul pubblico, rotola avanti e indietro e non vorrebbe più tornar sul palco, chissà dove è finita la sua giacchetta fluo? Delirio generale.
Questo concerto parte da fermo, con una buona dose di irrequietezza comincia a muoversi, e fluttuando assume una forma tutta sua, instabile e densa di palpitazioni diverse, citazioni filosofiche e frasi vomitate a caso. Ti racconta una storia ancestrale, la nostra, e racchiude il nostro inconscio collettivo dentro a un drop, per una sera. Dopa il tuo corpo. Unisce anima e mente, le dischiude dal loro guscio e le unisce con una scossa. Ti fa tornare ad uno stato tribale attraverso suoni e parole e bassi. Riesci a battere sulla schiena di una civiltà in declino, viaggi nei tempi e negli spazi introspettivi e universali. È una overdose di emozioni e di sensazioni, e in alcuni punti riesce perfino a raccontare la loro assenza. Corpi che si perdono e si ritrovano. Sporadici sensi d’empatia verso il mondo.
Fa davvero tutto in un concerto.
Un report di Pietro Cesaro Foto di @bebisc_livemusic