Da che ne ho memoria sento ripetere: “largo ai giovani”, ma poi quando i giovani si fanno largo si sentono dire di essere troppo giovani e che non sono come i giovani di una volta. Secondo uno studio da me condotto in giro per concerti e per social, la musica della Generazione Z (1996-2009) viene continuamente vessata e schernita da boomer & millennial; persino il giudizio dell’ascoltatore più “aperto” spesso viaggia più sul sentito dire che sul sentito inteso come ascoltare. I più grandi cliché delle generazioni precedenti alla Generazione Z sono: “la trap fa schifo”, “i giovani non hanno più nulla da dire”, “questa non è musica”, “i talent show sono la morte dell’arte” e blablabla.
Credo che la musica si debba dividere in due macro categorie: quella che ci piace ascoltare e quella che piace agli altri quindi lasciamo che ne parlino loro perché ognuno ha la musica che si merita.
Perché tutto questo preambolo? Perché probabilmente se avessi scritto nel titolo che l’artista che ho scelto ha partecipato ad un talent non saresti qui a leggere, ma ti assicuro che non ti pentirai di averlo fatto quando ascolterai il disco di questa ragazza.
Io di Flaza non sapevo nulla quando mi è arrivata la mail con l’anteprima del suo primo disco, nonostante conosca addirittura bene chi lo ha prodotto: Matteo Alieno; ma, dopo aver ascoltato il suo lavoro, magicamente sapevo tutto di lei.
Una delle cose che mi ha colpita di più è il fil rouge inteso alla maniera di Freud, ovvero l’intero percorso psicologico di Flaza di cui il disco è permeato. Con quel filo di voce Flaza cuce insieme i pezzi di una ragazza che non ha paura di mostrarsi per ciò che è: perché essere se stessi è la più grande forma di ribellione oggigiorno. Mi ha colpita profondamente la sua lucida anabasi all’interno della sua persona nella quale ormai testa e cuore convivono dopo un armistizio chiamato “accettazione di sé”.
“13” è un disco che musicalmente ha un’atmosfera urban pop, che spazia dalla trap alla dance. Le scelte musicali di Matteo Alieno fanno della fibrillazione di Flaza un vero e proprio strumento che detta il tiro melodico.
Un disco in cui i lati bui danno profondità ai colori della giovinezza che si fa strada tra la voglia di rimanere bambini e l’inevitabile avanzare del tempo che ci disegna dei bivi. Tredici tracce (di cui nove inediti) che è come se fossero i brani di un musical tratto dal romanzo di formazione chiamato “Flaza”.
Il disco è coraggioso perché è un’autoanalisi spietatamente liberatoria, e per questo è un ombrello per tanti ragazzi che vivono costantemente un senso di inadeguatezza, che troppo spesso non si amano e che lottano per amare e per sentirsi amati.
Dolcissima e allegorica è anche la scelta della grafica del disco perché Flaza l’ha affidata ad una bambina, a voler rivendicare la purezza dell’arte e quella libertà espressiva che spesso abbandoniamo con la giovinezza.
Un tema ricorrente, probabilmente anche nella scelta del suo nome che è una crasi tra il suo nome di battesimo ed il suo cognome.
Dati tutti questi presupposti, non potevo limitarmi a scrivere una recensione, volevo sentire cosa aveva da dirmi Flaza. Avevo delle domande in mente oltre a un paio di suoi brani che ogni tanto mi rimbalzano in testa e mi fanno anche gongolare in una danza.
Il tuo disco è infuso della tua persona, che ruolo ha avuto la tua musica nella formazione della tua personalità?
Credo che sia un po’ il contrario: ho portato nella mia musica la mia vita, la mia storia, il posto in cui vivo, quindi le mie realtà.
La musica è stata semplicemente il mezzo con cui ho enfatizzato tutto questo, la teoria è venuta dopo la pratica.
La genesi dei tuoi brani parte da quello che hai vissuto o da quello che non hai detto?
Entrambe le cose: credo sia una fusione tra quello che ho vissuto ma che non ho mai avuto il coraggio di raccontare a nessuno, la parte più intima di me che ho sempre tenuto nascosta.
Parli molto del tuo lato psicologico: è un tuo modo per esorcizzare le tue paure oppure è un messaggio che lanci agli altri per non sentirsi soli nelle fragilità?
È un modo di analizzare le mie paure e tirarle fuori nella maniera più positiva possibile. Credo molto nel potere dell’essere umano, credo nell’autoanalisi e nell’autocritica. Sono andata in analisi 5 anni quindi parlare del mio lato psicologico mi viene naturale.
Sicuramente questo disco servirà a far sentire qualcuno meno solo, anche se in realtà nasconde il fatto che tutti siamo soli e che dobbiamo amare noi stessi prima di amare chiunque altro.
Partecipare ad un talent è un’arma a doppio taglio, fai i conti con il pubblico nazional popolare e con il populismo intellettuale che vede banalmente questo percorso come una scorciatoia per la “raccomandazione”. Tu sei stata outsider per certi versi eppure ora sei in una delle etichette underground più importanti d’Italia: Honiro. Sfata un po’ questo mito…
Ho voluto provare questa esperienza, è stato fighissimo ma non fa per me. Io amo la libertà di pensiero e di espressione e non credo che Amici blocchi questi processi, mi sono sentita libera anche li. I talent sono un ottimo trampolino di lancio, dipende tutto da chi sei e da come te la giochi.
Allora “piccola peste”, diamo i numeri: dimmi le 13 cose che non hanno capito di te
La lealtà, l’umiltà, la voglia di fare qualcosa che lasci un segno, l’essere fuori da ogni schema, la mia sensibilità, le mie parole, la mia anima, il mio tempo, la mia storia, le mie crisi, la mia sensibilità, la mia pazienza ma soprattutto la mia determinazione.
E invece le 13 cose più importanti da capire del disco?
Le 13 cose da capire del disco sono: il significato, il potere di questo numero, la forza che risiede dentro ognuno di noi, la potenza dell’amore, la capacità di rialzarsi, la rivincita, la passione, la perseveranza, il mio approccio alla musica, le sconfitte, il mio ego, ascoltare se stessi e le mia doppia sfaccettatura “peste” ma sensibile allo stesso momento.