Il margine non è il confine. Non è il muro che copre la linea dell’orizzonte o la linea di demarcazione che separa gli spazi. Il margine è piuttosto la periferia: la città fuori dal centro, la pagina bianca ai bordi della pagina scritta, gli angoli dove il sole non arriva. Non è fuori e non è dentro: è intorno. Nella musica il margine ha sempre trovato una sua rappresentazione: chi lo ha vissuto e attraversato, oppure soltanto osservato, lo ha inevitabilmente raccontato. NEL MARGINE si inserisce nel solco delle grandi narrazioni delle periferie dei luoghi e dell’anima. Uscito ad aprile 2024 per Asian Fake/Epic Records e Italy/Sony Music Italy, l’album d’esordio di ALDA dà voce a vissuti che troppo spesso restano in silenzio.
Classe 1999, nata in Albania e cresciuta a Pesaro a seguito del trasferimento della famiglia, la rapper canta in sette tracce, dritte e penetranti come lame, storie di emarginazione sociale, violenza di genere, disagio psicologico. Il margine è un luogo di passaggio, dice ALDA, e se lo attraversi riesci a vedere da una prospettiva migliore cosa c’è prima e cosa c’è dopo. Di questo spostamento dentro e fuori il margine e dentro e fuori la parola ce ne ha parlato in un incerto pomeriggio di maggio.
Mi ha molto colpito il linguaggio e la maturità sia lirica sia emotiva con cui descrivi situazioni che non è semplice raccontare, come la violenza di genere, il disagio psicologico, la marginalità. Da quale esigenza nasce “NEL MARGINE“?
Il progetto è nato perché già esisteva dentro di me. Ho deciso di chiamarlo NEL MARGINE perché è una posizione in cui mi sono resa conto di trovarmi anch’io. Il margine è un posto scomodo, un punto di passaggio, una sorta di non un non-luogo. Per marcare questo concetto, ho scelto per la copertina del disco l’immagine di un ponte: il ponte non è una meta o uno spazio in cui si può sostare, ma un elemento che può soltanto essere attraversato.
Anche il margine è così: è una condizione, anche esistenziale, in cui è difficilissimo stare, ma che allo stesso tempo ti consente di vedere cosa c’è da entrambe le parti. Stare a cavallo tra due realtà rende più facile cercare di comprendere sia chi sta verso l’interno sia chi verso l’esterno. Per questo forse, per quanto scomoda, è una posizione anche vantaggiosa. O per lo meno questa è la spiegazione che mi piace darmi, perché voglio cercare di estrapolare il bene dal male.
Il tentativo di osservare e tradurre in musica la contemporaneità emerge dai testi delle tue canzoni. Pensi che questo tuo approccio riflessivo ma anche di denuncia si leghi alla scelta di fare rap? Come ti sei approcciata al genere?
Sì, penso che sia così. Mi sono appassionata alla musica e al rap nello specifico perchè mio fratello maggiore da ragazzino ascoltava un sacco di rap. Lo seguivo in tutto e anche con la musica è stato così. Tra l’altro, anche lui scriveva, però in inglese. Invece io ho iniziato a scrivere le mie prime canzoni a 12 anni e già prima di allora scrivevo poesie. Ricordo che quando avevo circa 11 anni pubblicai un video che si chiamava Biancaneve in cui leggevo una poesia dedicata alla neve.
È ancora online questo video?
No, no, assolutamente, non esiste più! L’ho cancellato subito perché mi vergognavo troppo di sentire la mia voce. Poi però ho continuato. Ascoltavo moltissima musica, soprattutto rap americano underground, il più scuro. Ho suonato per qualche anno, esibendomi spesso nei centri sociali di Pesaro, la mia città di origine. Poi è arrivato un momento, forse verso i 16 anni, in cui mi sono allontanata dalla musica perchè non mi sentivo più a mio agio.
Intendi che non eri più a tuo agio nella scena hip-hop?
No, in realtà in quel periodo non stavo bene con me stessa: stavo male, non riuscivo più a utilizzare la parola come mezzo espressivo, ho smesso di ascoltare rap e di scrivere canzoni. Allora ho spostato il mio linguaggio sul disegno. Per due anni ho frequentato un corso di cinema e animazione a Urbino che mi ha salvata. Qui sono tornata a credere di nuovo in me stessa e mi sono riavvicinata alla scrittura, perché esprimere quello che avevo dentro mi faceva stare bene.
Inoltre ho incontrato due persone che hanno creduto in me e mi hanno spronata molto a riprendere a fare musica: il mio professore di Animazione, che mi ha veramente incoraggiata a continuare, e Michele Nannini che ho conosciuto al corso di Grafica e che da subito è diventato il mio produttore, insieme a Iulian Dmitrenco. È un po’ grazie anche a loro se ho intrapreso questa strada. Michele produceva musica elettronica e negli ultimi giorni di lezione abbiamo iniziato a incontrarci spesso: all’inizio un po’ a caso, giusto per divertirci; poi piano piano hanno preso forma le prime canzoni vere e proprie.
Mi ha molto colpito il tuo percorso: evidentemente tornare a fare musica è stata un’esigenza direi esistenziale. In questi anni hai esplorato anche altre forme di canzone oltre al rap?
Ho sempre scritto barre, ma ascolto veramente di tutto. Per esempio, nel periodo in cui avevo smesso, comunque ascoltavo tantissima musica, soprattutto Tom Waits e Nick Cave. Il mio background musicale è molto vasto. Conosco molto bene il cantautorato italiano perché ci sono cresciuta. Sono di origine albanese e, quando con la mia famiglia ci siamo trasferiti in Italia, i miei genitori ascoltavano i cantautori italiani, un po’ anche per imparare la lingua italiana.
A questo proposito, mi è appena tornato in mente un ricordo: mio padre, albanese che non conosce affatto la lingua italiana, che arriva in Italia e la prima canzone che impara a suonare con la chitarra è L’italiano di Toto Cutugno: “Lasciatemi cantare… perché sono un italiano vero”. Assurdo.
Ha un valore simbolico molto forte questo ricordo. Mi ha fatto pensare all’esibizione di Ghali a Sanremo 2024 e a quanto la musica riesca ancora a fare politica. È rincuorante. Continuando a parlare di politica, una lotta che ti appartiene e di cui canti spesso è la parità di genere. In Italia ci sono poche figure femminili nel rap, che generalmente è respingente nei confronti delle donne, anche a causa di contenuti spesso maschilisti e misogini. Come ti sei trovata nell’ambiente hip-hop? Prevedi nei prossimi anni un maggiore contributo femminile nel rap?
Non saprei come potrebbero evolversi le cose, ma più donne siamo a farlo, più si normalizzerà la nostra presenza nel rap. Penso che il problema della misoginia non riguardi l’hip-hop nello specifico, ma la cultura in generale, che è ancora profondamente maschilista in qualsiasi ambito, musica inclusa. A cambiare devono essere i nostri paradigmi e la nostra considerazione del ruolo sociale della donna. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, non mi sono mai sentita respinta dall’ambiente e non ho vissuto situazioni sgradevoli. Però il pregiudizio c’è. Ci sono state diverse occasioni in cui ho ricevuto commenti del tipo “sei troppo forte per essere una donna”. Che sottintende il preconcetto che le donne non siano in grado di fare rap.
A questo proposito, ho una curiosità. Ho l’impressione che da parte della critica e del pubblico ci siano più aspettative sulle donne che fanno rap rispetto agli uomini. Siccome siete percepite come un’eccezione, siete messe “alla prova”: vediamo se siete davvero capaci. Confermi?
Sì, un po’ è così. Per questo prima dicevo che più siamo meglio è: quando il pubblico si abituerà, non saremo più percepite un’eccezione e non saremo più messe in competizione tra noi in una gara a parte.
C’è una traccia di NEL MARGINE a cui sei particolarmente legata?
Tutte mi fanno provare qualcosa, però sono legatissima a MERCOLEDÌ e STAI ZITTA. Ho scritto Mercoledì durante una crisi depressiva; ascoltarla adesso che mi sento meglio mi fa uno strano effetto: è come se l’avesse scritta un’altra persona, perché dentro ci sono cose veramente forti e feroci che ho scritto nei miei confronti.
La traccia STAI ZITTA racconta la disparità e la violenza di genere, un tema che ricorre nella tua produzione e che denunci con forza.
Sì, ne avevo parlato anche nella canzone Preconcetti del mio EP Tana Libera Tutti. Nel disco riprendo e sviluppo il discorso, come in una sorta di parte due: alla fine di Preconcetti dico “Cosa si prova a sentirsi una donna, io probabilmente non lo saprò mai”
In STAI ZITTA invece lo racconto. E purtroppo ancora oggi i sentimenti principali sono paura e rabbia. Gli episodi di violenza di genere, soprattutto domestica, sono troppo frequenti e, come dicevo prima, non diminuiranno finché non raggiungeremo la parità.
Il tuo mestiere ha due facce. C’è chi ama stare in studio a scrivere e incidere, chi sul palco, chi entrambe le cose. Come vivi la dimensione live?
Adoro i live. Quando suono dal vivo è come se mi trasformassi in quello che sono o comunque alla versione più vicina alla parte migliore di me. Nel quotidiano, quando provo ansia, a volte faccio fatica a gestirla; nei live invece è come se questa ansia si trasformasse in qualcos’altro: la sento arrivare fino alla punta delle dita. Mi piace sentirla nelle mani mentre lentamente si trasforma in adrenalina e in energia positiva. I concerti sono la ragione per cui scrivo e faccio musica: scrivo canzoni per condividerle. Ho in programma un tour che quest’estate mi porterà in giro in diverse tappe che a mano a mano aggiorneremo.
Il tuo disco è appena uscito quindi immagino che per ora ti godrai la quiete dopo la tempesta. Hai progetti in cantiere?
In questo momento più che mai ho tantissima voglia di fare rap. Dopo il tour estivo e un po’ di riposo, continuerò a scrivere: non vedo l’ora.
Alda si esibirà live il 16 Giugno al NAMELESS Festival, Lago di Como.