Un punto interrogativo, un punto di ritrovo, un (nuovo) punto d’inizio: “Ricordi?”, il nuovo EP di Alessandro Ragazzo potrebbe essere descritto così.
Rielaborare i ricordi è un processo naturale, inevitabile, catartico. Raccontare degli avvenimenti attraverso il filtro della memoria e risultare malinconici nella propria autenticità è una sfida. Una sfida che il cantautore Alessandro Ragazzo ha colto. E se dopo aver ascoltato questo EP esclami “sì, anche io”, si potrebbe dire che questa sfida l’ha pure vinta.
Ma un’indagine su un progetto così narrativo e condivisibile non poteva sfuggirci. E ne abbiamo parlato con uno dei suoi avventurieri.
Il tuo EP “Ricordi?” potrebbe essere la colonna sonora di un film che tratteggia momenti vari della gioventù. Un film in cui non è difficile immedesimarsi. Potresti raccontare brevemente come immagini la trama di questo ipotetico film?
Sarebbe sicuramente un film raccontato al passato, da un protagonista ormai un po’ cresciuto. Potrebbe essere ambientato in anni senza tecnologia, senza cellulari e computer per intenderci, ma con le prime televisioni. Una storia d’amore, ma con vari intrecci.
Un protagonista, ma tanti personaggi comunque importanti. L’università di mezzo, le avventure che si fanno da giovani e quell’entusiasmo che ti permette di non dormire mai.
Il momento in cui ti accorgi che devi crescere, e vuoi farlo a modo tuo, ma il mondo ha delle regole strette e quindi scappi, ma poi ci torni dentro. Confusione, dubbi e un’ipotetica città che fa da sfondo a tutto questo, una piccola città, ma non troppo piccola, ricca di riti, “luoghi di culto” e personaggi iconici. Una storia fatta, più che di avvenimenti, di immagini, un po’ comiche un po’ tragiche.
È stato difficile realizzare un EP in cui persino la copertina risveglia la memoria collettiva?
Sicuramente non è stato facile, ma è stato bello, divertente e stimolante lavorare sui brani, poi sugli arrangiamenti, sulla copertina e tutte le grafiche. Ci hanno lavorato grandi anime artistiche, di cui io ho molta stima, e tutto si è incastrato bene.
Mi sembra di scorgere nel brano “Quelli di sempre” un velato richiamo a De Andrè, nei versi “E ce la farai a farti scegliere ancora e non scegliere mai”. È possibile?
Ahah beccato! Si è una piccola citazione di uno dei brani “tabù” della mia vita, ovvero “Verranno a chiederti del nostro amore” del grande Fabrizio De Andrè. (Per brano tabù intendo una di quella canzoni che non posso ascoltare perché se per sbaglio lo faccio mi metto a piangere).
Restando in tema “Ricordi?”, ci racconti un aneddoto legato ad un tuo concerto o un incontro, un evento che tu definiresti “memorabile”?
Ricordo quando suonavo col mio primo gruppo, eravamo un trio progressive strumentale (come cambiano i tempi, eheh) e avevamo all’incirca 15/16 anni, e arrivammo in finale di un importante concorso a livello regionale. Quella sera eravamo i più giovani, e forse i più immaturi, ma vincemmo e fu bellissimo; non tanto per la vittoria in sé, ma perché a noi, tutto sommato, di vincere non importava niente, volevamo solo suonare e vivere le emozioni della musica. Ecco perché questo ricordo lo tengo stretto a me, perché mi ricorda la purezza della gioventù che è così difficile da mantenere crescendo, e la sincerità, quella disinteressata, che vince sempre.
Concludendo, secondo te la musica è un modo per conservare i ricordi?
Per me scrivere musica è un modo per stampare le mie emozioni e le mie storie su un supporto invisibile, ma che in qualche modo rimane e serve da suggestione per ricordare tutto un insieme di cose. Per gli ascoltatori, invece, ogni canzone può diventare la colonna sonora di un momento, di una storia e o di un incontro e quindi un brano può diventare una chiave per aprire qualche porta della memoria.