Una generazione, la nostra, così in crisi da aver messo in crisi anche il mercato delle chitarre. C’è poi chi grazie alla chitarra riesce a fare delle proprie crisi un punto di forza, una sorta di psicanalisi da pentagramma fatto di strade. É il caso di Bartolini, classe ’95, un viaggiatore che visitando diversi luoghi trova parti di se stesso narrando attraverso pezzi pop su struttura semplice con testi di emozioni altalenanti. Lo abbiamo prelevato dal quartiere Talenti di Roma, in cui vive e crea insieme al suo collettivo Talenti Digital e lo abbiamo, intervistato in occasione dell’uscita di Ferrari, il suo ultimo singolo a bordo di una Ferrari. L’abbiamo vestito mentre si metteva a nudo e immortalato in uno scorcio di presente futuro mentre ci raccontava il suo passato.
So che hai vissuto in tante case oltre che in tante città diverse, ti chiami Bartolini perchè da adolescente ti sei un po’ sentito un pacco spedito qui e la?
Ehehehe si sono stato un po’ il pacco che veniva spedito da bambino, mentre ad un certo punto della mia vita sono diventato il corriere ed il pacco: mi sono spedito da solo. Ho sempre viaggiato ma Roma è la città che ho scelto. Ho vissuto anche a Manchester, città in cui sono entrato in contatto con tantissimi musicisti e situazioni come quelle degli open mic e dei pub in cui suoni insieme a tanti artisti di un livello altissimo con cui condividi palco e passione.
Io sono nato e cresciuto in un piccolo paese della Calabria, e se Manchester mi ha dato la possibilità di non sentirmi diverso, Roma mi ha accolto dandomi tante soddisfazioni, e con Talenti Digital ho avuto la possibilità di vivere e creare insieme a persone con gli stessi obiettivi, con gli stessi gusti ed anche se vuoi gli stessi traumi come quello di non essere accettato o ben visto perché si hanno determinati gusti o passioni. Roma è stato il punto di partenza mentre Manchester la svolta perché mi ha aperto la mente e dato la possibilità e la consapevolezza di fare ciò che volevo.
Questi viaggi hanno quindi influito più sul sound o sulla scrittura?
Viaggiare ha influito di più a livello vitale su me stesso appunto perché Manchester mi ha chiarificato chi volevo essere, cosa volevo diventare e soprattutto come fare tutto questo. Ed è stata una scolta perché magari se prima venendo da una realtà un po’ più piccola ero chiuso nella mia bambagia, nel mio mondo, lì ho avuto la possibilità di vedere diversi mondi quasi come fossi Frodo del Signore degli Anelli. E questo ha si influito molto sulla scrittura perchè ho capito me stesso, con una scrittura come processo di psicanalisi.
Dove esporteresti la tua musica?
I miei testi li hanno tradotti in giapponese ed in francese. “Nel mare annegare” è stata tradotta in giapponese ma mi piacerebbe che venissero tradotti in inglese. SPOILERO: del prossimo singolo che si chiamerà “Argentina” farò anche la versione in spagnolo. Il mio album si chiamerà “Penisola“, un nome che si riferisce alla mia visione dell’Italia, e ciò che i luoghi in cui ho viaggiato hanno scaturito in me, racconterò me stesso nei luoghi.
Questo infuirà anche sull’arrangiamento?
Nell’arrangiamento no, ma sulle parole si, dovrò riadattare come un traduttore, che poi è il mio lavoro.
La musica è lo specchio della società, fino a qualche tempo fa era il megafono di un disagio generazionale, o il coro di una protesta per perseguire un ideale. Adesso sembra invece che ci sia una voce fuoricampo che legge i diari, come risultato di una società individualista. In un contesto in cui la musica sembra fatta di frontman: cosa significa far parte di un collettivo?
Far parte di un collettivo significa crescere insieme, soprattutto in un momento storico musicale, come quello che hai descritto, in cui ci sono vari piccoli frontman il collettivo è per entrambi un’esperienza personale che fa si che nonostante i progetti personali avanziamo verso lo stesso obiettivo senza spacconeria nè arroganza. É un grande stimolo che nonostante da un punto di vista di stile sia eterogeneo, da un punto di vista di intenti è univoco.
All’interno del collettivo ci sono diversi artisti come Danny il campione che fa cantautorato con l’autotune, Puertonico che fa R&B, Oriente con il suo digital pop ed il gruppo di videomaker 90cinque formato da Paolo Blarzino e Damiano Cioeta. Tutti queste persone si stimolano, si influenzano e si supportano continuamente. Provenire da città e background diversi coincide con lo stesso fine che è la musica, crescendo insieme. Ho notato una grande crescita con il pre Talenti Digital, sia da un punto di vista del suono che dei testi, mi è e ci è servito a renderci conto di ciò che stavamo facendo e cosa potremmo fare, mentre prima non era ben definito.
Il merito è di Alberto Paone (batterista di Calcutta e Michele Bravi [n.d.r]) che ci ha riuniti intuendo che eravamo i pezzi di un puzzle in continua evoluzione. Alberto è anche il mio batterista.
Tu sei un chitarrista, quindi mi viene automatico chiederti: cosa sta succedendo alle chitarre in Italia, perchè ormai sono messe in secondo piano?
É una scelta stilistica quella di questi anni, la scelta del synth suonato come una chitarra facendolo diventare lo strumento principale della musica attualmente main. Io le chitarre le uso e ce le metterò sempre: acustiche, classiche, elettriche, non mi interessa! Però l’onda va sul synthone e ci può stare. Nel mio ultimo pezzo, Ferrari, ha dei synth ma mantiene le chitarre, perchè per me la chitarra è lo strumento principale ed è quello con cui ho iniziato a comporre e con cui ho iniziato a cantare. Inizialmente non riuscivo a cantare senza chitarra: per questo avrà sempre spazio. Ma sono anche un grande fan dei synth però!
Sono le cose che scrivi a suggerirti le melodie o traduci le melodie in parole?
Ho avuto diversi stili di scrittura. Inizialmente scrivevo su una agendina pensieri in inglese che nascevano da una melodia. Con la scrittura in italiano, avvenuta dopo l’EP mai uscito registrato a Berlino in inglese, ho iniziato a sperimentare tanti stili di scrittura iniziando prima a mettere insieme dei pensieri da cui nasceva una canzone. Tutto ovviamente con la chitarra, adesso sto imparando a suonare il pianoforte. Quando prendevo i mezzi ero molto più ispirato, adesso invece scrivo in macchina le memo vocali: mi viene una melodia e la registro sul telefono perchè altrimenti la dimentico. E quando vado a creare una base, o a scrivere ho un approccio più professionale rispetto a prima in cui era tutto più campato in aria.
Ora grazie al mio produttore Marco Blarzino ho capito che dovevo iniziare a vivere il tutto come autore e che quindi dovevo capire cosa volevo sia nel suono che con le parole. A volte però per i pezzi faccio un meltinpot di roba già scritta come ad esempio è accaduto con Ferrari. Ferrari è nata da una base e da un ritornello mai scritto, sono dei piccoli inni che cantavo da solo a casa con la chitarra.
Dato che componi sui mezzi di trasporto, dove vorresti invece che venisse ascoltato per la prima volta un tuo brano?
Al mare d’inverno, per citare Loredana Bertè! É un immaginario che mi appartiene essendo nato al mare ed essendo stato il mare protagonista della mia infanzia, dell’adolescenza ma anche attuale. Ti dirò anche futura perchè io sogno di vivere al mare. Ma anche in moto, i mezzi di trasporto in generale perchè mi hanno aperto la mente.
A quale domanda avresti voluto rispondere?
Al “perchè lo fai?”. E la risposta non è per apparire ma per diverse dinamiche interiori legate alla mia famiglia, ma anche per necessità e lo farei a prescindere dal pubblicare i pezzi. Mi piace e mi aiuta a sfogare ciò che ho dentro. Lo faccio anche per mio padre che considero un artista e soprattutto ci sono delle cose che mi hanno segnato del nostro rapporto. Lui è stato il mio mentore musicale e mi ha mostrato la via della vita in generale. Avendo visto in lui questa scintilla voglio ardere del fuoco della musica. Ogni volta che scrivo, compongo un pezzo penso a lui e a come reagirebbe.
Ideatore: Sara di Iacovo
Photo: Eliana Giaccheri
Stylist: Clara Biagi
Ferrari: Skylimit rent Roma