Abbiamo incontrato Caterina Cropelli in un bar del centro, mentre una magica atmosfera natalizia illuminava a giorno le strade di Trento. Dopo il trampolino di XFactor e il successo di un primo disco già ricco di promesse, la ventiseienne trentina torna a scaldarci i cuori nel freddo dell’inverno. E lo fa con un album intimo ed accogliente come le mura di una casa, ma anche arioso, come le finestre lasciate aperte d’estate, a far entrare suoni inesplorati e sogni da portare a compimento. “In queste stanze piene” è uscito lo scorso 25 novembre per Fiaba Music e noi ce lo siamo fatti raccontare davanti ad una centrifuga e una tazza di tè: a voi indovinare quale delle due ha bevuto Caterina.
Ti abbiamo lasciata nel 2020, con il tuo omonimo album appena pubblicato: che cosa hai fatto di bello in questi ultimi due anni?
Sono successe tante cose, fra cui l’aver portato per la prima volta in giro delle canzoni mie. Il primo disco mi ha dato l’opportunità di esibirmi in tanti concerti e prendermi delle soddisfazioni davvero importanti, delle quali ancora non conoscevo il gusto. In particolare ho amato tutte le aperture di concerti per artisti più affermati, come Max Gazzè e Carmen Consoli, che sono state piccole occasioni non soltanto per farmi conoscere, ma anche per imparare.
Oltre ai live, il secondo disco.
“In queste stanze piene” è nato proprio negli ultimi due anni di attività dal vivo e quasi non mi sono resa conto di averlo completato. Ho cercato di scrivere e comporre senza pressioni, senza farmi condizionare troppo dalle aspettative degli altri, che comunque sentivo crescenti. Sono una fan di Caparezza e ricordo di aver ascoltato “Il secondo secondo me” proprio mentre mettevo giù le nuove canzoni: sentirlo cantare “il secondo album è sempre più difficile nella carriera di un artista” mi ha fatto pensare che se lo diceva lui allora era normale. Mi ha dato la carica insomma.
A darti nuova carica e nuova linfa hanno contribuito anche due collaborazioni importanti.
Con Anansi avevamo già collaborato nel primo disco e “Casa mia” – la canzone che ha scritto per questo mio nuovo lavoro – l’ho sentita subito vicinissima alle mie corde. È stata scritta per un nonno che non c’è più e cantandola ho pensato alla mia, di nonna: un vero e proprio abbraccio sonoro. Lo stile molto gospel del pezzo contribuisce poi a renderlo diverso rispetto a tutti gli altri.
Gio Evan invece l’ho conosciuto nell’estate 2020, aprendogli un concerto: da lì è stato un continuo ritrovarsi, finché un giorno non mi ha fatto avere questa sua canzone, “Groenlandia”. Per combinazione, anche in questo pezzo ritorna la parola “casa”, cosa che ha dato il via alla fitta trama di rimandi che caratterizza ogni brano dell’album.
Una trama che si è cucita sui momenti giusti della tua vita.
Io credo molto nelle coincidenze, che alla fine non sono coincidenze. Le stanze di una casa sono poi anche tutte le persone che la abitano, arricchendola: e in questi anni ritengo di essere stata molto fortunata, soprattutto a livello di persone incontrate. Partendo dalla mia etichetta, Fiaba Music, fino al mio manager, Piero Fiabane. Poi Clemente Ferrari, tastierista di Max Gazzè, che aveva già arrangiato il primo disco.
E non dimentichiamo i Bastard Sons of Dioniso! Li amavo fin da bambina: ero disperata quando i miei non mi avevano dato il permesso di andare ad un loro concerto. Ma la vita è piena di sorprese e adesso mi ritrovo a fare molti live insieme a loro.
Compresi gli ultimi, quelli appunto per la presentazione del nuovo album: com’è stato portare dal vivo questi brani?
Devo dire che è davvero molto divertente suonare nuove canzoni: c’è quell’emozione iniziale difficile da descrivere, perché hai paura di sbagliare e non è ancora entrato in gioco l’automatismo. Il pubblico le sta accogliendo bene: mi stanno arrivando molti feedback positivi, ognuno si affeziona a canzoni diverse – non per forza ai singoli – e questo non può che farmi piacere.
A proposito di canzoni, “Sempre più piccola” ha un posto speciale all’interno del disco.
È il primo brano che ho scritto in assoluto: contiene sensazioni molto forti, collegate ai disturbi alimentari di cui ho sofferto. All’epoca mi sono resa conto che la voce è lo strumento più vicino al corpo umano: rischiare di perderla mi ha scossa e spaventata, aiutandomi a prendere consapevolezza di quanto un sano rapporto con se stessi sia fondamentale nell’avere un sano rapporto con gli altri.
Fare musica e fare canzoni mi ha aiutata molto in questa conoscenza più approfondita di Caterina: un percorso particolare e faticoso, perché ti obbliga a guardarti dentro, ma che alla fine si rivela pieno di luce. E di musica, per l’appunto.
E proprio musicalmente parlando, che cosa pensi sia cambiato rispetto al tuo primo disco?
Durante il mixaggio del nuovo lavoro mi si è fatto notare, dalle orecchie e dagli occhi di chi ha collaborato con me, che rispetto al primo avevo fatto dei passi in avanti, anche creativamente. Mi sono resa conto di aver toccato altre corde, altre sonorità: partendo dall’ukulele di “Causa affetto”, passando per brani dal ritmo rock più spinto e arrivando poi al gospel, che dicevamo prima. La voce è sempre quella, ma i colori che la circondano hanno cambiato sfumature senza mai stravolgerne la sostanza.
Queste sfumature di suono vanno poi a colorare anche un’altra parte dell’album, più originale ed inedita forse: la scelta cioè di rendere canzone anche i credits, musicandoli in un’ultima traccia.
La scelta di musicare i ringraziamenti alla fine di ogni disco è nata proprio dal primo album: gli archi de “Il cielo in una scatola” erano talmente belli che andavano valorizzati molto più di quanto già non facevo in quella canzone. Se vai ad analizzare ogni singolo strumento per ciascun brano, è un attimo perdersi dentro un mondo pieno di suoni, dunque il mio intento era quello di dare nuova vita proprio al suono, tessendolo insieme a qualcosa di originale.
La voce narrante in quel caso era di mia sorella, mentre in questo disco qui abbiamo usato “Causa affetto” e la voce è direttamente la mia.
Proprio i credits di “In queste stanze piene” si concludono con “la disperata ricerca di un posto”: qual è il posto di Caterina oggi?
Ancora lo sto cercando. Certo, i miei posti preferiti sono le persone a cui voglio bene e nelle quali mi rifugio totalmente. Oggi vivo a Trento, non so dove mi troverò fra un anno, ma mi auguro di essere ancora qua perché mi piace. Penso non riuscirei a vivere in una grande città, per quanto musicalmente attiva possa essere: senza la natura e le montagne per me sarebbe estremamente difficile.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.