Troppo amore. Ne abbiamo veduto abbastanza di amore. Era il 14 febbraio 2009, era la solita iperglicemia di box di Baci Perugina, rossissime rose rosse posate sui cruscotti delle macchine cinquanta, 3×1 presso le librerie Mondadori della città con in vetrina, consigliati, i libri di Fabio Volo, e versi per gli arditi più eruditi di Jacques Prévert, Alda Merini, Pablo Neruda. Murales della città ripuliti e sostituiti dalle bacheche Facebook. Nel mezzo, una canzone italiana sostenuta dalle major che più triste di allora non si può.
Che se Sanremo è ancora oggi il nostro termometro sociale e culturale, allora era la lapidaria constatazione del sonoro deserto di un’Italia in cui riecheggiavano le inezie in musica di Marco Carta, Povia, Anna Tatangelo; senza dimenticare le minacciose proposte di sognanti amplessi e ubiqui amplessi in tutti luoghi e in tutti i laghi cantati da Valerio Scanu. Una pena assoluta, insomma.
Dal basso, però, negli angusti spazi di locali ristretti e nei più resistenti blog online di musica e cultura e controcultura qualcosa emergeva.
Per farla breve, nel 2008 ricordiamo bene cosa accadde nell’allora mistico panorama della musica indipendente italiana: Vasco Brondi vince il Premio Tenco per la migliore opera prima, i Baustelle con Amen s’intromettono tra gli Amici di Maria e i totem della canzone d’autore italiana ottenendo un disco di platino e il Tenco per il miglior album dell’anno a scapito di Jovanotti, De Gregori, Vecchioni e Afterhours.
Di questo piccolo mondo antico ricordiamo dunque nel 14 febbraio del 2009 una di quelle conditio sine qua non per cui ancora oggi ci troviamo a parlare su siti come questi di un certo tipo di musica che ci piace.
Fu quello il giorno dell’uscita de L’amore non è bello, album di Giuseppe Peveri, noto in arte col nome di Dente. Un approccio fulmineo al disco e subito veniamo catapultati tra i synth, i fiati e la batteria de La presunta santità di Irene, prima traccia del disco. A quante giovani ragazze di nome Irene, con le doppie punte, le spalle più piccole degli occhi e capaci di moltiplicare i baci costò il grado per omen nomen di dedicatario esplicito delle canzoni di Dente è ancora oggi imprecisato. Riteniamo però essenziale avviare un’indagine in merito.
Il disco prosegue nell’insostenibile leggerezza di un amore cantato perché terribilmente sofferto. Auguriamo così un sincero ma amaro buon appetito a chi ci è ormai lontano: magari in un viaggio sola andata, mentre ritorniamo a piedi da me e capiamo finalmente che ogni scelta equivale a una rinuncia. Ringraziamo a tal proposito Dente per aver sintetizzato in una canzone di tre minuti il pensiero di Kierkegaard.
Insomma, L’amore non è bello è un poema senza fine intriso di memorie sigillate e di emozioni sempre attuali. Oggi, il nostro autore ha voluto celebrare i quindici anni dalla pubblicazione e lo ha fatto con generosità, attraverso la riedizione di un disco che in vinile era ormai introvabile, e a cui sono state aggiunti un inedito e delle tracce demo. E poi un tour in alcune città cruciali della sua carriera. Prenderà vita proprio in quei giorni, dalla data del 13 febbraio a Milano, per celebrare a pieno uno degli album più intimi e impattanti della generazione musicale degli anni Duemila in poi.
Di tutto questo abbiamo parlato in quest’intervista con Dente:
Partiamo subito dal tour in programma, che sta ricevendo un ottimo riscontro. Ti chiederei perciò qualche curiosità sulla preparazione dei live al riguardo.
La risposta è stata molto buona, anche al di sopra delle nostre aspettative. So che comunque le ricorrenze funzionano sempre abbastanza bene. Questa è nata da una ristampa molto ghiotta del disco e dall’idea di un piccolo tour di cinque date; presto, in realtà, la risposta è stata così grande che abbiamo deciso di raddoppiare quasi tutte le date. Potevamo farne altre ancora, ma mi piaceva comunque che rimanesse una cosa circoscritta in un breve periodo.
Il live lo sto preparando con la stessa band con cui ho suonato Hotel souvenir più un sassofonista, perché nel disco ha molti fiati e mi piaceva perciò la sua presenza sul palco. Faremo tutta la scaletta del disco dal vivo in fila, traccia per traccia, più una seconda parte in cui faremo quello che c’è stato prima e dopo quel disco. Non tutto ovviamente, perché sennò durerebbe duecento ore.
Compreso, quindi, l’inedito che avete appena ripescato.
L’inedito a dire il vero non l’ho messo in scaletta. Non so perché non l’abbia messo [ride, ndr]. Essendo una canzone che ancora nessuno conosce, non ci ho pensato. Ho messo Sogno perché è una canzone che doveva essere nel disco ma che è uscita qualche mese dopo. Nella ristampa abbiamo inserito la sua versione demo. L’inedito che si chiama Domenica d’agosto non è stato invece pensato per la scaletta del concerto ma potremmo anche decidere all’ultimo di metterlo: è tutto in divenire.
Bene, saremo curiosi live dopo live allora. Restando sui live: hai notato con i concerti dell’ultimo album una differenza di ricezione da parte del pubblico più giovane rispetto a quello di vecchia data?
Devo dire che nell’ultimo tour non troppo, ed è una cosa che mi ha fatto piacere. È ovvio che quando si fanno i grandi classici si manifesta sempre una maggiore ovazione, ma è normale essendo quelle ascoltate da più anni. Invece nell’ultimo tour ho notato che la gente apprezzava e cantava anche le canzoni del nuovo disco, che è sempre una cosa molto positiva. E, soprattutto, ho visto facce molto giovani, forse una cosa che mancava negli ultimi anni tra il mio pubblico.
Poi, insomma, quando la gente canta è sempre un buon segno. Io comunque sono di una generazione “non-karaoke” e quindi quando vado a sentire la musica dal vivo mi piace ascoltare chi canta sul palco, non ci vado per cantare. Ma è comunque una gioia aver notato questo ringiovanimento.
Quando è uscito L’amore non è bello era un periodo abbastanza particolare. L’anno prima erano ad esempio usciti Canzoni da spiaggia deturpata di Vasco Brondi e Amen dei Baustelle. Consideriamo ancora questi album monumenti della canzone indie italiana degli ultimi vent’anni. Hai notato anche tu, a partire da quegli anni, questo punto di svolta?
Allora, in realtà non troppo perché quando ci sei dentro non le capisci troppo bene. Sono cose che mi vengono spesso dette, come quella di aver aperto la strada al cantautorato di una scena che poi si è confermata nel 2016 e cose così, insomma. Cose che mi sento spesso dire, ma che in qualche modo non riesco nemmeno a percepirle, personalmente non riesco a vedermi al di fuori di me. Io ho sempre scritto la musica perché sentivo il bisogno di farla e basta, ed è un po’ la mia fortuna e il mio limite. È pur vero che sto facendo un’intervista su un disco di quindici anni fa, perciò, evidentemente ha avuto una sua importanza e forse ce l’ha ancora. Ma per me è un mio disco, e non è il più bello o il più importante di quello che ho fatto.
Sappiamo che sei anche un lettore appassionato. Ricordi di qualche testo che ti ha particolarmente ispirato durante la scrittura de L’amore non è bello?
Direi che non ho mai preso ispirazione da un libro in particolare. In parte mi è successo qualche anno fa con la canzone Questa libertà, quando durante la pandemia stavo leggendo Il libro del mare, un libro bellissimo pubblicato da Iperborea che mi ha ispirato un po’ a scrivere quella canzone. Ma per il resto ho sempre tratto ispirazione da quel che mi viene dentro. Invidio però chi ci riesce.
Quanto ritieni di essere cambiato, anche in musica, da L’amore non è bello a oggi?
Non credo di essere troppo cambiato da quel disco ad oggi. Come ti dicevo prima, io continuo a scrivere quando ne sento il bisogno, nel bene o nel male. Non mi sono mai sentito un costruttore di canzoni: di solito si dice sempre che i primi dischi sono sempre ruggenti e più densi, fino a sbiadire lentamente. Questo succede a molti artisti, e forse è successo anche a me. Il motivo per cui io continuo a scrivere non è, però, per continuare a tenere in piedi un lavoro, ma perché sento che mi serve: è uno sfogo umano che uso per cercare di stare meglio. Ho sempre usato la scrittura delle canzoni in maniera molto terapeutica, poi la fortuna, il caso e forse un pizzico di merito hanno permesso un grande miracolo di cui sono anche molto felice.
Qual è la canzone a cui senti di essere più legato di questo album?
Devo dirti che non c’è proprio, specie in quel disco. È troppo denso: era stata la mia vita del 2008 ed era tutto troppo importante. L’ho visto sempre come un corpo unico: ho sempre cercato d’altronde di rendere tutti i miei dischi dei corpi unici. Condivido l’idea, forse un po’ retrò, degli album di un tempo. E L’amore non è bello è un po’ così, già il titolo apre a tante facce dello stesso argomento, della medesima storia e stessa persona. È insomma un ugual modo di vedere le cose, ma da angolazioni diverse. Ecco perché non individuo un episodio in particolare, lo percepisco come un unico blocco.
Ringraziamo con emozione l’autore e auguriamo a tutti un felice quindicesimo anniversario de L’amore non è bello. Buon appetito.
Alessandro Triolo
Nato e cresciuto a Messina, laureato in Culture moderne comparate a Torino, scrivo di musica e letteratura.