Con “Osiride” Nashley ci mostra che rinascere è un atto di coraggio
Osiride, pubblicato lo scorso 4 marzo, è l’album in cui Nashley rappresenta alla perfezione la propria rinascita artistica:
“Ho smesso di fare quello che pensavo le persone si aspettassero da me e ho iniziato a mischiare le carte, dando vita a un flusso creativo che seguisse prima di tutto il mio istinto. Ho dovuto guardare in faccia l’inferno, per imparare a vivere nel paradiso. Sono dovuto morire per rinascere, come Osiride”.
Ogni essere umano viene al mondo una volta sola, eppure, se si concede questa possibilità, può morire e rinascere infinite volte nell’arco di una sola vita. Ma, se nascere è un atto involontario, rinascere è, invece, un atto consapevole che richiede una certa forza di volontà e, soprattutto, una buona dose di coraggio. La rinascita presuppone, infatti, un confronto diretto – e a volte, addirittura, spietato – con se stessi, con ciò che si è stati e con ciò che si vuole diventare.
Nashley, a poco più di vent’anni, è già stato in grado di operare questo confronto, lasciandosi alle spalle il mondo della trap, in cui è nato e si è formato, per fare il suo ingresso in un mondo nuovo, quello dell’urban pop, offrendoci, con Osiride, la rappresentazione sincera e diretta di quel grande atto di coraggio che è stata la sua rinascita artistica. Ma non solo.
Osiride, infatti, non segna soltanto un mutamento artistico, ma si fa portavoce dell’idea che la musica non abbia bisogno di categorizzazioni nette e che un artista possa essere molte cose insieme, senza doversi per forza circoscrivere in un determinato genere musicale. Nashley, nel suo nuovo progetto, anche e soprattutto attraverso la scelta dei feat, ci dimostra di sapersi confrontare, non solo con più generi, ma anche con diversi registri emotivi, conservando sempre l’autenticità della propria scrittura.
La sua penna, con un tocco tagliente e sincero, è in grado di raccontare luci e ombre della Generazione Z portando chi, come me, di quella generazione fa parte, a identificarsi immediatamente nel racconto di Osiride; disco di emozioni, ma anche, e soprattutto, di concretezza e verità.
Se avessi una sola parola per descrivere questo album lo definirei, “autentico”, mentre, se dovessi scegliere un solo brano per presentarlo userei, probabilmente, Senza vertigini, in cui le voci, ma soprattutto le penne di Nashley e Fasma, trasudano un’emotività pura e impetuosa. Però, una sola parola e un solo brano, per un progetto del genere, sarebbero troppo riduttivi e, proprio per questo, vi consiglio di ascoltarlo interamente.
Inoltre, qualche giorno fa ho avuto il piacere di incontrare Nashley e di dialogare direttamente con lui per comprendere meglio questo meraviglioso progetto.
Ciao Nashley! Il mito di Osiride ci insegna che si può rinascere tante volte e in molti modi diversi. Questo disco è, dunque, il frutto di una rinascita artistica. Vuoi raccontare come è avvenuta?
Io vengo da un ambiente trap e rap. Negli ultimi due anni, però, mi sono chiesto molte volte se quello che stavo seguendo fosse il percorso giusto per me e, alla fine, sono giunto alla conclusione che non mi riconoscevo più in quel mondo, soprattutto perché non approvavo molte cose che si facevano nell’ambiente della trap. Durante l’ultima quarantena ho avuto il tempo di riflettere e di pensare a cosa mi piacesse fare davvero, così ho trovato un po’ di coraggio e ho iniziato a lavorare a questo disco, senza ascoltare gli altri, ma con una mentalità totalmente mia e facendo esattamente ciò che volevo fare.
Mi hai appena parlato di questo cambio di rotta rispetto al rap e alla trap, ma nella tua penna sembra esserci ancora quel graffio tipico soprattutto della scrittura rap. Sei d’accordo? Cosa ti porti dietro di quel mondo?
Assolutamente sì, sono d’accordo e sono contento che si noti. Non sono il tipico cantante pop che canta dall’inizio alla fine. Io cerco di fare un pop ridisegnato a modo mio, con delle parole taglienti e delle barre un po’ più rappate.
In “Senza vertigini” hai collaborato con Fasma, un artista indubbiamente diverso da te, ma a cui – a mio parere – ti accomuna una scrittura sempre sincera e diretta. Come nasce questa collaborazione e perché hai scelto proprio questo pezzo per accompagnare l’uscita del disco?
Io e Fasma ci conosciamo da parecchi anni; abbiamo suonato insieme in vari festival e, visto che ci siamo sempre stati parecchio simpatici, siamo rimasti in contatto. Personalmente ho sempre voluto fare un pezzo con lui ma, visti i nostri impegni, non c’eravamo ancora riusciti. Questa volta finalmente ci siamo ritrovati a Roma. Senza vertigini è nata direttamente lì. Non sono stato io a proporgli il brano ma ci abbiamo lavorato insieme, io, lui e i nostri produttori (Movimento e GG). Dopodiché l’ho finito a Vicenza. Ne siamo stati tutti molto soddisfatti e per questo abbiamo deciso di utilizzarlo come primo singolo per accompagnare l’uscita del disco.
Un altro pezzo che mi ha colpito molto e che mostra sicuramente un lato insolito di te è “Baby la smetti“, con Tancredi. Voi due avevate già collaborato in “Bella”. Come è stato tornare a lavorare assieme?
Collaborare nuovamente con Tancredi è stato veramente molto figo, soprattutto perché è stato un po’ uno scambio di rispetto: io con Bella avevo creduto in lui prima dell’arrivo effettivo del successo, mentre lui stavolta ha creduto in me prendendo parte a questo pezzo. Abbiamo cercato di unire al meglio le nostre sonorità: le mie strofe sono abbastanza rappate con un sound più allegro rispetto al resto del disco, mentre lui entra nel ritornello e fa il suo funky, in cui secondo me è abbastanza imbattibile in Italia. Ci siamo divertiti un sacco a fare questo brano soprattutto perché le sonorità sono molto accese, felici.
Io ho citato Fasma e Tancredi, ma nel tuo disco ci sono ben cinque feat con cinque artisti completamente diversi nel loro modo di fare musica. Questa scelta, per te, è stata funzionale a mostrare le tue diverse anime e come queste, alla fine, possano coesistere senza per forza il bisogno di rinunciare a qualcosa e di circoscriversi in un determinato genere musicale?
Certo, è stata una scelta ben mirata. L’idea di partenza era proprio quella di collaborare con vari artisti, appartenenti a mondi diversi, riuscendo ad incastrarli tutti nella stessa scatola.
Unendo Anna Tatangelo, che è la regina del pop, Jake La Furia che è il maestro del rap e tre artisti della Generazione Z – Fasma, Tancredi e IRBIS37 – rappresentanti di tre generi musicali completamente differenti, ho voluto non solo dimostrare che nella musica non servono etichette ma anche far vedere come io sia in grado di confrontarmi con più generi senza dovermi relegare per forza in uno.
Prima di “Osiride“ hai pubblicato “Iside” e “Seth”. Come è nata la scelta di pubblicare due ep che anticipassero l’album?
Quella di anticipare l’uscita del disco con due ep è stata una scelta fatta assieme al mio team di marketing. Visto il periodo di incertezza in cui ci trovavamo a causa del covid, far uscire un album dal nulla poteva essere abbastanza rischioso. Per questo siamo andati alla ricerca di un modo insolito di pubblicare il disco che potesse suscitare anche la curiosità della gente. Così ho fatto uscire i quattro pezzi di cui ero più certo, racchiudendoli, appunto, in due capitoli, Iside e Seth, per poi pubblicare il disco per intero. Secondo me le persone più attente hanno capito perfettamente il messaggio che stava dietro questa scelta.
Nel tuo album c’è un brano, “Rosa“, prodotto da Mameli, come nasce la collaborazione con lui?
La collaborazione con Mameli nasce tramite la proposta di una sua amica che lavorava nella mia etichetta. Confesso che all’inizio ero molto scettico, perché lui era completamente immerso nel mondo indie, mentre io non ero ancora convinto del percorso che stavo intraprendendo. Poi ci siamo incontrati e proprio durante quel primo incontro è nata Rosa. Devo dire che Mameli è stato un punto fondamentale del mio cambiamento perché mi ha dato il coraggio per osare un po’ di più e seguire il mio istinto. Quindi, per quanto abbia una sola produzione nel disco, per me è stato importantissimo, perché mi ha dato proprio la spinta necessaria per mettere a frutto i miei progetti.
Tu vieni da Vicenza. Soprattutto negli ultimi due anni ne abbiamo sentito molto parlare quale patria di numerosi artisti emergenti come Madame, Sangiovanni, gIANMARIA. Qual è stato il ruolo della tua città nel tuo percorso artistico e cosa ne pensi di questi artisti che, tra l’altro, sono più o meno tuoi coetanei?
Vicenza ha sempre avuto una grande influenza su di me. Posso dire di conoscerla come le mie tasche e, per questo, mi ispiro tantissimo a lei e la cito spesso nelle mie canzoni, anche in maniera impercettibile.
Negli ultimi anni, a parte Nitro, non era uscito quasi nulla di interessante dalla mia città, quindi con gli altri artisti possiamo dire di aver dato finalmente un punto di valore a Vicenza e al Veneto. gIANMARIA lo conosco molto bene, è un mio grandissimo amico. Lavoravamo nello stesso studio e si può dire che l’ho visto nascere come artista. Sangiovanni non l’ho mai conosciuto di persona, ma ci sentiamo spesso sui social; mi sembra molto in gamba e non posso che fargli i complimenti per il successo ottenuto. Madame, invece, non la conosco personalmente, ma la considero una delle artiste più forti in Italia musicalmente.
Ovviamente il compimento di un disco sono i live. Vuoi dirci qualcosa sulle tue prossime date e come ti senti a riguardo?
Forse, a maggio, finalmente riusciremo a fare il tour. Sono molto emozionato perché è da un anno che ne parliamo e in questi giorni stiamo lavorando per capire come rendere bene il messaggio di Osiride anche visivamente, sul palcoscenico. Tra l’altro sarà la prima volta che mi esibirò con la band e questo da un lato mi mette un po’ di ansia, ma dall’altro mi rende molto felice. Prima di maggio spero anche di fare qualche dj set per dare ai miei fan un piccolo antipasto di quello che accadrà nel tour. Se questo non fosse possibile, invece, ci vedremo direttamente ai live. Non so ancora bene cosa succederà, ma prometto che farò di tutto per renderli indimenticabili.
Chiara Montesano
Classe 1997. Ho una laurea in Italianistica ma provo a scrivere di musica mentre sogno la sala stampa di Sanremo.