Il 20 marzo è uscito Two il primo album dei Deux Alpes, duo di base milanese che si racconta attraverso l’elettronica, sonorità passate, novità presenti e tantissime altre belle sfumature. Abbiamo parlato con Gido (Giuseppe) ed Edoardo di questo nuovo lavoro, che arriva dopo l’Ep Grenoble 1998, ed è frutto di preziose collaborazioni, da rintracciare nelle voci nei testi dei brani del disco. Ma gli abbiamo anche chiesto come stanno affrontando “l’uscita del disco da casa”, di come vivono la loro musica e come la vivranno domani. Con un’unica certezza: questo disco è un invito a non smettere di ballare, nemmeno ora.
Chi sono i Deux Alpes? Suonate insieme da tanto? Come vi siete conosciuti? Qual è la vostra storia?
Siamo Edoardo e Gido e viviamo a Milano. Ci siamo conosciuti una sera in un circolo ARCI di Milano dove Edoardo lavorava e dove Gido aveva suonato. All’epoca, avevamo progetti musicali diversi, che vicendevolmente apprezzavamo. Nel 2015 abbiamo collaborato per un progetto musicale collettivo, Gli ultimi cosmonauti, e da allora il rapporto artistico è diventato anche umano: abbiamo deciso di creare un percorso tutto nostro, da subito improntato verso la musica elettronica, ed è così che sono nati i Deux Alpes, ormai quattro anni fa.
Il tema del “due” è ricorrente. Il disco si chiama Two (abbastanza chiaro dalla cover), voi siete i Deux Alpes e siete un duo. C’è qualche significato particolare legato a questo numero? Anche nel vostro lavoro si sentono le vostre “due anime”?
È evidente che il Two del disco sia in un certo senso un’autocitazione, e in effetti il due richiama diversi aspetti del nostro progetto. Certo: siamo un duo, la nostra musica è in bilico tra due mondi musicali ovvero quello che guarda al pop, che è più nelle corde di Gido e quello più smaccatamente elettronico, nelle corde di Edoardo. Nello specifico del disco, il Two ricorda anche che ogni pezzo del disco è figlio di una collaborazione tra noi e gli artisti che hanno prestato la loro creatività nelle parti vocali e nei testi. Ci piaceva stringere un po’ il cerchio intorno a noi, proprio per la natura stessa del disco estremamente collaborativa.
Anche i riferimenti allo sport e alla montagna sono fortemente presenti. Che significato hanno per voi?
La montagna e il ciclismo, temi fortemente presenti soprattutto in GRENOBLE 1998, il nostro primo EP, sono stati una spinta per farci riflettere sul sacrificio, lo sforzo per raggiungere un obiettivo, che per noi è quello di far conoscere la nostra musica superando i confini del nostro Paese.
La vostra musica fa ballare ed è ricercata e studiata con cura. Cosa vuol dire fare questo genere in questo particolare momento storico per la musica italiana? Quali sono le vostre influenze?
E: Significa essere pazzi! Scherzi a parte, credo che il pubblico sia pronto a recepire un’elettronica di qualità, anche oltre a chi frequenta club e festival. C’è un sottobosco molto attivo, forse chi non recepisce questa spinta sono le etichette, i giornalisti e soprattutto i locali. Negli ultimi tempi i miei ascolti sono stati disparatissimi, in queste lunghe settimane in casa accendo la musica alle 9 del mattino e la spengo alle 9 di sera. Negli ultimi giorni sto ascoltando Yotto, 96 Back, French 79.
G: le nostre influenze sono così disparate da risultare irrilevanti. Certo, ci sono molti artisti che stimiamo entrambi e ai quali ci ispiriamo. Ma il nostro processo compositivo è così stratificato che si perdono inesorabilmente le influenze e si crea qualcosa di unico. Il momento storico della musica italiana, diciamo prima del Covid, era un momento di transizione, complesso. Non riesco a vedere del bene o del male a prescindere, ma credo che in ogni periodo storico ci siano sfumature positive e negative. Sicuramente la situazione attuale cambierà di molto le cose ma non necessariamente in peggio.
Uno dei vostri singoli si chiama Casa mia. In questo momento in cui tutti siamo in casa, cosa rappresenta per voi quella canzone e cosa vuol dire non suonare a contatto con il pubblico? Avete pensato a qualcosa di diverso per farvi sentire comunque?
Non poter suonare per noi è come perdere una parte sostanziale del senso di creare musica, ma andiamo avanti e guardiamo positivo, per quanto possibile. Ci teniamo attivi lavorando a del materiale nuovo e studiando: chissà, magari prossimamente vi facciamo già sentire qualcosa di nuovo.