Diletta: le crisi, i buoni sentimenti e il “Sacro Disordine” di provincia
L’album d’esordio dei Diletta è un invito a riappropriarsi delle piccole cose, a vivere di emozioni comuni e a ritrovare il bello delle sensazioni quotidiane: un disco che parla di famiglia, del ritrovarsi improvvisamente padri, e improvvisamente soli. I Diletta, con una semplicità disarmante, delineano il mondo post Covid, di tutti noi che siamo da ricostruire emotivamente, non a caso il titolo: Sacro Disordine.
Anche loro, come tanti ormai, sono ricorsi ad una una campagna di crowdfunding per la realizzazione dell’album e in questo riconosciamo la crisi di una generazione che ha sogni grandi e per realizzarli decide di non piegarsi agli aperitivi svogliati fatti per convenienza, al mondo dei concerti su invito, ai cocktail e alle chiacchiere fuori dai locali.
I Diletta sono una band che organizza dirette musicali mentre cena, che si ritira timidamente in provincia e vive di sussurri e buoni sentimenti. Jonathan Tupputi, aka Jonnyboy, chitarra e voce riccioluta e Andrea Rossini, aka Il Maestro, tastiere e percussioni sono i partigiani silenziosi di una scena musicale che si avvia verso derive urban.
L’adolescenza passerà non si può dire a quale età. Questa frase mi è rimasta impressa mentre ascoltavo la quinta traccia, Waimea, forse quella più positiva e a suo modo malinconica del disco. Il titolo mi ha incuriosita e ho scoperto che è il nome di un’onda che il celeberrimo serfista Greg Noll riuscì a domare nelle Hawaii, da qui il parallelismo con tutte le imprese figlie di sogni folli.
Ad un primo ascolto i Diletta mi sembravano la classica band che fa pop (non che ci sia qualcosa di male), ma ad un ascolto più attento ho scoperto in loro una capacità di raccontare immaginari in modo mai banale, di suonare con cognizione di causa e questo è solo il primo passo.
Ho l’impressione che sentiremo ancora parlare di loro, per questo li abbiamo intervistati.
Perché il pubblico delle Rane dovrebbe ascoltare i Diletta?
Perché una frase che ci piace molto è: “il tempo ci sfugge, ma il segno del tempo rimane”. Piacioneria a parte, pensiamo che l’ascolto di Diletta sia per chi abbia voglia di leggerezza senza che sia superficialità, per chi ama la passione tra le pieghe del quotidiano.
Come avete realizzato la vostra campagna di crowdfunding?
Abbiamo pensato di condividere con parenti, amici e conoscenti il nostro progetto, la nostra ambizione di realizzare un EP. Farlo per noi ha implicato sia godere della solidarietà materiale attraverso le donazioni, sia e soprattutto, poter creare un’attesa e dare un significato alla nostra musica in un periodo difficilissimo per l’arte e i contatti umani. Il significato sta nell’essere ascoltati e in questo il crowdfunding ci ha aiutati.
In un mondo dove le etichette investono sempre meno su nuovi progetti indipendenti, i crowdfunding possono essere la soluzione definitiva per finanziarsi?
Sono una soluzione, forse non definitiva. Il vantaggio di avere un’etichetta resta perché permette di avere una maggiore credibilità nonché qualcuno che possa condividere conoscenze e competenze riuscendo a spingere un progetto oltre la stretta cerchia di amici. Diciamo che per partire è un ottimo modo per coinvolgere chi ci sta vicino ed è bello oltre che utile.
Il valore degli house concert durante la pandemia, una forma di resistenza? Quali sono state le loro esperienze?
Assolutamente una forma di resistenza. I locali erano chiusi quando abbiamo registrato e poi lanciato la campagna crowdfunding. Non sapevamo quando e quanto avremmo potuto promuovere la nostra musica nei club. Tuttavia non li consideriamo un ripiego, anzi! Sapevamo che entrare in casa di qualcuno avrebbe creato una sintonia ed una intensità rara. Non sapevamo quanto sarebbe stato vero. Continueremo a farli a prescindere dalle possibilità che avremo di suonare in modo tradizionale.
Conciliare l’arrivo di un figlio con l’arrivo di un disco. Jonathan, tu sei appena diventato padre… Sacro Disordine e i suoi testi nascono prima o dopo quest’evento?
Canto tutte le sere e faccio le ore piccole da un anno a questa parte. Vita da rockstar? no… Garantisco che conciliare un progetto musicale con un bimbo non è semplice. Cambiano i tempi e le priorità. Avessi realizzato un album in un’altra fase della mia vita sarebbe stato più semplice, ma il non-ordine è parte intrinseca di Diletta quindi va bene così.
Per i testi, quasi tutti li ho scritti prima della gravidanza di mia moglie, tranne uno ed è proprio “Sacro disordine”. Per quanto io non abbia proprio pensato alla paternità mentre lo scrivevo, ora che mi guardo indietro ci vedo dentro anche le mie paure e resistenze per un cambiamento così importante, un cambiamento che rifarei mille volte…o magari solo un’ altra volta o due, vediamo.
In che modo Sacro Disordine è un disco che parla di famiglia?
In realtà non parla di questo. Parla piuttosto del cercare un posto nel mondo, di crescere. Fosse un libro, sarebbe un “romanzo di formazione”, ma la crescita personale non penso si riduca nel crearsi una famiglia. Può esserne una parte importante.
Come state vivendo questa nuova Milano?
“Era, il dopoguerra, un tempo in cui tutti pensavano di essere dei poeti, e tutti pensavano d’essere dei politici; tutti s’immaginavano che si potesse e si dovesse anzi far poesia di tutto”. Chiuso ogni periodo difficile e doloroso si tira un sospiro di sollievo e ci si può permettere di immaginare, ripensare il futuro. Ora che stiamo ritrovando una nuova normalità, mi sembra che ci sia tanto fermento e tanta voglia di ricominciare. I Diletta, che sono sempre stati in guerra nelle loro camerette, adesso hanno voglia di fare la pace fuori dalle loro tane.
E adesso?
Adesso vogliamo fare ascoltare la nostra musica in tutti i modi possibili per cui seguiteci, cercateci in giro e se non ci trovate, potremo sempre venire a casa vostra!
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Giulia Perna
Meglio conosciuta come @machitelhachiesto. Salernitana di nascita e bolognese per amore di questa città. Ha conseguito il titolo di Laurea specialistica in Comunicazione pubblica e d'impresa presso l'Università di Bologna. Si definisce "malinconica per vocazione". Da grande vorrebbe osservare le stelle. Crede nella forza delle parole, nella bellezza che spacca il cuore e nella gentilezza rivoluzionaria. Le piace andare ai concerti, mischiarsi tra la gente, sentire il profumo del mare e camminare sotto i portici.