Elle: comandante di un’Arcadia fuori moda

Eviteremo le bombe. Una stanza, un’amore che sfugge alle leggi del tempo e che evolve tra litigi verbali e riappacificazioni sotto le coperte. Elle ci racconta, nel suo nuovo singolo, una bolla d’umanità, un microcosmo che è un esempio di comunità e bandiera della resistenza contro le avversità. Due anime che fanno loro un pezzo di mondo, colonizzandolo con carezze e abbracci, giocando a non contare più gli anni e riconoscendo come unica legge suprema quella dei brividi sulla pelle. Svegliarsi senza orologi digitali, piegandosi solo alla fame di caffè e di ruvidi istinti.

La variabile tempo, onnipresente, non è invasiva: non sappiamo da quando duri questa storia, ne da quanto le lenzuola siano sfatte. Non conosciamo il dove, il quando, il perché. Ne comprendiamo la valenza emotiva, la capacità di far dimenticare il mondo esterno, le sue brutture e mostruosità. Coccolarsi per alienarsi, proteggersi anche solo per un istante. Il testo, ricco di semplicità, si copre di una nube elettronica che confeziona una veste senza appigli, efficace in ogni stagione della vita. Sono presenti echi di un passato palliativo cantautorale tutto italiano, modernizzato dalla metafora delle bombe. Esplosioni visive, uditive, morali.

Ma Elle non cerca di raccontare solo questo spaccato di vita.

Nel suo essere anche uno dei componenti del progetto della Clinica dischi, conosce bene il “prodotto” musica. È una forza salvifica, capace di ribaltare per ognuno di noi in tre minuti le oscenità quotidiane. Far decadere la variabile tempo, esattamente come nel testo della traccia. È un evitare le bombe, una protezione egocentrica e dei nostri affetti. La riflessione, esplicita, è l’evoluzione del mezzo musicale nell’epoca dello streaming selvaggio e del mercimonio delle playlist.

Come le nostre abitudini alimentari, anche la musica ha assunto i caratteri del fast food, stritolata da logiche di mercato che penalizzano solo l’artista e la sua libera espressività. Elle, che bimbo più non è (ha vissuto, come chi scrive, diverse “rivoluzioni” musicali) trasla un grido sottile (che si fa spazio a spintoni in una importante fetta di tessuto musicale ferito) in un pezzo che nella dolcezza veicola un messaggio cruento. La sua Arcadia è l’elettronica nell’accezione più umana. Creazioni extra-cardiache mosse da aritmie mentali: nei suoi suoni si esprime una rappresentazione della potenza della creazione umana su fili sintetici.

Il progetto Elle. Definiscilo in tre parole.

Irrisolto, sbagliato, romantico.

Eviteremo le bombe. È un senso di relativa tranquillità in un mondo che sappiamo essere ostile. Come artista, qual è il tuo ruolo nei confronti di un mondo che sembra autodistruggersi ogni giorno, privandoci della libertà di essere tutti meravigliosamente diversi?

Io, in primis, sento la vocazione per l’autodistruzione, e la sento tutti i giorni. Non è una cosa della quale vado fiero, e forse dopodomani smetto. Il mio ruolo nella musica come artista non so quale sia, a volte sono curioso di scoprirlo, altre volte non mi importa di niente. Essere se stessi è ancora più difficile quando si hanno sbalzi di umore continui: se dovessi sempre seguire i miei istinti, credo sembrerei fuori di testa. Ma chi non lo sembrerebbe? Nella musica invece, se non sei sempre te stesso, sollevi solo aria fritta e non comunichi niente, è un dato di fatto. Credo capiti a tutti nell’arco di una carriera, l’importante è rendersene conto.

Due persone che si fanno compagnia, amano senza darsi scadenze, si schermano a vicenda. L’amore è ancora il mezzo di difesa per eccellenza? Tu cosa ne pensi? Ha ancora senso parlare di amori romantici in musica?

L’amore evolve, come la musica, come l’essere umano. Quindi sì, mi piacciono le canzoni d’amore fatte bene. Avrei sempre voluto scrivere una canzone d’amore con un lieto fine, ma non ci sono ancora riuscito: se fossi riuscito ad evitare le bombe, magari ce l’avrei fatta. Questa canzone è quasi un consiglio rivolto a chi non sa cosa vuole, a chi vive nell’incertezza: temporeggia, vedi come va, se per essere onesti si deve soffrire, menti. Mentiti.

Elle
Il tempo, la variabile salvifica e distruttiva per eccellenza. Quale è il tuo rapporto con il suo scorrere? Cosa ti spaventa (se c’è) dell’invecchiare? La musica è solo dei ragazzini?

Oggi mi sono fatto la barba a lametta. Non credo a chi, guardandosi indietro, rifarebbe tutto come lo ha vissuto. Non rifarei mai gli stessi errori, ne farei altri per arrivare magari anche allo stesso punto, ma è bello cambiare e ci sono troppe cose da sbagliare per accontentarsi: invecchiare è brutto proprio perché non è possibile cambiare il passato. La musica è una roba da vecchi, e vecchi sono quelli che “ce la fanno” per davvero, e si dividono in due categorie: chi parla ai giovani perché si è fatto furbo e chi alza l’asticella per la nicchia. Difficile trovare la combo delle due cose. Se vogliamo parlare di numeri, i giovani fanno il culo a tutti, ma è molto moda, dovremo aspettare che diventino vecchi per giudicare. O mi sbaglio? Magari mi sbaglio, perché ci sono troppe sfaccettature, troppe parentesi e non si può generalizzare. Questa domanda era difficile. Ps: io sono ancora giovane.

Cosa salvi della nostra generazione? In cosa abbiamo invece fallito?

Non lo so. Forse abbiamo fallito nella capacità e nella modalità di conservare ricordi, nelle relazioni, l’avvicinamento e la quasi rassegnazione alla realtà virtuale. E ora mi sto prendendo male.

Il progetto Clinica. È difficile far parte della variopinta industria musicale ai giorni nostri?

La Clinica Dischi è la parte più grande della mia vita, di fatto, ho trascorso più tempo in studio che a casa. Non è stata una scelta di vita facile, ma è stata una scelta sincera. Adesso stiamo raccogliendo il frutto di un lavoro estenuante, prosciugante. Solo con una passione sconfinata puoi sopravvivere in questo mondo.

Eppure i soldi, gli interessi, le raccomandazioni in questo mondo esistono da sempre. Elle, come vedi la rivoluzione musicale degli anni 2010?

In un primo momento è stata l’intelligenza degli ascoltatori/ricercatori, quelli capaci di andare oltre un ascolto passivo da radio, miscelata all’attitudine e al talento di artisti come Pierpaolo Capovilla per un verso, Dente per un altro, Moltheni, Marta sui Tubi e altri ormai quasi dimenticati. Loro hanno aperto le porte ancor prima del 2010, almeno per quanto mi riguarda. Poi è successo quello che sappiamo, con gli artisti che sappiamo. Successivamente Spotify ha cambiato definitivamente le carte in tavola con la sua politica meritocratica: sembra incredibile ma è così, non esiste la conoscenza diretta, il favoritismo. Ve lo posso assicurare. Detto questo c’è da fare un grosso distinguo tra il merito di essere in playlist e il valore di un artista. E non è tutto rose e fiori, il meccanismo della playlist sta portando sempre più all’effetto radio, all’ascolto passivo, quello che c’era prima della rinascita della musica indipendente. Non ci sono più molti ricercatori di musica nuova, questo è preoccupante.

Consigliami un disco, una città e un libro che ritieni possa arricchirci.

Un disco soltanto? “Tranquility Base Hotel & Casino” perché è il miglior disco uscito dal 2000 ad oggi, forse anche di più. Rimanendo sulla terra, ai giorni nostri, e in Italia, i miei preferiti sono il primo disco di Giorgio Poi, “Il cielo era un corpo coperto” di Effenberg e l’ultimo di Dimartino. In ogni caso si casca in piedi. La città è La Spezia, l libro uno qualunque di Stephen Hawking, se con l’universo ci sballi.

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