La Malasorte è un progetto di Lamush ed Eropi, alias Claudia Giannotta e Pierluigi Conte, che prende vita nel 2019, in Salento. La loro musica è un flusso di coscienza e sound, la combo perfetta tra il rap e la world music. Scontri, relazioni, dubbi, gioia. “Porta Fortuna” è un disco umano.
Un passo indietro…
Si sono fatti conoscere nel 2020 con la trilogia cromatica “Blu”, “Verde” e “Rosso” nell‘Ep “RGB”, autoprodotto e indipendente, distribuito da Artist First.
Nel febbraio 2021 viene pubblicato il singolo “Alta Marea” di Gaston, brano che vede la partecipazione del duo salentino, oltre agli artisti Pietro Neos e Valeria Capocello. La Malasorte conferma poi la sua dinamicità artistica collaborando con mu.fu (Musica del Futuro), collettivo underground di giovani rapper, cantanti e produttori leccesi, nei brani “No Fuffa”, “Himalaya” e “Love Manifesto”. Successivamente esce il singolo “Comodi” portando La Malasorte sul palco dell’Arezzo Wave, venendo decretati vincitori regionali, e del Sei Festival. A novembre dello stesso anno pubblicano il loro secondo Ep “XY”. A dicembre arrivano alla finale di Arezzo Wave come rappresentanti pugliesi e vincono il premio della giuria giovanile e il Premio Rockit.
A maggio del 2023 pubblicano l’inedito “Fenice”, seguito da “Naviga”. A novembre 2023 esce “Disordine”, con cui La Malasorte anticipa il disco d’esordio “Porta Fortuna”, pubblicato con la Elastico Records.
Abbiamo fatto un giro nei vortici emotivi de La Malasorte.
So che questo album è il risultato di un lungo lavoro. Un cammino tra i gironi dell’inferno, del caos, del passato, della gioia. Un disco che si lascia ascoltare tutto d’un fiato, nonostante le secchiate gelide di verità, alcune più scomode di altre, che arrivano sia con le parole sia con il sound. Come è venuto fuori Porta Fortuna?
Circa due anni fa, dopo un po’ di esperimenti e uscite varie, ci siamo detti: “okay è ora di fare un disco”. Inconsapevoli di cosa significasse fare un vero e proprio disco, siamo riusciti a incanalare le idee insieme ad Argentovivo alias Gabriele Giannoccaro. Abbiamo incontrato tantissime anime che hanno contribuito all’album in modi diversi. Cristiana, Alex, Fresh Rucola, Franco, Pheet, Filippo, sarebbe davvero impossibile nominarli tutti. È stato un puzzle di persone e trascorsi che hanno trovato il loro collocamento nella nostra musica.
“Un sogno così” – sembra l’inizio di un film, la genesi di qualcosa che si forma dal caos. “Io non voglio più gridare per farmi sentire” Immagino non sia stata una scelta casuale, aprire il disco con questo pezzo…
Assolutamente no. È stato uno dei primi uscito fuori, è una dichiarazione di intenti. Sai, in alcuni momenti ci si sente quasi costretti a mostrarsi al massimo, forte, devi farti vedere, farti sentire… Non è una cosa che ci piace. È bello invece vedersi con le proprie fragilità. La musica è fatta di emozioni reali e noi non siamo sempre brillanti, ci sono un sacco di giorni opachi nel nostro calendario.
“Disordine“: siamo ancora nel caos. Portare dentro al proprio disordine qualcun altro, può essere risolutivo o distruttivo?
È egoistico. Ogni persona ha i propri meccanismi di ragionamento, che spesso portano a delle scelte giuste per te e non sempre giuste anche per chi hai vicino, ed è impossibile non farle. Il disco è come un lungo ragionamento. In “Disordine” c’era bisogno di empatia. Capita di trascinare gli altri nei propri turbinii, è irrazionale. Giusto o sbagliato, più o meno istintivo, a volte accade. Riconoscerlo è arricchente. Quell’egoismo non sempre è negativo: quando trovi le persone giuste, puoi invitarle a conoscere anche quella parte di te più incasinata, è un atto sincero.
Rompere la cornice che imprigiona il quadro, attraversare il presente per tornare al passato, spesso con un linguaggio e un approccio mutati. Perché “Esperanto“?
Eravamo a casa dei miei nonni (Eropi) dove c’è un quadro appeso con delle chiavi incorniciate, erano di mia nonna. Tempo prima, quel quadro era caduto e la cornice si era rotta. Un giorno ci siamo trovati lì insieme ai Mundial ed è partito un dialogo, niente di premeditato. Riflettevamo: qualsiasi lingua tu parli è una cornice. Ci sono pensieri liberi che non hanno un linguaggio nel momento in cui vengono generati, la decodificazione in lingua è l’ultimo passaggio, che poi potrebbe anche togliere un po’ di istinto. In Esperanto abbiamo deciso di rompere la cornice, dopo averla attraversata.
Com’è stato lavorare con i Mundial?
Mundial è un progetto di Carmine Tundo, Roberto Mangialardo e Alberto Manco. Sono musicisti incredibili e persone splendide. Non avevamo ancora troppa confidenza, ma quel giorno ha suggellato il nostro rapporto e ci siamo compresi subito. Non è scontato trovarsi così bene a suonare con persone che conosci poco. Da lì in poi ci hanno sempre supportato e ci vogliamo molto bene.
Si “Naviga” nel girone delle molteplicità. Tra le quali appare il feat con Lauryyn. Come nasce questa collab?
“Naviga” era già uscita, ma volevamo un tocco in più per inserirla nel disco. Ne abbiamo parlato con Cri e gli altri, ed è stato inevitabile non pensare a lei, dato che abbiamo condiviso anche alcune esperienze con il progetto mu.fu. Lauryyn ha accettato, è entrata subito nel mood. Spesso è difficile riuscire a dosare il contribuito a un pezzo già chiuso, invece lei è stata molto discreta e attenta alla scrittura. Una collab fantastica.
Ma chi è questa Cri?
È Cristiana Francioso. Lei è il nostro cuore, lo stomaco, il cervello. È stata il primo mattoncino e poi il cemento che ha tenuto in vita questo progetto, la prima a crederci e a farci credere. È la nostra f*cking manager.
“Overthinking” e “Nota vocale – Finalmente“, sono due tracce gemelle. Facce della stessa medaglia. Si parla di affrontare la realtà, di perdersi, di ritrovarsi. Quando la verità è dura, sarebbe meglio affrontarla o ignorarla tacitamente?
Dipende quanto ne valga la pena. Aver sentito il bisogno di scriverne significa che ne valesse la pena. Anche affrontare tacitamente vuol dire comunque affrontare. La verità è un punto di vista. Esclusa la scienza, quando si parla di pensieri, emozioni, vita, non c’è una verità assoluta, c’è la tua ed è indiscutibile. Puoi affrontarla in vari modi, ma sicuramente la stai attraversando.
“Inno alla gioia“, che non è solo gioia. C’è tutto. Come si arriva a questa consapevolezza?
Esatto, comprende tutto. Nel processo del disco ci siamo in*azzati un sacco, però anche quella rabbia è mutata in gioia. Non si butta niente. La consapevolezza che alla fine tutto è superabile, questo è il nostro inno alla gioia. Noi siamo privilegiati perché le nostre vite ci permettono di provare felicità e ciò che può minare la nostra gioia sono cose piccole. Se fossimo in Palestina sarebbe diverso, no? O in posti in cui la gioia è la sopravvivenza e schivare la morte. Siamo dei f*ttuti privilegiati.
“La Malasorte Porta Fortuna”: accostare il nome del progetto a quella del disco sembra quasi un ossimoro. Che cos’è per voi la fortuna?
La fortuna è qualcosa che ti crei, ti costruisci, non arriva dal nulla. Credere che sia questione di fortuna ti alleggerisce, ti toglie la responsabilità, ti fa sperare che possa girare, che non sempre le cose vadano male, è un ingrediente magico. Può arrivare se credi in ciò che fai, è serendipità, riuscire a vedere qualcosa nel quadro generale, ecco, per noi è questo.