Fiori di Cadillac: il guardarsi dentro come Rivoluzione gentile
I Fiori di Cadillac nascono nel 2010, dall’incontro umano e musicale di Luigi, Valerio e Alfonso. La loro è una storia che da Salerno si snoda tra live e gavetta spinta fino al 2017, anno in cui iniziano una profonda maturazione artistica sotto la guida di Giulio Ragno Favero e Andrea Suriani. Il frutto di questo lavoro è la firma con INRI e la pubblicazione di Grigio Fucile.
Traccia complessa, affronta il tema del distacco e della separazione. È uno strappo cruento e freddo, una metafora di tutte le aritmie a cui la vita ci sottopone senza avvertimenti. Il testo percorre due binari: la separazione fisica, materiale, la mancanza di occhi quotidiani e la mancanza morale, tradotta nella perdita di strade battute e nella paura di nuovi percorsi. Il testo si adatta in maniera tambureggiante ad una metrica musicale retrò, ad un synth tetro e cupo, dispnoico a tratti. L’unica via d’uscita è la libertà dei propri battiti, l’essere nudi senza sovrastrutture. Spogliarsi per raccontare e raccontarsi. Gli abbiamo fatto qualche domanda.
Domanda di rito: perché Fiori di Cadillac?
Il nome fa riferimento A Cadillac Sur Garonne, un piccolo paesino nel sud-ovest della Francia. Qui, sin dall’epoca del regime filo-nazista di Vichy, si trova un cimitero in cui riposano più di quattromila “alienati”, persone ritenute “diverse” dalla società, quasi tutte senza identità. Abbandonati dalle famiglie nell’adiacente ospedale psichiatrico, trascorrono la loro vita in disparte, quasi come se non fossero mai esistiti. Pazzi per alcuni, fiori rari, per noi. A loro, come a tutte le persone che custodiscono preziose diversità, dedichiamo il nostro nome.
Definite ognuno di voi con un aggettivo che vi caratterizza umanamente e musicalmente.
Vi possiamo dire un po’ come siamo. Alfonso è un tipo un po’ irrequieto e “leggermente” ansioso, però sincero. Valerio è spesso un rompiscatole, ma al tempo stesso, una persona molto paziente e comprensiva. Luigi può facilmente mandarti al manicomio; emotivo, sensibile, nel bene e nel male.
Grigio fucile è il vostro nuovo singolo, per INRI. Raccontatelo con tre parole: perché dovremmo ascoltarlo, nell’enorme catalogo musicale attuale?
Come potrete immaginare, teniamo molto a questo brano. Per scriverlo ci siamo guardati dentro, tirando fuori pezzi di noi. Farlo non è sempre così semplice, ma a volte necessario. Il brano fa riferimento proprio a questo processo, intimo, personale; spogliarsi senza alcun timore, essere sé stessi. Dovreste ascoltarlo perché crediamo sia una bella canzone.
Il tema che trattate è la separazione, l’attimo in cui tutto sta per cambiare. Il cambiamento è sempre necessario? Come vi collocate rispetto alle rivoluzioni, umane e musicali?
Abbiamo scritto un brano, contenuto all’interno di questo nuovo disco, che è una vera e propria ode al cambiamento ed alle rivoluzioni, si chiama Cloro.
La separazione di cui parlate è anche una forma di libertà, riprendere (anche a malincuore) la propria vita tra le mani. Avete mai avuto la voglia di abbandonare tutto, ricominciare?
A volte la vita ti mette a dura prova, finora non abbiamo mai mollato.
Occhi grigio fucile: non è una casualità. La mancanza di colori rende meno difficile il distacco? È una canzone che può essere definita “autobiografica”?
Quegli occhi grigio fucile, di cui si parla, sono bellissimi.
Grigio fucile è una canzone dalle sonorità lontane, un synth pop che affonda nella migliore tradizione anni’80: è una precisa scelta stilistica legata ad un vostro background musicale o semplicemente la migliore delle scelte possibili (un dolore acuto, una separazione esasperata da una melodia retrò?)
Per questo brano, per questo testo, è la migliore delle scelte possibili.
Il tema del denudarsi, della perdita delle inibizioni, delle sovrastrutture. A cosa avete rinunciato per inseguire il vostro sogno?
Abbiamo rinunciato ad una vita normale.
“Un lavoro, la famiglia, il maxi televisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il lettore cd e l’apriscatole elettrico. (cit. ma non troppo)
Il vostro rapporto con il passato musicale: la musica era migliore qualche decennio fa? Se si, perché? O perché no?
Ci sono band nei decenni scorsi che si sono poste come un importante punto di riferimento un po’ per tutti. Noi siamo cresciuti ascoltando i loro dischi.
Oggi la scena indipendente italiana, e non solo, vive un periodo di grande fermento, anche grazie a ciò che proprio quelle band hanno lasciato.
Dove siete diretti musicalmente? Progetti, novità.
Continueremo a scrivere canzoni, cercando di essere sempre sinceri. Musicalmente saremo costantemente alla ricerca di sonorità che possano esprimere al meglio ciò che vogliamo realmente dire, in quel momento, in quel testo, in quel brano.
Con chi vorreste collaborare?
Scrivendo questo disco abbiamo lavorato al fianco di Giulio Ragno Favero, Andrea Suriani e Giovanni Versari.
Insieme a Simone Furlan abbiamo curato la parte estetica del progetto.
Per adesso va benissimo così, per il futuro vedremo.
Consigliateci un disco ed un libro.
Alabama Shakes – Sound & Color
Pier Vittorio Tondelli – Altri Libertini