Folcast è un giovane cantautore romano, che avevamo visto sul Palco dell’Ariston nella sezione Nuove Proposte al Festival di Sanremo 2021. Dopo il brano “Scopriti” presentato nella suddetta occasione Folcast ha collaborato con Roy Paci e i Selton per poi esibirsi in varie date estive. Ma è a gennaio 2022 che pubblica il suo nuovo album dal titolo “Tempisticamente” composto da otto tracce. Come si evince dal titolo, il tempo ha un ruolo fondamentale in ciascuno dei brani: è il filo conduttore attraverso il quale si snodano varie considerazioni contenute, che riguardano la quotidianità, il ruolo della musica, ma anche la riscoperta delle proprie radici e del proprio posto nel mondo.
Non solo: l’album affronta anche temi come la ricerca del momento giusto, come quell’entità che, se esiste, è sempre e inevitabilmente sfuggente e che forse solo l’amore può afferrare. Oltre questo aspetto, l’album di Folcast è un progetto indiscutibilmente potente perché non cade nella retorica ma efficacemente riesce a farci riflettere. Inoltre, il suo significato intrinseco resta aperto a varie interpretazioni. Forse è quest’ultimo aspetto che può far affermare che Folcast abbia il tempismo di un cantautore senza tempo.
Il tuo album si intitola “Tempisticamente”. Cosa significa per te avere tempismo, nell’ambito musicale?
Sì, il concetto che esprimo è un po’ particolare perché in realtà il termine del titolo non esiste. Benché io non abbia la pretesa di insegnare nulla, ho l’intento di creare qualcosa di nuovo. In questo caso la creazione avviene anche partendo dal titolo stesso e poi ovviamente con i brani: insomma, parliamo di qualcosa che non c’era e che adesso esiste. La connessione con il tempo c’è, perché il tempo è un concetto con cui sto un po’ in fissa e che sto cercando di capire. Il concetto di tempismo legato proprio all’uscita di questo album è un altro aspetto che sto cercando di decifrare. Mi chiedo se è questo il momento giusto, spero almeno di essere giusto, appunto, “tempisticamente”.
Parliamo di una traccia in particolare, ovvero “Cosa ci faccio qui?”, la quale sembra richiamare al concetto del doversi trovare al momento giusto al posto giusto. Che ne pensi? Credi che questo atteggiamento sia correlato a questo brano?
Tutti i brani sono legati al concetto di tempismo e sono frutto di determinate esperienze vissute. Il brano “Cosa ci faccio qui?” che vede la collaborazione di Davide Shorty si incentra proprio su una domanda, ovvero “cosa ci stiamo facendo qui?”. Ciascuno è alla ricerca di sé stesso, ciascuno è alla ricerca del momento giusto. Di fatto il brano è un modo per dire che potremmo impelagarci in tutti i discorsi che vogliamo, ma intanto li stiamo vivendo. Quindi si tratta di porsi domande a cui non c’è una risposta precisa. Però il brano è strettamente legato al concetto di tempistica e questo è certo.
Parlando invece del brano cha dà il titolo a questo album, ovvero “Tempisticamente”, il concetto di tempo è affrontato con la sagacia che ti contraddistingue come artista. Mi diresti di più sulla scrittura del testo di questo brano?
L’idea di questo brano è nata in realtà da una caption, sui social, di una scrittrice, che rifletteva sul concetto di tempistica. Ci sono rimasto un po’: quella riflessione mi ha colpito è ci ho pensato per un sacco di tempo. Era una caption molto, forse troppo, musicale, per rimanere così semplice. Quindi ho pensato di “musicarla”. E così l’idea che è nata è diventata il ritornello del brano. La mia non vuole essere una riflessione propria sul destino, quanto sul fatto che alcune cose accadono e noi non ce ne accorgiamo, quindi non ci resta che accoglierle. Sono una persona alquanto ansiosa (ride, ndr).
Certo e sicuramente le riflessioni che si dipartono dai testi dei brani sono condivisibili, ma caratterizzate anche da più chiavi di lettura. Questo è molto interessante.
Certo, capire le altre interpretazioni dei propri brani è una delle cose che mi affascina e mi incuriosisce maggiormente.
A proposito di questo, ti dico che i brani di questo album sono generalmente molto colorati, ma uno in particolare sembra avere uno scenario decadente. Sto parlando di “Emisfero” che è un brano riflessivo quasi dirompente e di sicuro forte. Da cosa deriva la scelta di dare anche questo tipo di sfumatura al disco?
Sì, sicuramente “Emisfero” è un brano che un po’ si discosta dagli altri: anche in questo brano la parte musicale, quindi la chitarra acustica, è molto importante. Ma in “Emisfero” c’è un mood un po’ più decadente, un ambiente un po’ apocalittico. È un tipo di ambiente che ho visto in alcuni film e che mi ha sempre fatto entrare in empatia, come se il mondo potesse finire da un momento all’altro (ride, ndr). “Emisfero” vuole dire che dovremmo essere tutti coesi e dovremmo tutti cooperare per fare in modo che questo mondo resista. Invece l’atteggiamento diffuso è quello di credere che in questa parte dell’emisfero stiamo tutti bene. In questo brano intendo dire che questa sorta di distinzione, tra la parte fortunata e meno fortunata del mondo non dovrebbe persistere.
Qual è l’ultimo album che hai ascoltato per intero prima di rispondere a queste domande?
Di recente ho completato l’ascolto di un album di Topaz Jones dal titolo “Don’t go Telling your Momma”. E prima ancora avevo ascoltato “Sometimes I might be Introvert” di Little Simz. Sono due album alquanto recenti.
Concludiamo: Folcast, da quando ti abbiamo visto sul palco di Sanremo Giovani ne sono cambiate di cose. “Tempisticamente” parlando, come ti vedi tra un anno?
Bella domanda! Sicuramente, vorrei viaggiare un po’, a prescindere comunque dai viaggi legati alla musica, di cui sono assolutamente contento e grato. A livello artistico spero di continuare a essere soddisfatto di quello che creo, di quello che faccio e spero di non dovermi trovare a fare qualcosa che percepisco essere distante da me.
Foto in copertina di Andrea Sacchetti