Forte: “Amore doni, amore vuoi”: romantico, malinconico, bucolico
Forte è la mia personale rivelazione del 2020, è la somma di tutti i cantautori che negli anni ho ascoltato, quelli malinconici, che restano in disparte, che non inseguono logiche di mercato e numeri sulle playlist, ma fanno il loro e lo fanno pure bene.
“Amore doni, amore vuoi”, è il titolo del suo album d’esordio: ce ne ha messi di anni per scrivere 9 canzoni e buttarle in pasto al giudizio spietato dei critici musicali, ma ne è uscito vincitore. Forte fa un lavoro normale (gestisce una piccola azienda di macchine di caffè) e vive in un paese del profondo Salento, questo gli permette di avere una visione della musica ancora “pura” (come poi dovrebbe essere). Questo disco ha qualcosa di romantico, poi malinconico, poi bucolico: racconta storie di vita quotidiana senza la pretesa di essere di “tutti” ma con la sicurezza di essere almeno di qualcuno.
Sono 3 le tracce che, a parer mio, rappresentano le chiavi di lettura per capire questo cantautore e il suo mondo.
“Disco agnelli” canzone dal testo potente, una fotografia di questi anni precari che stiamo vivendo, sonorità vintage e arrangiamenti minimali. “Fulmini” racconta l’accettazione di sé stessi. Non ci sono chitarre elettriche o suoni psichedelici ed è qui che si compie la magia: questa canzone è capace di fermare il tempo e trasportare in un’altra dimensione e contiene anche la frase che dà il titolo all’intero lavoro, ammettendo che siamo esseri capaci di dare amore ma vogliamo anche riceverlo. “Sanremomai” è la canzone fuori dal coro, un folk classico con sonorità lo-fi, una sguardo sul passato ma anche sul presente, su come si cambia idea negli anni su molte cose della vita, tra cui anche la partecipazione alla kermesse più amata e odiata dagli italiani.
Forte qualche anno fa suonava in una band, a 13 anni ascoltava Kurt Cobain, i Nirvana, i Radiohead, gli Arctic Monkeys. Poi ha scoperto di poter essere un cantautore e ha trasformato quello che aveva in testa in 9 canzoni che per me rappresentano una delle cose più belle che il 2020 ci ha regalato dal punto di vista musicale.
Partiamo dal tuo passato, hai fatto parte di band con un forte stampo rock, poi ti sei riscoperto cantautore. Raccontaci quando e come è successo…
Vero, il mio primo approccio alla musica è stato di stampo prettamente rock. Questo perché è stato il primo genere a cui mi sono appassionato da ragazzino, quindi di conseguenza è stata l’attitudine più presente nei miei primi progetti inediti.
Ho sempre adorato però la musica cantautorale italiana, e dopo essermi “sfogato” con varie band sotto l’icona di “rock alternativo” ho deciso di intraprendere questa strada, che ha sempre fatto parte di me.
In Testo sdolcinato parafrasando Brunori Sas ti chiedi: “di che cazzo vuoi cantare, se non di sentimenti”. Ma come si scrive una canzone d’amore che non sia banale? Dacci la tua ricetta.
Per quanto mi riguarda, basta scrivere sinceramente e non a tavolino. Ovvio che le canzoni d’amore possono essere molto spesso banali, ma se si è sé stessi al 100% secondo me si può ottenere un prodotto molto personale a livello stilistico, bello o brutto che sia. La maggior parte delle canzoni d’amore che ci risultano banali sono quelle scritte per monetizzare e piacere a gente con una soglia d’attenzione, per quanto riguarda la musica, bassissima.
Hai realizzato una versione live di Fulmini, dichiarando anche che è la tua canzone preferita del disco. Che legame hai con questo brano?
Fulmini è stato uno dei primi brani scritti per questo disco, credo che mi rappresenti molto. Parla di una estraneazione dal mondo circostante. Relazioni, lavoro, amicizie, quotidianità, convenzioni sociali, tutti questi fattori sono mescolati in questa canzone che cerca di immaginare un tempo e un luogo dove tutto gira per il verso giusto. Ha un significato molto più astratto e nascosto rispetto agli altri brani, per questo la preferisco.
Amore doni, amore vuoi. Un disco bulico, a tratti fuori dai tempi ma proprio per questo estremamente attuale. Quando l’hai buttato fuori che aspettative avevi e quali dubbi?
Questo disco era già pronto più di un anno fa, credo avrebbe avuto un impatto maggiore se fosse uscito nei tempi previsti. Avevo il dubbio solo di non essere apprezzato dai miei vecchi compagni rockettari, visto che in tutto il disco non è presente neanche una chitarra elettrica. Per fortuna questo non è accaduto e sono riuscito a ricevere consensi sia da gente vicina che non. L’aspettativa più grande era quella di girare e suonare il più possibile ma purtroppo il periodo storico che stiamo vivendo ce lo impedisce. Ci rifaremo!
Com’è nel 2020/21 scrivere un disco al sud, lontano dal caos delle metropoli?
Per me è ormai una necessità. Se avessi scritto questo disco a Milano, il disco avrebbe suonato in maniera completamente diversa. Credo molto in questo! Il paesaggio che ci circonda influisce tantissimo sulla musica. Sotto questo punto di vista mi sento molto fortunato. Amo la Puglia e il Salento e spero che questo si percepisca un po’ nella mia musica.
Giulia Perna
Meglio conosciuta come @machitelhachiesto. Salernitana di nascita e bolognese per amore di questa città. Ha conseguito il titolo di Laurea specialistica in Comunicazione pubblica e d'impresa presso l'Università di Bologna. Si definisce "malinconica per vocazione". Da grande vorrebbe osservare le stelle. Crede nella forza delle parole, nella bellezza che spacca il cuore e nella gentilezza rivoluzionaria. Le piace andare ai concerti, mischiarsi tra la gente, sentire il profumo del mare e camminare sotto i portici.