Fremir intervista Fremir: una finestra su “Stoccolma”

C’è ancora chi scrive canzoni che durano cinque minuti, chi capisce che i sogni si possano inseguire anche dopo che hai compiuto trent’anni e che non è mai troppo tardi per spegnere un incendio.

Con queste premesse voglio presentare il primo album di Francesca Salzano, in arte Fremir che vive a Milano dove oltre a fare musica fa la traduttrice/interprete di conferenza. Originaria della provincia di Napoli, trasuda le sue origini non nell’inflessione delle sue parole, ma dalla sua capacità di metterti e mettersi a suo agio per farti entrare nel suo mondo musicale.

Stoccolma”, il suo primo album, trasformando la sindrome in una metafora musicale narra i sintomi, la tossicità e la guarigione che caratterizzano i rapporti umani. Il risultato è un concept album che intreccia introspezione e ironia, esplorando il passato, confrontando le dipendenze e tracciando nuove direzioni nel presente.

L’album si apre con “La patologia“, un brano che getta le basi per il tema portante del disco: un’indagine delle fragilità emotive, raccontata con una penna acuta e disarmante. Da lì, si sviluppa un percorso musicale che attinge a una pluralità di influenze, tra cui spiccano arrangiamenti dal sapore balcanico, che aggiungono un tocco vibrante e dinamico, e incursioni elettroniche che donano modernità e profondità al progetto.

Tra le tracce più suggestive dell’album spicca Margherita Nikolaevna, ispirata alla protagonista del celebre romanzo di Bulgakov Il Maestro e Margherita. Sebbene l’artista dichiari che la letteratura non sia un motore diretto della sua scrittura, il brano dimostra come i grandi riferimenti culturali possano emergere in modo spontaneo, filtrati da un vissuto personale intenso e stratificato.

Non è tanto una questione di citazioni o omaggi espliciti, quanto di un’ispirazione che emerge dal subconscio, intrecciando letteratura, musica e vita in un’unica trama emotiva.

Ho scelto di non fare una recensione del disco, ho preferito lasciare spazio alla voce dell’autrice, strutturando questa riflessione sotto forma di intervista “autosomministrata”. L’idea di Fremir intervista Fremir nasce dal desiderio di esplorare il mondo interiore che lo ha generato. Le risposte sono dunque da intendersi come finestre sul processo creativo, sulle influenze, sui dubbi e sulle motivazioni che hanno plasmato le tracce. Così, anziché offrire un punto di vista esterno, ho scelto di dare priorità all’autenticità di chi vive questo progetto in prima persona, creando un dialogo che permette di andare oltre il suono per cogliere l’anima di chi scrive.

fremir
Fremir – Stoccolma [Ascolta qui]

5 cose che dovrebbe sapere di te chi ti ascolta per la prima volta.

Partirei dal nome del progetto che è un verbo “Fremir” portoghese che significa fremere. Ho iniziato a scrivere canzoni destinate alla condivisione meno di due anni fa, anche se compongo melodie e canzonette fin da quando avevo 8 anni. Fremir è un progetto ibrido: da un lato si identifica con una persona, una cantautrice, ma dall’altro è nato come band, una collaborazione che si è evoluta fino a una formazione stabile.

Oggi il progetto include Gianluca Giovanna al basso e Mattia Pisani alla batteria, che partecipano attivamente alla composizione e agli arrangiamenti dei brani.

Il nome dell’album prende ispirazione dalla Sindrome di Stoccolma. Questo progetto musicale rappresenta per me una crescita non solo artistica ma anche personale: non ho mai amato molto comunicare sui social mettendoci la faccia, ma sto imparando a farlo proprio grazie a questa esperienza. Se a volte emerge una certa sensazione di disagio, è perché quello è il mio disagio.

Quali oggetti troveremmo al suo interno, se “Stoccolma” fosse una stanza?

Se fossi una stanza, immagino che al suo interno troveremmo oggetti che riflettono il mio mondo e la mia creatività. Sarebbe simile alla stanza dove ho scritto la maggior parte dei miei testi: un luogo accogliente, con il gatto che fa cadere le matite, probabilmente organizzata in una disposizione invernale, perché la vedo come un rifugio. Ci sarebbero divani, poltrone, strumenti musicali, un portatile, foglie sparse e una tisana. Immagino anche dei personaggi immaginari o ologrammi con cui dialogare, sospesi tra finzione e realtà.

Qual è la canzone dell’album che hai avuto più paura di scrivere o condividere?

Per quanto riguarda il mio album, la canzone che mi ha messo più a disagio nel condividerla è stata senza dubbio Pollice Nero. Non ho avuto difficoltà a scriverla, perché è venuta fuori in modo naturale, quasi da sola. Tuttavia, condividerla è stato complesso, perché si tratta di un tema molto intimo e importante per me. Temevo di non riuscire a rendergli giustizia.

Pollice nero” è un brano che sfiora il tema della violenza di genere, di fatto parla di una molestia subita in età adolescenziale (“dopo 15 anni esatti”) che, per quanto non giunta a compimento, lascia nella memoria una traccia di ambiguità e anche di conflitto. Temevo di non aver reso giustizia a una storia (tra l’altro molto comune purtroppo) perché ho usato molte metafore – come le piante che non crescono, la tempesta – invece di scegliere la via dell’esplicitazione, forse proprio perché i contenuti sono rimasti così nella mia mente.

Fremir live

La mia più grande paura? 

A parte le blatte, direi il rimpianto. La mia più grande angoscia è svegliarmi un giorno e pensare: “Non ho fatto questo, non ho detto quello, e ora non posso più”. Cerco di vivere in modo da evitare questo tipo di pensieri.

La canzone che ascolto quando voglio piangere? 

Cambia a seconda del periodo. In questo momento, da un anno a questa parte, non riesco ad ascoltare “Fuochi d’artificio” di Bianco e Federico Dragogna senza commuovermi. 

La canzone che ascolto per spegnere i pensieri?

Da sempre “New Error” dei Moderat, da quando l’ho scoperta 10 anni fa. Per qualcosa di più spensierato e ironico, mi affido a “Le ragazze di Porta Venezia” di M¥SS KETA.

Il momento in cui mi sono sentita più vulnerabile?

Ogni volta che ho perso un punto di riferimento emotivo inaspettatamente, senza alcun preavviso. È una sensazione che lascia un vuoto profondo.

Un’emozione che mi spaventa, ma che non evito mai?

La nostalgia. Mi fa paura perché porta con sé molto dolore, ma scelgo di viverla fino in fondo, come un modo per onorare le persone per cui la provo.

Il mio posto sicuro, sia reale che immaginario?

È un luogo in cui sono circondata da persone a cui voglio bene e che mi vogliono bene in modo autentico. In quelle situazioni mi sento protetta, come se fossi “in una botte di ferro”. Allo stesso tempo, però, il mio rifugio sicuro è anche la solitudine, un luogo dove non ci sono rischi e posso stare completamente con me stessa. Direi che il mio luogo sicuro è una miscela di entrambe queste dimensioni.

Un’artista o una band che mi ha cambiato la vita? 

Ce ne sono molte, ma gli Afterhours hanno rappresentato lo stacco adolescenziale tra ciò che ascoltavo da bambina e ciò che è diventato il mio gusto musicale da adulta.

Il brano che avrei voluto scrivere? 

Ne ho pensati tanti nel corso del tempo, ma ora mi viene in mente “Stormi” di Iosonouncane. La musicalità, il testo e le parole sono semplicemente perfetti.

Una parola che riassume il progetto Stoccolma? 

Direi sincera. Ho scritto solo cose vere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *