“Fuoco Sacro”: la celebrazione dell’hip-hop italiano dei Cor Veleno
Fuoco Sacro è l’album che segna il ritorno dei Cor Veleno. Due anni dopo la collaborazione con i Tre Allegri Ragazzi Morti, e sei anni dopo l’uscita de Lo Spirito Che Suona, album pubblicato dopo la prematura scomparsa di Primo Brown, il gruppo torna a celebrare il genere che li ha resi famosi.
A 50 anni dalla nascita dell’hip-hop, i Cor Veleno si raccontano in 13 tracce che li vede collaborare con artisti che hanno fatto la storia dell’hip-hop italiano e con talenti emergenti. Non abbandonando mai il proprio sound più potente, trovano il giusto equilibrio tra rime da Vecchia Scuola e una produzione fresca e contaminata dalle più ampie sonorità musicali.
Li abbiamo raggiunti per parlare di Fuoco Sacro, dell’evoluzione dell’hip-hop in italia e dell’industria musicale.
Nella cultura romana antica il fuoco sacro era la fiamma che ardeva nel tempio di Vesta. Un fuoco che doveva necessariamente continuare a ardere. Sempre. Quali caratteristiche rendono questo album Fuoco Sacro? E quali sono le qualità che non si sono mai spente e non dovranno mai spegnersi nei Cor Veleno?
Le caratteristiche del Fuoco Sacro sono legate alla passione che non è mai venuta meno durante tutti gli anni in cui abbiamo dedicato noi stessi all’idea di fare musica al di fuori degli schemi. Ci piace il paragone con la fiamma di Vesta. Il fuoco sacro è qualcosa che tutti possono scoprire nel momento in cui dedicano più tempo alla propria passione, ambizione, nel cercare qualcosa fuori dall’ordinario. Per quanto riguarda la band, non è mai venuto meno il supporto reciproco, il poter creare un disco diverso ogni volta, che non è facile, specialmente in un mondo in cui i cliché sono seducenti. A noi è sempre interessato cercare qualcosa di diverso, alzare l’asticella.
50 anni dell’hip hop. 8 dischi firmati Cor Veleno. Tante contaminazioni. Avete più volte dichiarato che sebbene l’hip-hop sia rottura di schemi prefissati è anche e soprattutto apertura verso ciò che è nuovo. Quali linguaggi e quali discussioni volete mettere sul tavolo con questi nuovi 13 brani?
I linguaggi sono sempre in evoluzione, e quindi dire “vogliamo mettere sul tavolo questo linguaggio” è già una cosa vecchia. Il linguaggio contemporaneo della musica di oggi ci affascina e ci costringe a tenere le antenne ben alzate e questo si riaggancia sempre al discorso del Fuoco Sacro, quando sei disposto a farlo tuo, nella tua maniera, fai in modo che non si spenga mai. Dentro Fuoco Sacro c’è un sacco di roba che ci piace: l’unione di tutte le nostre esperienze musicali più quelle di tanti ospiti, che celebrano il nostro percorso in Italia, non solo, ma anche quello dell’hip hop. Con tutti questi ospiti e con questi linguaggi celebriamo il fuoco sacro e la storia del rap.
Nel racconto avete poi deciso di farvi accompagnare da veterani come Inoki e Fabri Fibra. Ma anche da talenti emergenti: Ugo Crepa, KLAUS NOIR, Ele A. Quali sono state le scelte dietro ai featuring e come avete approcciato la scrittura condivisa?
Proprio perché “Fuoco Sacro” voleva essere anche un disco che omaggiasse l’hip hop, man mano che procedevamo con la stesura del disco, abbiamo immaginato anche la partecipazione di artisti che abbracciassero tutto il percorso dell’hip hop italiano. Da chi c’è stato dall’inizio, Inoki, Fibra, Colle Der Fomento, poi la generazione di mezzo: Nayt, Willie Peyote, Mostro, fino al raggiungimento delle nuove leve: Klaus, Ugo Crepa, Ele A. Tutti accomunati dal grande talento e dal fuoco sacro, ovvero la passione per l’hip hop.
Mi piace ricordare che quando abbiamo scelto i nuovi talenti l’abbiamo fatto perché ci ha colpito in maniera reale il loro approccio a questa musica, li stimiamo profondamente, e nei giovani – oltre Ugo Crepa che conosciamo in maniera particolare – Ele A la troviamo un’artista eccezionale, una delle poche donne credibili in questo mondo. Anche Klaus Noir e la sua tecnica sopraffina. Li abbiamo sentiti tutti adatti al prodotto che stavamo realizzando. Tutti accomunati dalla voglia di fare sempre meglio, dal talento, e quindi dal fuoco sacro.
Tramite questo disco, rivendicate la centralità del processo creativo per un artista. Rivendicate l’importanza di scavarsi dentro per sapere generare valore tramite la musica. Nel brano Outsider, parlate però di artisti sovrastrutturati, che rischiano di affogare la loro l’artisticità nell’industria. Quali rischi vedete per il futuro del rap italiano in questi termini?
Il disco Fuoco Sacro celebra i 50 anni dell’hip hop ma non lo fa in ottica di staticità, volevamo ribadire la potenza e l’impatto che questa cultura ha e sicuramente continuerà ad avere. È un disco che ha un approccio di energia e dinamicità legate a quello che questa musica per noi rappresenta. Il brano Outsider parla sicuramente di artisti sovra strutturati perché in qualche modo ci rendiamo conto della difficoltà per i giovani emergenti nel fare musica in un’ottica già impostata che potrebbe appannare la loro qualità artistica.
Il disco si apre e si chiude con Primo Brown. Qual è l’eredità personale e professionale che ha lasciato ai Cor Veleno? E all’hip-hop italiano?
Primo è stato un artista talmente tanto prolifico oltre che un fratello. L’eredità che ci ha lasciato è immensa. Tantissimi dei rapper che ci sono oggi si sono ispirati al modo di scrivere: poetico, immaginifico, ma anche molto concreto. Tutta la musica che facciamo noi oggi è permeata di Primo. Sia nel disco che nei live: non c’è un’assenza vera e propria. La sua presenza la sentiamo ancora fortissima addosso. David l’abbiamo vissuto in maniera talmente forte che anche adesso che non sta più con noi fisicamente ci poniamo sempre la domanda del che cosa avrebbe pensato lui su una nostra idea. All’interno del nostro gruppo c’è sempre.