Fusaro celebra i piccolissimi momenti di non trascurabile felicità
Fusaro è un giovanissimo cantautore dei nostri giorni e lo scorso 27 maggio ha pubblicato il suo secondo album dal titolo “Buongiorno (per tutto il giorno)”, prodotto da Ale Bavo per Vertigo/Believe/Edizioni Curci. Un secondo capitolo che conferma la delicatezza di Fusaro, la ricerca del contenitore di volta in volta più adatto alle parole, dimostrando una maturità notevole per un ragazzo della sua età.
Anticipato dai singoli “Il silenzio basta e avanza” e “Briciole”, l’album si compone di nove tracce che delineano un mosaico di colori caldi e rassicuranti, ascoltandolo si ha la sensazione di ricevere una pacca amichevole sulla spalla, un senso di rassicurazione e fiducia verso il domani. Si passa da brani più sussurrati come “Asteroide” e “Aria nuova”, in cui il cantautore fa della propria voce la vera protagonista e i suoni ovattati delineano una cifra stilistica ben consolidata, a brani più ritmati come “Fortuna” con delicate e profonde percussioni.
In un’estate in cui molti artisti sono in tour e si perde il conto dei festival che ci sono in giro, Fusaro ha scelto di presentare il suo secondo disco con una formula nuova (nuova almeno rispetto al presente, ma che negli anni ’60 veniva scelta da giovani cantautori o gruppi musicali che volevano far conoscere la propria musica esibendosi come artisti residenti nei live club). Stiamo parlando della sue Residenze dal vivo, progetto di Vertigo, partner Officine Buone, con il sostegno di Nuovo Imaie, in collaborazione con Libellula Music, che vede Fusaro suonare per tre giorni di seguito in una stessa venue scelta in ogni città. Un modo per entrare ancora più in contatto con la profondità della sua scrittura e vivere un’esperienza avvolgente.
Dopo Milano, Bologna, Firenze, il cantautore di Settimo Torinese farà tappa a Roma dal 23 al 25 giugno, precisamente a Villa Ada Festival, per l’ultima tappa di questo progetto.
Buongiorno (per tutto il giorno) conferma l’esigenza di Fusaro di voler comunicare le sue emozioni in maniera nitida, senza filtri, utilizzando i ricordi come posto sicuro in cui rifugiarsi e guardando al futuro come qualcosa in divenire, dove è ancora tutto possibile.
La prima volta che l’ho ascoltato mi ha ricordato moltissimo la delicatezza di Niccolò Fabi ma anche la determinazione di Diodato, probabilmente per la sua voce sottile e una live malinconia, tratto distintivo delle sue canzoni ma anche del suo modo di proporsi al pubblico. Ho avuto il piacere di ascoltarlo dal vivo durante la sua tappa bolognese, seguo dall’inizio il suo percorso, e sono sicura che a passi decisi, arriverà a farsi conoscere da un pubblico sempre più ampio.
Partiamo dalla malinconia, che io definisco, una vocazione vera e propria. O ce l’hai o non ce l’hai. E se ti brucia dentro allora possono nascere canzoni come quelle del tuo secondo disco, “Buongiorno (per tutto il giorno)”. Da dove arriva la malinconia di Fusaro?
In realtà non saprei tracciarla con precisione. Non saprei collegarla ad un evento o ad una condizione che vivo. Si tratta più di una malinconia legata alla commozione, all’intenso ricordo che ti fa sorridere e piangere allo stesso tempo. Mi fa bene fermarmi ogni tanto e rivivere un preciso istante, magari uno scambio di parole o un gesto con una persona importante. Forse questa malinconia è solo una postura nei confronti dei bei ricordi, una celebrazione commossa della felicità passata e presente.
Non hai paura di mostrarti senza armatura e questi nove brani ne sono la testimonianza. C’è molto della tua esperienza personale, di quello che vivi e hai vissuto nel quotidiano. Che giro fanno le canzoni nella tua testa prima di diventare parole su carta?
Alcune fanno giri infiniti, interminabili. “Fortuna” ad esempio racconta di qualcosa che penso da veramente tanto tempo, questa tendenza a voler tutto senza giocarsi mai niente. Altri brani invece, forse più personali, sono più immediati e non mi danno il tempo di elaborare ciò che sto pensando e provando. Canzoni come “Asteroide” nascono in fretta, si apre una valvola e si rovescia tutto. In generale penso non ci sia niente di rischioso o spaventoso nel mostrarsi senza armatura. Quello che serve è solo un po’ di sincerità, tutto il resto è un intralcio.
C’è un doppio filo che lega “La mia personalissima calamità” e “Asteroide”, che è l’amore ma più precisamente la sensazione di avere accanto una persona capace di renderci migliore. E quindi la paura che possa esplodere la bolla sottile che ci siamo costruiti…
Entrambi i brani raccontano di una condizione di equilibrio ed armonia che si raggiunge affiancandosi ad una persona in particolare. Non è un argomento a cui penso spesso, piuttosto lo vivo ogni giorno. La bolla sottile in cui mi trovo diventa ogni giorno più grande e solida, forse proprio grazie a reciproche confessioni di fragilità alternate ad una determinazione al sostenersi a vicenda sempre. “La mia personalissima calamità” gioca su un’esplicita iperbole mentre “Asteroide” mi vede cosciente delle mie debolezze e felice di potermi rifugiare in questa fragile bolla, sperando che ciò che insieme si può costruire ci potrà bastare. Contro ogni alternativa supersonica.
Invece in “Fortuna” e “Morto lui rimango io” affronti temi diversi come la rinuncia delle responsabilità per affidare tutto al caso e la riflessione sul rapporto tra vita e quello che c’è dopo. Sensazioni e sentimenti che ci rendono tutti uguali, anche quando vogliamo sembrare diversi a tutti i costi. Ti capita spesso di riflettere sul senso delle cose viste da un’altra prospettiva e se sì, ti sei mai sentito nella condizione di dover chiedere aiuto a qualcuno o a qualcosa per ritrovare te stesso?
I temi trattati in questi due brani sono particolarmente spigolosi e difficili da trattare, per questo è stato ancora più motivante sperimentare e cimentarmi nella scrittura. Non mi capita spesso di seguire riflessioni così pesanti, per questo quando nella mia testa ne vedo una di passaggio mi aggrappo e non la mollo finché diventa una canzone. Il vero senso di ogni cosa secondo me sta nel nostro personale modo di interpretarla. Siamo noi che diamo un senso a tutto.
Ci sono mille modi per rapportarsi con il concetto di “fortuna” o “caso”. Altrettanti modi per riflettere sulla vita e sulla morte. Nel mio caso il metodo più stimolante per ritrovare me stesso è proprio sviscerare questi concetti così difficili da maneggiare utilizzando il mio sguardo ed il mio modo di vivere il mondo. Alla fine in quei quattro minuti circa ci sarà una mia impronta digitale, basterà guardarla per ritrovarsi.
A tutti piacerebbe essere dei supereroi che non sbagliano mai, che non hanno mai rimpianti, ma quelli si vedono solo nei film di fantascienza. Così in “Come vorrei” parli a te stesso guardandoti allo specchio, qual è il bilancio di questi tuoi 25 anni?
In realtà no, sarebbe un bilancio esageratamente frustrato e catastrofista. Si tratta in realtà di una voluta esagerazione, un posato vittimismo nei confronti delle piccole cose che ingigantiamo per sentirci sconfitti e giustificati nei nostri errori. Penso che tutti viviamo dei momenti infelici o di rabbia, magari causati da piccole virgole che però ci colpiscono proprio dove fa più male. “Come vorrei” è quindi uno sfogo, l’urlo che si tira appena subita una ferita per esorcizzare il dolore e sotterrarlo.
Leggendo la tua bio so che alla dimensione live della musica ti sei approcciato nel 2017 ma probabilmente la musica fa parte della tua vita da molto prima. Raccontami qualcosa in più di Fabrizio (bada bene che non dico di Fusaro), come trascorri le tue giornate? Studi, lavori o ti dedichi esclusivamente alla musica e alle canzoni?
Sono ormai un paio d’anni che ho deciso di dedicare la mia vita alla musica, sospendendo prospettive lavorative “altre” e concentrandomi sul mio progetto. Mi sono laureato in Comunicazione Interculturale qui a Torino nel 2021 e ho lavorato nell’ambito giornalistico come collaboratore e poi come redattore fino a quando ho fatto all in. Passo le giornate alternando altissimi picchi di entusiasmo ad una calma piatta da combattere con una grandissima dose di pazienza.
Quando non scrivo e non suono: guardo molti film e serie tv, passeggio e rimbalzo nel mio giardino, spendo molto tempo con i miei amici (insieme abbiamo fondato un’associazione culturale che si chiama “le Suppellettili” nella nostra città, Settimo Torinese), mi godo il tempo con la mia famiglia e con chi amo, vado al cinema, leggo nei momenti più “zen” della settimana (ho purtroppo una soglia dell’attenzione molto bassa, forse dovuta all’immediatezza della maggior parte dei contenuti di cui fruisco), ascolto tanta musica… Ho tanti svaghi e fortunatamente tante persone con cui condividerli. Devo ammettere che ho la testa spesso nella musica ma quando ne esco ho tanti visi familiari con cui trascorrere il tempo.
Ho avuto modo di sentirti dal vivo durante la tappa bolognese delle tue Residenze dal vivo e ho potuto così apprezzare la tua pacatezza e compostezza, il tuo sussurrare le canzoni piuttosto che urlarle. Ci vuole coraggio ad esporsi così davanti ad un pubblico che non sai mai com’è, lo scopri solo facendolo. Chiudiamo con il ricordo più bello che hai di quest’esperienza vissuta fino ad oggi…
Fino ad oggi i ricordi più belli mi sono stati regalati dagli ascoltatori affezionati che mi hanno raggiunto ed hanno ascoltato con un’attenzione e un trasporto commovente. In ognuna delle città da cui sono passato per ora (Firenze, Bologna, Milano) c’è stato chi è passato a trovarmi per cantare insieme a me, parlandomi e ricordandomi il motivo per cui continuo a scrivere. Anche per questo il progetto delle “Residenze dal vivo” è così bello: tornare live vuol dire parlare con le persone in carne ed ossa, guardarsi negli occhi e raccontarsi per quello che siamo.
Grazie a chi ascolta la musica live (proprio come te) la musica rinasce coraggiosa ogni giorno. Quindi grazie davvero di cuore! Per l’intervista e per l’attento e paziente ascolto.
Giulia Perna
Meglio conosciuta come @machitelhachiesto. Salernitana di nascita e bolognese per amore di questa città. Ha conseguito il titolo di Laurea specialistica in Comunicazione pubblica e d'impresa presso l'Università di Bologna. Si definisce "malinconica per vocazione". Da grande vorrebbe osservare le stelle. Crede nella forza delle parole, nella bellezza che spacca il cuore e nella gentilezza rivoluzionaria. Le piace andare ai concerti, mischiarsi tra la gente, sentire il profumo del mare e camminare sotto i portici.