Giorgio Canali: l’amore come atto politico, unica arma per non sottometterci
Giorgio Canali è uno che sembra arrabbiarsi per tante cose, sembra che abbia sempre l’insulto pronto e quella parola poco dolce da regalarti. Appare come l’eterno adolescente che risponde a tutto con un vaffanculo e con la risata graffiata dal fumo. Poi si scopre che c’è tanto dietro la corazza dell’immortale, che c’è una certa sensibilità verso le cose belle e un’affabilità che di rado trovo nei nuovi artisti. Ma questa è un’altra storia.
Qui con noi oggi parla Giorgio Canali, che in Venti ha risvegliato noi plebe di ascoltatori andati in letargo per via dei nuovi testi italiani un po’ soporiferi. Nell’album non è il senso della musica l’unico ad essere stato aizzato, è anche il senso di ribellione contro l’automatismo sociale in cui siamo incastrati e, seppur più avanti mi dirà che la rivoluzione porta sfiga, in questo tentativo di soverchiare la realtà e mostrarcela così nuda e cruda, Canali è un ribelle.
Dunque, caro Giorgio, oggi come oggi manca più libertà o senso di ribellione?
Ribellione, anche se il problema è la mancanza di strumenti e la capacità che ha la gente di fottersi da sola. Mi vengono in mente quei film di fantascienza di qualche anno fa dove c’era un complotto ordito dal potere e poi a un certo punto uno scopriva tutto, gli bastava mostrare un filmato, una confessione, insomma gli bastava sputtanarlo pubblicamente e tutto moriva, e i buoni vincevano. Adesso se qualcuno si ritrova a dire qualcosa che non è consono al comune senso della realtà, salta subito fuori “bufala, complotto, negazionismo” tanto che a questo punto mi sento di dare del collaborazionista a questa gente. “Collaborazionista” in Francia è il più grosso insulto che si possa dare a chi collabora con il sistema di oppressione, anche solo a chi tacitamente annuisce quando ci sono i diktat.
In “Dodici” parli di un’informazione a senso unico fatta per il nostro bene. Facciamo tutti parte di questo gioco, vero? Di quest’orientamento controllato della stampa e dell’informazione.
Puoi chiamarti fuori quanto vuoi, ma ne facciamo tutti parte. Tu stesso stai accettando le regole.
Ne parla De André nella Canzone del Maggio, canzone che anche tu stesso hai citato nell’album.
Sì, ho preso il testo della versione originale: è più selvaggio, violento. Io stimo tantissimo De André, ma devo a dire che a volte sparava delle cannonate che facevano molto male.
Tipo?
Tipo tutta la Domenica delle Salme per esempio, che è una canzone magica, forse la cosa migliore che abbia mai scritto. L’unico problema è che tirava un sacco di farina altrui nel proprio sacco, e a volte questi “altri” non venivano neanche citati.
Per quanto io ami Faber, mi duole ammettere che la maggior parte delle canzoni che tutti adoriamo di De André sono la traduzione di alcuni testi di George Brassens, ma questa non sarà la sede in cui ne parleremo.
Eravamo rimasti a “Dodici” e io ora ti devo chiedere una cosa: qual è il miglior modo per fottere la società?
Il mimetismo. Il mimetismo sociale, senz’ombra di dubbio. Fatti passare per quello che non sei, dì sempre “signor sì”, dà ragione al tassista e ai suoi discorsi più beceri, razzisti, col panico dello straniero. Dare ragione, sempre, anzi rincarare la dose.
A questo proposito ti consiglio un film: Hi Mom!, è uno dei primi film di Brain de Palma.
Grazie, lo guarderò. Quindi meglio diplomatici che terribilmente incazzati?
Non so cosa voglia dire la parola “diplomazia”, perché se penso alla diplomazia mi viene in mente la maniera di fottere gli altri. Io non sono diplomatico, non sono neanche in grado di fare mimetismo sociale, eh. Sono sempre in prima linea a dire le mie stronzate, e poi dopo… Fatto sta che abbiamo ormai perso il controllo del potere, e l’unico modo per affrontarlo è mimetizzarci socialmente. Anche prima quando ero giovane la società aveva già tutte queste contraddizioni. Il mondo sembra sia cambiato, ma non lo è. Ero paranoico come sono paranoico adesso, solo che adesso quello che hai temuto sta succedendo: milioni di telecamere, cellulari, eccetera.
Qual è il motivo allora per cui poi cediamo tutti al farci governare da mamma società?
Stanno diventando bravi, stanno usando 1984 di George Orwell come manuale delle istruzioni. Ma la colpa è di tutti, te lo diceva già Faber nella Canzone del Maggio: “anche se vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”.
Chi è oggi il vero rivoluzionario?
Non esistono più i rivoluzionari. Forse Che è stato l’ultimo vero rivoluzionario. Io non sono un fan della rivoluzione, porta sfiga: vedi cosa ha determinato la rivoluzione francese, e poi quella sovietica. Quella cubana è stata forse l’unica a misura d’uomo, ma solo perché è stata abbastanza ininfluente. La rivoluzione è un concetto che non mi diverte, finisce male sempre. La storia, poi… c’è un sacco di gente che impara la storia per prendere 30 all’esame, e non per farne tesoro, non per usarla come arma.
Ok, la rivoluzione porta sfiga, ma meno male che tu ancora lo sei nella musica. Stai sentendo ciò che stiamo producendo adesso? Ascolti qualcosa del nuovo indie? Ad esempio Calcutta…
Ma no, come si fa ad ascoltare quella roba lì. Ascolto i modelli, Venditti, ad esempio.
In “Venti” parli anche d’amore, in una maniera più o meno politica… (e qui non mi lascia finire, come a mostrare una bellissima e inaspettata dedizione al concetto di amore)
L’amore è una cosa politica. La passione per un’idea è l’equivalente della passione per una persona, spesso è l’idea di una persona che ci fa innamorare di una persona. L’amore è politica a palla.
Ora bisogna andare a bere, andiamo.
Foto in copertina di Roberta Capaldi
Cristiana Dicembre
Ho iniziato a scrivere per pensare ai fatti miei, ora scrivo solo di quelli degli altri. Di solito mi faccio descrivere dalla musica che più mi piace, per esempio: il mio album preferito ha una banana sullo sfondo.