Solitamente ad un articolo serve un occhiello per orientare chi legge: una breve biografia, qualche numero per far sottolineare che il giornalista ha letto il press kit e che l’artista è un figo, un paio di accenni su quanto il disco di cui si parla sia più figo di quello di prima ma comunque quello di prima era meglio […] le solite civetterie inutili in questo caso. Questo non è un articolo su Giovanni Truppi, ma una chiacchierata con lui, perchè tutto ciò che è giusto sapere su di lui lo ha inciso, e quello che non c’è probabilmente lo inciderà.
“Nel 2011 assistetti al tuo concerto a La Riunione di Condominio, galeotto il consiglio di un Lucio Leoni che aveva la direzione artistica del posto. Sono sicura che quel concerto, eclettismo allo stato puro, ha varato il mio viaggio nel new underground italiano”
“Grazie! Non solo per quello che hai detto ma anche per avermelo “ricordato”, era il mio primo live solo piano, lo ricordo benissimo, ci misi tempo per prepararlo e mi emozionò tantissimo era molto intimista, oltretutto è anche registrato sai?”
“Hai questo approccio alla musica che è avanguardista da un punto di vista musicale, ma classicista nei testi con i canoni del cantautorato tradizionale. Dato che so che insegni se dovessi dare una definizione di te ai tuoi alunni, come ti definiresti?”
“Quasi giusto il fattore insegnamento, nel senso che io non lo definirei insegnare perché non si insegna a fare le canzoni, il nostro è un laboratorio. Io mi definirei un uomo che ha sempre cercato e cerca di essere libero; la libertà è difficilissima e non so se esista al 100%, ma io pur di averla mi sono assunto dei rischi facendo cose per le quali mi avrebbero potuto prendere per pazzo o scemo.”
“Ognuno sceglie la propria libertà e spesso gli altri non la comprendono, ma la tua è lampante e naturale: tu sei unanimamente acclamato dagli addetti ai lavori e non, come l’unico cantautore autentico del new underground italiano. Questo significa che la tua libertà è compresa ed amata anche da chi probabilmente non ha il tuo stesso coraggio di essere libero, perchè per essere liberi serve coraggio. La libertà si impara ma forse non si insegna, ma secondo te qual è la cosa più difficile da insegnare e quale da imparare?”
Dato che la domanda è difficile penso che è il modo migliore e più sincero di rispondere sia di getto! Credo che la cosa più difficile da imparare sia essere adulti, mentre quella più difficile da insegnare non la conosco perchè non sono un padre. Impari a capire quanto sia difficile insegnare o capire quanto hai imparato solo quando sei padre. Anche perché solo gli insegnanti ed i padri devono insegnare delle cose, forse per questo a volte gli insegnanti diventano come dei padri. Però il paradosso è che io non mi sento un insegnante nonostante tutto.
“Ho capito che non ti piacciono i blasoni, né le etichette. Ma nel 2019 cosa significa o cosa serve per essere un cantautore?
“Io penso che per essere un cantautore devi scrivere le cose che canti, poi può essere bravo o no, può piacerti o no ma resta comunque un cantautore. Ad esempio quando me lo dicono è per farmi un complimento, io in realtà quando uso per descrivermi la parola cantautore però non la uso con valore qualitativo, è un termine che semplicemente descrive ciò che faccio”
“Il tuo nuovo disco, “Poesia e Civiltà”, sembra un bildungsroman (romanzo di formazione n.d.r.), ma questo sussurrato onnisciente che guida a chi si rivolge, a te o a chi ascolta?”
“Beh hai sicuramente trovato una l’allegoria migliore per descrivere questo disco. Io scrivo soprattutto a me stesso e per me stesso, quelle che sono le mie riflessioni diventano quindi una presa di coscienza quando diventano canzoni, ed in questo sta l’evoluzione di sè. Ad esempio in questa canzone (in sottofondo suona “L’unica oltre l’amore” n.d.r.) uso la prima persona plurale perché mi sembrava retoricamente che funzionasse di più per la canzone, ma avevo iniziata a scriverla in prima persona singolare parlando appunto di me. Non saprei dirti specificatamente a chi parlo, e mi hanno fatto notare spesso che questo può essere un problema da un punto di vista commerciale, ovvero quello di non individuare un tuo target. Ma sinceramente per me non è un problema, mi piace l’idea di potermi mettere in comunicazione con persone diverse, anche perché anche a me piacciono tante cose artisticamente diverse”
“E quindi il luogo ideale per godersi al meglio il tuo disco per la prima volta quale sarebbe?”
“Quando con la casa discografica dovevamo decidere un posto in cui incontrare i giornalisti per fargli ascoltare il disco, il posto che avevo scelto erano le “Officine Meccaniche” che è uno storico studio di registrazione milanese in cui ho registrato un pezzettino di questo disco e mi è rimasto nel cuore. Quindi per condividere a pieno tutto con chi lo ascolta ne condividerei anche gli spazi”
“Mentre l’altro pezzettone del disco l’hai registrato oltreoceano, ma è una scelta presa prima o durante la creazione del disco? E soprattutto quanto ha influenzato il disco”
“Forse non sono ancora così lontano dal disco per poter dare una risposta piena, ovviamente mi sono immerso in tutto ciò che c’era quindi sicuramente ha influito nonostante praticamente abbiamo lavorato tantissimo e quindi fondamentalmente io gli Stati Uniti li ho percepiti fino ad un certo punto se non per chi ha messo le mani materialmente sul disco: i due ingegneri che hanno registrato e mixato il disco ed anche chi ha orchestrato e registrato gli archi.
Sicuramente per una musica come la mia che fa molto affidamento sulle parole trovare un canale di comunicazione con altre persone aldilà del linguaggio, riuscire a farmi capire artisticamente dalle persone con cui lavoravo aldilà delle parole ma proprio da un punto di vista empatico-artistico mi ha fatto triggerare, ha alimentato delle tensioni diverse da parte mia e da parte della mia musica e come cercavo di proiettarla fuori di me. Non è stata una decisione aprioristica, il coproduttore del disco Marco Buccelli, con cui collaboro da vent’anni, vive a New York. Quindi abbiamo iniziato la pre produzione del disco e gli arrangiamenti da lontano, mentre poi per la produzione abbiamo individuato questo studio nel Rhode Island vicino Boston”
“Cosa è rimasto di poetico in questa società?”
“Le cose poetiche le possiamo trovare in tanti dettagli intorno a noi, anche in un piccolo atto da parte di una persona che non conosciamo c’è la poesia ed un pochino di civiltà. L’ho descritta come se fosse una pubblicità, scusami! Però è così, la poesia è soggettiva devi solo essere predisposto a vederla”
“A quale domanda avresti voluto rispondere?”
“Solitamente nelle interviste mi fanno molte più domande sui testi rispetto alla musica e mi piacerebbe parlarne molto di più, forse per ego! O forse è normale che per un non addetto ai lavori, quindi un non musicista la punta dell’iceberg è il testo ed è quello che arriva in maniera immediata”
“Beh allora ne approfitto per chiederti come nascono le tue canzoni: l’ispirazione parte dalla musica che poi traduci in parole oppure sono i testi che ti chiedono di cucirgli il giusto vestito per incontrare il mondo?”
“Il più delle volte nasce dalle parole, mi appunto delle cose, delle cose in prosa o già dei versi abbozzati e poi cerco di musicarli. Capita anche, ma è rarissimo che mi arrivino delle parole che sembra abbiano già una melodia intrinseca e quello indirizza il brano. Ma nel momento in cui le parole iniziano a dialogare con la melodia però può anche tutto può cambiare”.
Intervista a cura di: Sara di Iacovo Fotografie: Eliana Giaccheri Location: laFeltrinelli (Via Appia Nuova, 427 Roma)
Si ringrazia: CGP (Comunicazione Globale Promotion SRL)